Parte XXXI

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XXX XXXII

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Questa scena impressionò vivamente Zebedeo. Egli non era stato mai un uomo eccessivamente religioso, ma onesto e quasi vanitoso della sua rettitudine, con un [p. 159 modifica]fondo di superstizione: quella superstizione paesana tradizionale che supplisce tante volte alla religione vera.

Di giorno in giorno si convinceva sempre più che Dio lo castigava per l’appropriazione ingiusta dei beni del fratello; ma non per questo si decideva a restituirli; anche perchè sapeva che il mondo anzichè approvarlo avrebbe riso di lui. E i suoi affari andavano male, il raccolto delle fave e dell’orzo ch’era una delle sue maggiori rendite fu scarso e di qualità scadente; quasi tutto il bestiame ereditato dal fratello era morto d’afta epizootica. È vero che moriva anche il bestiame degli altri proprietari ma questo non lo consolava.

Del resto quello che lo tormentava di più era il male del figlio, la piaga che non si chiudeva. Ogni tanto si ripeteva l’ascesso e bisognava tagliare di nuovo; e il carattere di Bellia diveniva strano, con alternative di torpore e d’indifferenza, di nervosità e di cattiveria. Si parlava sempre di far venire un professore o di condurre Bellia da lui; si aveva però soggezione del [p. 160 modifica]Dottore. Il Dottore poteva offendersi e diventare un nemico pericoloso; già si mostrava ostile perchè non venivano eseguite le sue ordinazioni; allora si pensò seriamente di condurre Bellia al mare; di là si poteva fare una scappata in città e consultare il professore senza che nessuno venisse a saperlo.

Zebedeo scrisse ad un suo amico che possedeva una casa in riva al mare; l’amico offrì subito ospitalità: bisognava però che i Barcai si contentassero di due camere e una cucina perchè il resto era occupato dalla famiglia dell’ospite.

L’idea di cambiare vita sollevò Bellia; anche la serva rideva da sola per la gioia, poichè non aveva mai veduto il mare e lo immaginava tutto liscio e quadrato come uno specchio.

Alla madre invece il pensiero di muoversi dava un senso di angoscia; il viaggio le sembrava interminabile pieno di difficoltà e pericoli, e il mare le destava terrore; aveva paura che Bellia s’annegasse, ma appunto per essergli sempre [p. 161 modifica]vicina, per sorvegliarlo e salvarlo da ogni male era pronta ad andare anche nelle altre parti del mondo.

La sera prima della partenza Zebedeo andò a trovare Lia.

La porta e la finestra erano chiuse; Lia lavorava accanto al lume e Salvatore leggeva, questa volta però leggeva un giornale e con grande attenzione.

Egli s’era abituato alle visite di Zebedeo, sapeva che Zebedeo portava denari alla madre e trovava tutto naturale; e in fondo all’anima sperava che in un modo o nell’altro lo zio gli avrebbe restituito i beni del padre: quindi aveva sospeso di giudicarlo pure guardandolo come attraverso un velo nero.

Zebedeo sedette al solito posto, senza che nessuno lo invitasse; guardò il giornale e domandò che notizie c’erano.

— Finalmente hanno fatto la pace, — rispose Lia. — Era tempo.

— Sì, è tempo che il mondo si rimetta in ordine, — egli disse e gli pareva di parlare suo malgrado. — Non vedi che [p. 162 modifica]anche il tempo pare diventato pazzo? A primavera abbiamo avuto un caldo terribile e adesso dopo tutto quel vento indiavolato dei giorni scorsi fa quasi fresco. I diavoli girano per il mondo.

— Chi sta dentro casa come me non se ne accorge, — ella disse sempre con un senso nascosto nelle sue parole; — per chi è povero e lavora il tempo è sempre uguale vale a dire sempre brutto, — aggiunse con un lieve sorriso che lasciò vedere i suoi piccoli denti di faina. — Meno male che si aspetta sempre il tempo bello.

Zebedeo si sentiva continuamente mordere dalle parole di lei e gli sembrava di odiarla. Senza il fanciullo una volta o l’altra l’avrebbe strangolata, ma il fanciullo era sempre lì quieto dritto e luminoso come la fiammella del lume: l’uomo si rivolse a lui:

— Ebbene, che faranno adesso questi accidenti di tedeschi? Staranno a casa loro finalmente; e meno male si rimetteranno a lavorare, rifaranno aghi con la punta buona, e per te Salvatore l’inchiostro [p. 163 modifica]buono, e aspetteranno anch’essi il bel tempo.

Salvatore rispose serio:

— Faranno invece la rivoluzione, e la faranno fare a tutto il mondo.

— Non ci manca che quello! E il tuo maestro che cosa dice?

— Io non l’ho più veduto perchè sono stato esonerato da tutti gli esami, e dal giorno di S. Giovanni non vado più a scuola.

— E allora, prendi, comprati le ciliege.

Aveva pescato dal taschino del suo corpetto, ove teneva alla rifusa i denari, una carta da cinque lire e gliela porgeva. Salvatore guardò la madre e a un cenno d’assentimento di lei prese il biglietto, ma lo mise sulla tavola fermandone un angolo col lume.

Zebedeo osservò che quella mano era magra e bianca e non osava dire che il domani la sua famiglia andava al mare perchè gli sembrava che anche Salvatore aveva bisogno di cambiare aria.

— Di tuo marito non hai saputo più nulla? [p. 164 modifica]

Pareva ch’ella aspettasse questa domanda perchè smise di cucire, si raddrizzò sulla schiena e lo guardò dritto negli occhi.

— Sì, ha scritto ancora proprio oggi. Io non gli avevo risposto, ma pare gli abbia scritto maestro Michele il fabbro: che cosa gli abbia scritto non so; ma la lettera di Pietro Paolo adesso è curiosa: non posso fartela leggere perchè l’ho data ad un’altra persona per chiederle consiglio. La lettera di Pietro Paolo, — riprese scandendo le parole — è tutta piena di Dio. Dice che si sente ogni giorno venire meno le forze e che ha paura di morire presto. E mi domanda perdono di tutto: dice di sapere che il ragazzo ha preso buoni punti e che se ne rallegra; e infine conclude così: o muoio in breve e lascerò tutto al ragazzo, o campo e se tu lo credi lo assisterò negli studi.

Zebedeo si sentì battere il cuore. Sollievo! Vergogna! Invidia di Pietro Paolo per il suo atto generoso! Tutte queste cose assieme e assieme il dubbio che Lia [p. 165 modifica]mentisse per provarlo. Ma no, non era possibile che ella mentisse davanti a suo figlio.

— A chi hai dato la lettera! Si può sapere? — domandò un po’ geloso.

— Al Rettore. Sta male, il Rettore, vomita sangue; ma appunto perchè sta per morire ho fede in lui e farò quello che mi consiglierà. Se lui me lo consiglia vado anche ad assistere Pietro Paolo.

Zebedeo ricordò il sogno di Rosa e d’un tratto gli venne voglia di andare anche lui dal Rettore. Eppure si mise a parlar male di lui.

— È da cento anni che sta per morire e non si decide mai. È troppo attaccato ai denari per potersene staccare. Bisogna sentire quello che il Dottore dice di lui.

— E lui, il Dottore, chi lo giudica? — replicò Lia con asprezza. — Anche tu saprai un giorno chi è il Dottore.

— Oh io l’ho bell’e giudicato! Siamo nel mondo per questo; per giudicarci gli uni con gli altri come nel giorno del giudizio universale. [p. 166 modifica]

— Sarà Dio, allora, a giudicarci.

— Dio ci giudica tutti i giorni, — egli disse ripetendo le parole del sogno della serva, — perchè Dio non è il Dio dei morti ma il Dio dei viventi.

E dette queste parole si sentì il coraggio di aggiungere, come cambiando discorso:

— Domani andiamo al mare. Bellia ne ha bisogno, e la madre lo accompagna perchè ha paura che gli accada qualche disgrazia. Andrò ad accompagnarli; poi torno qui: non posso trascurare gli affari, che vanno male. Tutto va alla malora quest’anno. E adesso anche i servi sembrano punti dal diavolo: non hanno voglia di lavorare e chiedono il doppio di paga. Anche i fratelli gemelli che sono nel mio podere non sembrano più loro: onesti fino allo scrupolo, erano, e laboriosi; adesso stanno sdraiati all’ombra e imprecano se io faccio loro qualche osservazione.

E stava per dire come aveva loro perdonato il debito verso il povero Basilio, ma ne ricordava la causa e si vergognò. [p. 167 modifica]

D’altronde egli non potè proseguire perchè si sentì picchiare alla porta. Non era mai accaduto che qualcuno venisse, durante le sue visite: ed egli dubitò che la persona che picchiava fosse mandata dalla sua famiglia per spiarlo. Che cosa doveva fare? Anche Lia e Salvatore si guardarono incerti, non volendo aprire per un riguardo a lui: allora egli disse:

— Perchè non aprite?

E Salvatore si mosse.

— E se mi vedono qui! — disse Zebedeo come fra sè. — Che non posso forse visitare l’orfano di mio fratello?

Appena la porta fu aperta Salvatore e quei due là dentro ebbero un brivido di sorpresa e quasi di spavento: un fantasma nero entrava, con le mani così bianche che sembravano luminose.

Era il Rettore.

S’avanzò, sedette al posto cedutogli con grandi esclamazioni da Lia; e la presenza di Zebedeo non gli destò sorpresa.

Salvatore, appoggiato alla tavola, lo guardava fisso e non staccò più gli occhi [p. 168 modifica]dal viso di lui: quel viso non era bello, con la pelle di un giallino violaceo aderente alle ossa come una seta incollatavi sopra, e gli occhi bianchi, quasi scoloriti per lungo uso; ma aveva un’espressione misteriosa, profonda, come quella di un morto risuscitato che non fosse contento di esserlo e stentasse a ricordarsi della sua vita sulla terra; vita anteriore di secoli.

Egli non parlò finchè Lia che gli si era seduta ai piedi per terra in atto di omaggio non disse umilmente:

— Si parlava della lettera di Pietro Paolo, con Zebedeo; e del consiglio che ho domandato a vossignoria. Ma perchè disturbarsi a venire, vossignoria? Sarei tornata io domani o poi; non c’è premura.

— Non c’è premura per te ma per me sì, — egli rispose: e aveva la voce afona, tanto che Salvatore si avvicinò strisciando il gomito sulla tavola per sentirlo meglio.

Anche Zebedeo si protese un poco: gli pareva di essere sordo e di sognare; quasi il preciso sogno fatto dalla sua serva. [p. 169 modifica]

Il Rettore diceva:

— Tu sei ricorsa a me appunto perchè io sono per partire. Hai detto a te stessa: egli non ha più interessi sulla terra quindi il suo consiglio sarà giusto.

Lia faceva gesti di protesta, ma abbassava gli occhi per paura ch’egli le leggesse nel pensiero.

— Non protestare. È giusto che sia così; da viventi si è attaccati alla terra come l’albero, come ogni cosa naturale, e si vede e si opera tutto attraverso ragioni nascoste come le radici sotterra. Ma non dico che tu sei ricorsa a me solo per quel motivo che del resto fa onore alla tua perspicacia. Tu hai pensato, anche: il Rettore è istruito, conosce i libri sacri le verità rivelate da Dio; quindi potrà consigliarmi bene.

— È vero, è vero! — ella esclamò sollevando di nuovo gli occhi.

— Ma queste leggi, queste verità, cosa sono dopo tutto? Leggi e verità dette e scritte da uomini. Erano uomini gli apostoli; solo che avevano vissuto con Cristo ch’era anche lui figliuolo dell’uomo, e [p. 170 modifica]ripetevano le sue parole com’egli le sentiva da Dio. Questo Dio vero e grande nessuno lo ha mai veduto sulla terra. Gli stessi patriarchi lo sentivano parlare attraverso le nuvole e per mezzo di Angeli mandati da lui: eppure tutti lo conosciamo, tutti lo sentiamo parlare anche senza conoscere la scienza degli apostoli: io tu Zebedeo Salvatore tutti lo sentiamo tutti lo vediamo.

I tre lo guardavano con avidità e aprivano un po’ la bocca come per respirare le sue parole.

— Dio è dentro di noi; è quello che noi chiamiamo la nostra coscienza: ecco tutto. Basta ascoltarla per ascoltare Dio.

I tre rimasero un po’ disillusi.

Zebedeo anzi scrollò la testa perchè sapeva che la spiegazione sarebbe andata a finire così. Del resto il parroco ripeteva cose che aveva tante volte detto nelle sue prediche in chiesa.

— Mi permetta una domanda, — disse timidamente Zebedeo, — quando lei dice che Dio è Dio solo dei viventi che intende [p. 171 modifica]dire? Che viventi, anche dopo morti, sono quelli che non hanno peccato?

— Non c’è uomo al mondo che non abbia peccato, — rispose il prete. — E quindi saremmo tutti morti agli occhi di Dio. Ma per viventi io intendo quelli che realmente vivono sulla terra e si comportano bene evitando il più che possono il peccato, solo perchè questa è la vera vita dello spirito.

— Ma dopo morti? — insisteva Zebedeo.

— È una cosa troppo lunga a spiegarsi, — disse l’altro, cercando di scansare l’argomento scabroso: — la vera rivelazione l’avremo appunto solo dopo morti. L’importante è di comportarci in modo da pigliare alla lettera il versetto di Marco, che Dio non è il Dio dei morti, ma Dio dei viventi, e operare come davanti alla reale divina presenza. E Dio infatti è con noi; è dentro di noi — poi proseguì:

— È curioso il fatto che ognuno di noi cerchi consiglio dall’altro: quasi si direbbe che è per salvarsi da ogni responsabilità davanti agli altri uomini e a sè stesso. Se invece noi prendiamo consiglio da noi [p. 172 modifica]stessi, ma consiglio dal profondo della coscienza, lo prendiamo da Dio stesso, e non sbaglieremo mai e faremo sempre il bene nostro e quello degli altri. Nel tuo caso, Lia, come posso io consigliarti se non conosco i tuoi veri sentimenti? O meglio, posso conoscerli, anzi ti dico che li conosco, ma non posso forzarli consigliandoti di fare una cosa piuttosto che un’altra.

Allora ella disse affrontando anzi cercando lo sguardo vago di lui: — La mia coscienza è debole: lei deve aiutarmi ad ascoltarla; lei lo può, se vuole.

— Non è la tua coscienza che è debole sei tu che non vuoi sforzarti ad ascoltarla. Ad ogni modo, senti, che cosa ti spinge a ritornare con tuo marito? L’idea del tornaconto che te ne verrebbe?

— Sì, anche questo: ma per Salvatore, più che per me.

— Ad ogni modo è sempre per tornaconto materiale perchè infine tu pensi di fare di tuo figlio un uomo ricco. E credi tu che la vera ricchezza, dico la ricchezza terrena, sia quella acquistata per mezzo [p. 173 modifica]degli altri? La vera ricchezza ce la dobbiamo acquistare noi col nostro lavoro, con le nostre forze interiori e non col cercare aiuto dagli altri. Spesso i genitori rovinano i propri figli col procacciare loro una ricchezza ch’essi soli si devono guadagnare.

Zebedeo pensava al suo Bellia con infinita tristezza: d’altronde gli pareva che ogni parola del Rettore fosse diretta a lui.

— Allora, niente: — disse Lia già rassegnata a rinunziare.

— Vedi? — disse il prete, — il mio consiglio già potrebbe nuocerti. Ma ascoltami ancora; nel tuo desiderio di ritornare con tuo marito c’è un po’ d’amore? Dico amore del prossimo, non amore carnale.

— No, non posso amarlo. Troppo male gli ho fatto per poterlo amare.

— Adesso parli bene! Vedi, non dici, non posso amarlo perchè mi ha fatto del male, ma «non posso amarlo per il male che gli ho fatto». Il tuo castigo è lì. Il male che hai fatto ti priva del dono migliore della vita, di quello che rende lieti [p. 174 modifica]e felici, del regno di Dio sulla terra: ti priva dell’amore.

— L’amore non si comanda.

— Non è vero; questa è un’antica menzogna. È che tu, Lia, come la maggior parte degli uomini, sei come una barca piena di zavorra che crede con questo di poter meglio navigare: un po’ di questa zavorra l’hai già buttata in mare; butta giù il resto; più la barca sarà lieve meglio andrà sulle onde. Perchè tu hai odiato tuo marito? perchè ti era di ostacolo a peccare; e adesso il tuo peccato ricade su te. Perchè il vero castigo dei nostri peccati è su questa terra stessa.

— È vero — proruppe Zebedeo senza volerlo. Ma nessuno badava più a lui.

— Ascoltami ancora, — disse il prete. — Un altro sentimento ti guida verso Pietro Paolo: la pietà di lui come uomo. È così?

— È così, sì! Mi fa pietà e vorrei assisterlo come si assiste un mendicante che cade davanti alla nostra porta.

— E allora va! — egli disse alzandosi: — Dio s’è svegliato in te. [p. 175 modifica]

Ma la donna non voleva lasciarlo partire; aveva ancora sete della sua parola. S’inginocchiò, gli prese la mano e cominciò a baciarla come una reliquia: egli però si ritraeva: la sua mano fredda sgusciò da quella di lei come da un guanto caldo.

— Lascia, lascia, Lia! Non toccare tuo figlio senza prima lavarti; il mio male è contagioso. E cerca di partire presto; così il tuo ragazzo, che vedo sciupato, godrà l’aria del mare. Addio.

E se ne andò senz’altro saluto.