Il Fiore delle Perle/5. La cattura di Than-Kiù
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Capitolo V
La cattura di Than-Kiù
La tow-mêng sulla quale Than-Kiù, Hong ed i loro compagni si erano imbarcati per sfuggire all’inseguimento delle guardie, era una di quelle massicce navi usate dai chinesi, di forme barocche, di costruzione molto dubbia in fatto di solidità, con la prora larga, pesante, adorna di due occhi giganteschi che servono di cubie per le catene delle àncore e con la poppa alta assai, munita d’un timone di dimensioni mostruose.
Tali velieri sono tutt’altro che comodi, e tutt’altro che lesti avendo un’attrezzatura quasi primitiva, anzi molto primitiva poichè da duemila e più anni è rimasta tale quale, malgrado i miglioramenti continui introdotti dai marinai moderni. Hanno delle vele ancora fatte di giunchi intrecciati anzichè essere di forte tela, pure i chinesi osano affrontare con questi legni tutti i mari della Cina e della Malesia che sono pure tanto pericolosi pei loro tifoni. Ogni anno un numero enorme di giunche vengono inghiottite dal mare, non essendo in grado di resistere ai furiosi assalti di quelle onde mostruose, anzi dicesi che il solo dipartimento marittimo di Canton perda annualmente dagli otto ai diecimila marinai; ma quei bravi celestiali non se ne sono mai preoccupati, nè mai hanno pensato di migliorare le costruzioni dei loro velieri.
Se da migliaia d’anni i loro antenati se ne sono serviti, possono ancora servirsene i loro figli.
La tow-mêng del vecchio chinese non era quindi nè più solida, nè migliore delle altre, aveva però uno sviluppo di vele enorme che le permetteva di gareggiare con le rapide scialuppe, se il vento si manteneva fresco, ed un equipaggio composto di quindici bravi marinai, guidati da un vero lupo di mare che conosceva a menadito tutti i mari della Cina e della Malesia e tutte le coste.
Alle grida del vecchio capitano, l’equipaggio, composto per tre quarti di chinesi e per l’altro di malesi, era prontamente salito in coperta e saputo di cosa si trattava, dopo d’aver meglio orientate le vele, per poter raccogliere più vento che era possibile, era sceso nella stiva per aprire le casse delle armi, delle munizioni e delle bombe.
L’inseguimento era cominciato con accanimento da parte delle due scialuppe e l’uso delle armi poteva diventare necessario, anche prima che la giunca oltrepassasse il forte spagnuolo che sorge sull’isola di Corregidor.
Le guardie erano ancora lontane, però potevano con le loro grida o con qualche segnale richiamare l’attenzione delle sentinelle del forte o di qualche cannoniera o torpediniera, e la presenza di quei nuovi avversari era da temersi con una veliera del genere della tow-mêng.
— Temo di esporvi tutti a dei brutti rischi, — disse Than-Kiù, che guardava le due scialuppe.
— Bah!... Non inquietarti per noi, — rispose Hong. — Siamo tutti uomini di guerra che abbiamo combattuto sui campi dell’insurrezione.
— E noi uomini di mare abituati ai pericoli ed a combattere coi pirati malesi, — disse il vecchio chinese. — I miei marinai non hanno paura.
— E se venite presi?...
— Cercheremo di non farci prendere, Than-Kiù, — disse Hong. — Se questo vento non cessa, fra due ore noi avremo oltrepassato l’isola, è vero... come ti chiami?
— Tseng-Kai — disse il vecchio.
— In mare nulla avremo da temere, è vero Tseng-Kai?...
— Daremo battaglia alle scialuppe e le manderemo a picco. Ho a prora un cannone che lancia palle da quattro libbre e con grande precisione. Con quel pezzo io ho disalberato un bel numero di prahos malesi che credevano di catturare la mia tow-mêng, come se fosse una povera barcaccia.
— Ma poi non potresti più tornare a Manilla, — disse Than-Kiù.
— Che importa?... Preme a te di tornare a Binondo?...
— No, poichè devo recarmi a Mindanao.
— Ci andremo anche noi. Posso trovare dei buoni carichi in quell’isola — soggiunse il vecchio, allontanandosi da loro.
— Ecco una buona occasione, Than-Kiù, per compiere il tuo progetto, — disse Hong. — Io, a nome della società, noleggerò per te questa giunca. Lo vuoi?... Il Giglio d’acqua molto deve al valoroso suo capo, morto eroicamente per la libertà delle isole e alla sua non meno valorosa sorella. Questo chinese può, meglio di qualunque altro forse, condurti dove vuoi andare, ed aiutarti.
— Sia, — rispose Than-Kiù. — Ma... accetterà?...
— M’incarico io di combinare ogni cosa, quando saremo fuori di pericolo.
— E le armi e le munizioni che doveva consegnare agl’insorti?...
— Le farò sbarcare in qualche punto della costa e penserò io a mandarle a destinazione. Toh!... Siamo di già dinanzi al forte di Cavite!... Attenti che le due scialuppe non facciano dei segnali. Ehi, Tseng-Kai, tieni la giunca al largo più che puoi. Non bisogna fidarsi delle palle di quei cannoni; sono troppo pesanti pei nostri petti. —
Il vecchio chinese si era già accorto del pericolo ed aveva dato il comando a Pram-Li, il quale era rimasto alla barra del timone, di poggiare al largo, in modo da tenere la tow-mêng fuori di portata dalle artiglierie del forte, poi aveva concentrata tutta la sua attenzione sulle due scialuppe, per regolarsi sulla via da tenere.
Le guardie, le quali dovevano aver imbarcati dei vigorosi rematori, cominciavano già a guadagnare sulla giunca, avendo questa rallentata la marcia per oltrepassare la penisola di Cavite. Non si trovavano ormai che a cinquecento metri e fors’anche meno e se continuavano la corsa con quella velocità, era da temersi che giungessero a buon tiro prima che la tow-mêng si trovasse fuori della baia. Passando dinanzi al forte, la cui massa giganteggiava all’estremità della seconda penisoletta, le guardie scaricarono in aria alcuni colpi di fucile per richiamare forse l’attenzione delle sentinelle, ma non ottennero alcuna risposta.
Essendosi da qualche minuto la luna nascosta dietro alcune nuvolette che si erano alzate dal sud, le sentinelle del forte non si erano accorte dell’inseguimento.
— Buono — disse Hong, respirando liberamente. — Ecco un pericolo superato felicemente. —
Una voce che il vento portava e che era partita dalla scialuppa più vicina, gridò in quell’istante:
— Ohe, della giunca!... Alt, o vi faccio cannoneggiare.
— Che nessuno risponda, — comandò Hong. — Di questa minaccia possiamo ridercene ormai.
— Apriranno il fuoco coi fucili, — osservò Pram-Li.
— Sono lontani e le palle non ci faranno gran danno.
— Però attireranno l’attenzione delle sentinelle dell’isola.
— Spero che non oseranno far fuoco coi cannoni su di una povera giunca che non risponde alle provocazioni delle scialuppe!... Poi vedo che la luna si copre sempre più e l’oscurità ci protegge. —
In quell’istante un colpo di fucile lampeggiò sulla scialuppa più vicina e Hong udì distintamente il miagolìo acuto della palla.
— Un po’ alta, ma ben giusta, — disse il chinese. — È passata sopra le nostre teste.
— Dobbiamo rispondere? — chiesero i suoi uomini, che avevano già armati i fucili.
— No, che nessuno faccia fuoco. Riparatevi dietro le murate e lasciate che sparino a loro comodo. Quando saremo in mare li pagheremo con usura. —
Un secondo, poi un terzo colpo di fucile rintronarono sulla prima scialuppa.
Una palla rimbalzò sul coronamento di poppa sibilando agli orecchi di Pram-Li e l’altra attraversò la velatura, ma nessuno rispose.
Hong però, temendo per Than-Kiù, la costrinse a ripararsi dietro l’albero di maestra, non avendo essa voluto scendere nella camera di prora.
Il fuoco, dopo qualche minuto di sosta, venne ripreso dagli uomini delle due scialuppe e questa volta con grande violenza. Pareva che le guardie fossero decise a decimare l’equipaggio prima di abbordarlo.
Le palle però non facevano gran danno alla giunca e tanto meno agli uomini che si tenevano ben riparati dietro alle massicce murate, però Hong e Tseng-Kai erano inquieti e guardavano ansiosamente l’isola di Corregidor che chiudeva la vasta baia, temendo di veder staccarsi altre scialuppe o qualche cannoniera.
Sapendo che dopo lo scoppio dell’insurrezione era stato raddoppiato il presidio del forte, potevano venire scoperti e presi a cannonate.
— Tseng-Kai, — disse Hong, la cui calma pareva un po’ scossa. — Temo che questa corsa finisca male per noi.
— Sì, quel forte ci dà fastidio, — rispose il vecchio marinaio.
— Vedi nessuna cannoniera ancorata dinanzi all’isola?
— No per ora, ma ve ne può essere qualcuna sulla costa occidentale.
— Cosa decidi di fare?... Voglio assolutamente porre in salvo Than-Kiù.
— Vuoi un consiglio?...
— Parla e affrettati.
— Sbarchiamo la ragazza, poi, se ci vedremo stretti dalle scialuppe, tenteremo una lotta disperata. La fortuna sorride agli audaci.
— E dove vuoi sbarcarla?...
— Sulla costa dell’isola. Chi può far attenzione ad un canotto montato da una fanciulla e da un paio di barcaiuoli?... Aspettiamo di aver girata la punta estrema per non farci vedere dagli inseguitori, poi sbarchiamola. Se dovessero prenderci, almeno Than-Kiù sarebbe salva.
— L’idea è buona, ma dopo?...
— Poi?... Se possiamo respingere l’attacco e prendere il largo, torneremo domani sera a riprenderla. Per ventiquattro ore Than-Kiù può rimanere nascosta fra le scogliere.
— Sì, — disse Hong, come parlando a sè stesso. — Credo che questo progetto sia il migliore per ingannare quelle guardie ostinate, le quali devono ormai essersi accorte che noi abbiamo fatta fuggire Than-Kiù. Accosta l’isola più presto che è possibile e sbarchiamola prima che questi spari attirino l’attenzione delle sentinelle.
— Fra due minuti la sorella di Hang-Tu sarà a terra. —
Con un fischio chiamò i suoi uomini e fece trascinare un piccolo canotto, che si trovava a poppa, presso la murata di babordo, quindi lo fece sospendere alle grue per poterlo, al momento opportuno, calare prontamente in mare.
Vi fece mettere dentro dei viveri, alcuni fucili, poi si mise in persona alla barra del timone.
La tow-mêng non si trovava allora che a sei o settecento metri dalla punta estrema dell’isola, mentre le due scialuppe ne distavano più di mille.
Il bravo chinese, che spiava attentamente il cielo, attese che la luna sparisse sotto le nuvole, poi spinse velocemente la giunca verso l’isola, virando di bordo dinanzi alla punta, come se volesse mettersi al coperto dalle palle degli inseguitori.
Le guardie, vedendo la tow-mêng sparire dietro le scogliere, raddoppiarono gli spari e le grida, ma Hong e Tseng-Kai non si preoccupavano di loro, almeno pel momento.
Dopo essersi accertati che sulla spiaggia dell’isola non vi era alcun drappello di soldati, fecero mettere in acqua il canotto.
Than-Kiù, messa già al corrente dell’audace progetto, strinse le mani ai suoi due salvatori con una certa commozione, poi discese nella piccola imbarcazione seguìta da Sheu-Kin e dal malese.
— Ricordati che noi segnaleremo il nostro ritorno con due razzi, se riusciremo a sfuggire all’abbordaggio — le disse Tseng-Kai. — Sarà per domani sera, a mezzanotte.
— Grazie amici, — rispose Than-Kiù, con voce commossa. — Budda vi salvi!... —
Sheu-Kin e Pram-Li avevano afferrati i remi e si erano messi ad arrancare con vigore sovrumano, mentre la giunca riprendeva la corsa inoltrandosi in alto mare.
Con pochi colpi di remo i due fedeli compagni della giovanetta raggiunsero la costa, nascondendosi in mezzo a due alte scogliere.
— Rimaniamo qui per ora, — disse Pram-Li. — Vedremo cosa accadrà alla giunca. —
Le due scialuppe, che forzavano la corsa, erano passate dinanzi la punta dell’isola, ma non avendo veduto nulla, continuarono la caccia sparando furiosamente contro la tow-mêng, la quale ormai navigava liberamente, ridendosela anche dei cannoni del secondo forte.
Parve però che quegli spari fossero avvertiti dalle sentinelle che vegliavano sugli spalti, perchè Than-Kiù ed i suoi compagni udirono replicatamente gridare:
— Chi va là?... —
Le due scialuppe erano ormai lontane e poi le detonazioni dei fucili dovevano aver impedito alle guardie di udire le grida delle sentinelle.
— Che abbiano dato il chi va là alle guardie od a noi?... — si chiese Than-Kiù, con inquietudine.
— Non saprei; dall’alto dei bastioni possono averci veduto sbarcare, — rispose Sheu-Kin.
— Lo temo anch’io, — disse Pram-Li, — e penso che sarebbe prudenza abbandonare questo nascondiglio prima che sorga l’alba e cercarne un altro più sicuro.
— Attendiamo l’esito della caccia alla giunca, — rispose Than-Kiù. — M’interessa la sorte di quei valorosi compagni, che si espongono a così gravi pericoli per salvarmi.
— Ormai non verranno più raggiunti, padrona, — disse Pram-Li. — Il vento fresca fuori della baia e si lasceranno indietro le scialuppe, se non preferiranno calarle a picco. Toh!... Guarda!... Fanno tuonare il cannone!...
Sulla oscura linea dell’orizzonte era balenato un lampo seguìto da una forte detonazione. La giunca, che non aveva più da temere l’intervento di alcuna cannoniera e tanto meno i cannoni del forte, cominciava a difendersi scaricando il suo pezzo d’artiglieria.
A quel primo sparo tenne dietro una viva fucilata la quale durò alcuni minuti, poi una seconda cannonata, quindi il silenzio tornò a farsi.
Erano riuscite le scialuppe ad abbordare la giunca, o questa, dopo d’aver respinto l’attacco, aveva potuto prendere il largo? Than-Kiù ed i suoi compagni, in preda ad una viva ansietà, interrogavano avidamente l’orizzonte guardando da tutte le parti, ma la luna ormai non brillava più e nulla potevano distinguere.
— Budda protegga quei valorosi, — disse la giovane chinese, con un sospiro.
— Io non temo per loro, — disse Pram-Li.
— Credi che abbiano potuto sfuggire l’abbordaggio?
— Ne sono convinto, padrona. Vedrai che fra qualche mezz’ora le scialuppe ritorneranno se quei due colpi di cannone non le hanno mandate a picco.
— Dunque speri di rivedere la tow-mêng.
— Sì, verrà a raccoglierci domani sera.
— Il segnale è per la mezzanotte. Ah!... Potessimo fuggire e giungere felicemente sulla costa di Mindanao. Il cuore mi dice che Romero non è morto e che io lo salverò.
— Te lo auguro, padrona, ma chi ci condurrà colà.
— Forse la tow-mêng di Tseng-Kai.
— Si è risoluto?...
— Si è incaricato Hong di parlare al vecchio chinese. Dove mi conduci ora?... È necessario trovare un ricovero, poichè l’alba non è lontana e le scialuppe possono approdare qui.
— Vieni, padrona. Conosco l’isola a menadito.
— Ed anch’io, — disse Sheu-Kin. — So dove si trova una specie di caverna marina e là potremo attendere tranquilli il ritorno della giunca.
— Ed il canotto?
— È ben nascosto fra queste scogliere e nessuno lo vedrà, — disse Pram-Li.
Assicurarono la piccola imbarcazione alla punta d’uno scoglio per impedire al riflusso di portarla via, presero i viveri e le armi e salirono rapidamente la sponda per raggiungere alcune macchie di bambù selvaggi le quali crescevano presso le scarpe del bastione. Stavan per cacciarvisi in mezzo, quando Pram-Li, il cui udito doveva esser acutissimo, s’arrestò girando uno sguardo inquieto verso il forte.
— Fermi, — mormorò.
— Cos’hai udito? — chiese Than-Kiù, arrestandosi.
— Ho udito delle persone parlare sul bastione.
— Che le sentinelle ci abbiamo scorti?...
— Non lo so ma... mi pare di udire agitarsi le macchie dietro di noi.
— Non muoviamoci, amici.
Si erano accoccolati tutti e tre fra i bambù, procurando di farsi più piccini che potevano, sperando di non venire scoperti.
Passarono alcuni minuti d’angosciosa attesa. Più nessun rumore era giunto ai loro orecchi.
Certi che i soldati del forte si fossero allontanati, Than-Kiù ardì alzarsi per guardare all’intorno. Si era appena raddrizzata, quando udì una voce minacciosa gridare:
— Fermi o facciamo fuoco!...
Due soldati si erano improvvisamente alzati dinanzi a Than-Kiù ed avevano puntati risolutamente i fucili su di lei e su suoi compagni.
La giovanetta, già abituata a ben altre sorprese e già provata alle terribili imboscate delle sanguinose guerre per la libertà delle isole, non aveva mandato nè un grido di spavento, nè fatto un gesto di stupore.
Incrociò tranquillamente le braccia, lasciando cadere il fucile, e guardando in viso i due soldati disse con calma perfetta:
— Ebbene, cosa vuol dire questa minaccia?...
— Cosa fate qui?... — chiesero i due soldati, senza abbassare i fucili.
— Forse che è proibito venire a cacciare le rondini di mare? — chiese Than-Kiù. — Non sapevo che nell’isola di Corregidor esistesse questo divieto.
— Le rondini di mare?... — disse uno dei due soldati, con un sorriso ironico. — Il divieto non esiste, ma ci direte, bella fanciulla, perchè avete abbandonata quella giunca e chi erano coloro che la inseguivano a colpi di fucile. È un mistero che il comandante del forte vuol chiarire.
— Oh!... Voi sapete questo!... — mormorò Than-Kiù, aggrottando la fronte. — Cose d’amore, signori miei!... Due rivali mi disputavano ed io sono fuggita lasciando che se la sbarazzassero fra di loro e si uccidessero a loro agio.
— Una storia interessante allora, che divertirà il comandante.
— Può darsi — rispose Than-Kiù, sorridendo.
— La colomba valeva d’altronde l’ira dei falchi, — disse il secondo soldato, che guardava attentamente la giovane chinese. — Carramba!... Non ho mai veduto una celestiale più vezzosa di questa ragazza.
— Non direte, d’ora innanzi più così, — rispose asciuttamente Than-Kiù. — Conducetemi dal vostro comandante; venite, amici. —
Pram-Li e Sheu-Kin si gettarono ad armacollo i fucili e fidenti nella astuzia della loro giovane padrona, seguirono i due soldati, i quali però non perdevano di vista i loro prigionieri.
In pochi minuti giunsero al ponte levatoio, dinanzi al quale vegliava una sentinella, quindi entrarono nel forte nel momento in cui l’orizzonte cominciava a tingersi dei primi riflessi dell’alba.
Than-Kiù ed i suoi due fedeli compagni furono trattenuti alcuni istanti nel corpo di guardia, per informare il comandante della loro cattura, poi la prima fu introdotta in un salotto a pianterreno, le cui finestre guardavano verso il mare.
La giovanetta si guardò intorno, ma non vide nessuno. All’incerta luce che entrava quasi furtiva per le feritoie difese da grosse inferriate, scorse bensì alcuni tavoli ingombri di carte ed alcuni seggioloni, però nessuna persona.
Stava per avvicinarsi ad una feritoia sperando di scorgere all’orizzonte la tow-mêng, quando udì aprirsi una porta ed entrare qualcuno.
Si volse rapidamente, e tosto retrocesse facendo un atto di stupore, mentre dalle labbra le sfuggivano queste parole:
— Il colonnello di Malabon!... —