165No, no, non è. Che se il racconto udito
Fosse per voi di ciò che vidi in sogno,
Tutta speranza si morrebbe in voi
Pel viver mio sì tristo. — E il tuo secreto,
Ernevàz rispondea, ben si conviene 170Tutto svelare a noi. Arte sottile
Usar potrem, che non è trista cosa
In terra, che riparo anco non abbia.
E quei svelava del cor suo l’arcano
Patitamente, a le fanciulle sue 175Narrava il sogno. Ed Ernevàz, Cotesto
Inesplorato non lasciar, rispose
Al suo signor, ma cèrcavi riparo.
Ampio suggello del destino è il tuo
Trono felice, e per tua illustre sorte 180Risplende il mondo, chè quest’ampia terra
Sotto l’anello tuo di gran signore
Si sta soggetta, gli uomini e le fiere,
I volatori della selva, i Devi
E le alate Perì. Saggi e sapienti, 185E astrologi e indovini e sacerdoti
Da ogni parte raccogli, e ai sacerdoti
Ogni cosa disvela e alta ricerca
Fa di tuo arcano, verità con cura
Investigando. Vedi allor chi rechi 190La tua morte in sua man, nato mortale,
Devo o alata Perì. Quando scoperto
Alfin l’avrai, ponvi riparo e lascia
Ogni vano timor di chi t’è avverso.
Piacque all’empio signor quel detto accorto, 195Qual pronunciato avea la bella e adorna
Compagna sua. Ma di corvino augello
Era la notte allor qual penna, oscura.
Alfin, sul monte si mostrò la chiara
Lampa del sol. Parea che per l’azzurra 200Vôlta del ciel di fulgidi rubini