Il Dio dei viventi/XL
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La tempesta infuriò tutta la notte: Bellia non tornò, ma Dio aiutava la disgraziata madre col toglierle i sensi.
Dopo un lungo svenimento era rimasta inerte senza conoscenza, poi aveva cominciato a vaneggiare.
L’alba placò la tempesta dell’aria mentre il mare continuava ad agitarsi inesorabile e pareva non dovesse chetarsi mai: Rosa pensò allora di correre al paese per avvertire l’ospite di quello che accadeva nella casetta e mandare un telegramma al padrone.
Nel suo delirio la madre capiva confusamente ogni cosa e avrebbe voluto impedire alla ragazza di muoversi; d’altronde non si sentiva capace di sopportare da sola la disgrazia ed era certa che il marito avrebbe messo a posto le cose. Solo le dispiaceva il probabile rimprovero di lui per non aver ella saputo con la sua indolenza e il male inteso amore materno tenere a freno Bellia.
Ma anche lei era in tempo ancora a fare qualche cosa. Era in tempo ancora. Una madre non deve disperare della sorte del figlio finchè non se lo rivede morto in grembo: e neppure allora deve disperare poichè l’amore di madre può come l’amore di Cristo far risuscitare i morti.
Un pensiero le illuminò la mente, la calmò come la luce aveva calmato la tempesta: andare in cerca di Bellia.
Le ospiti dopo la lunga notte insonne dormivano: senza far rumore ella si vestì e prese il fazzoletto nel quale teneva avvolti i denari. Le sembrava di essere divenuta ad un tratto agile e svelta smagrita da quelle ore di angoscia che lo avevano mangiato le carni: la mente la sentiva però un po’ confusa, le cose le tremolavano un po’ intorno: uscita sulla spiaggia ebbe l’impressione che l’arco del mare fosse mobile e si spostasse di continuo; anche il cielo ancora sparso di una schiuma di nuvole ondeggiava lievemente, senza sole, tutto chiaro di una luce fredda invernale.
Ella guardò se trovava una barca che la conducesse alla grotta: le barche erano tutte davanti alla casa bianca silenziosa, e forse si poteva ottenerne qualcuna. Sì, tutto era facile: quel tratto di spiaggia liscio levigato dall’onda le permetteva di camminare con leggerezza; sul velluto della sabbia l’acqua stendeva un merletto di spuma sotto i suoi piedi di madre che andava alla ricerca del figlio; e il vecchio pescatore d’arselle sdraiato accanto alla sua barca umida le fece cenno di chinarsi e le offrì sottovoce i suoi servizi.
— Dio ti benedica, — ella mormorò — andiamo subito alla grotta.
Egli la fece entrare nella barca, poi spinse questa in acqua, lievemente, come si trattasse di una barca di carta e vi saltò su: era un vecchio ancora vigoroso coi polsi grossi e le mani che sembravano di cuoio e rassomigliava stranamente al vecchio ospite lieto e bonario, mentre la sua imbarcazione aveva qualche cosa di funebre, tutta nera di pece con una croce e una lampada spenta a prua.
Dapprima la barca si cullò forte fra due solchi di acqua spumosa, accennando di no, di no; non voglio andare avanti; — poi andò spinta dall’urto dei remi, ma con dispetto, traballando, piegandosi da una parte, tentando di buttar giù la donna aggrappata all’asse del sedile.
Ed ella aveva l’impressione che non dal mare ma dalla barca venisse il pericolo di un naufragio: quel legno nero funebre aveva qualche cosa di diabolico, era cattivo, ritagliato dall’albero del male: eppure ella non sentiva più paura; solo un malessere a tutta la persona, un bruciore che il vento e l’umido del mare non mitigavano.
Bene o male però la barca andava e il vecchio mentre lottava coi remi sorrideva alla donna con un sorriso dolce quasi d’amore che la incoraggiava ma le destava anche un senso di ripugnanza.
Le venne in mente il dubbio che sognasse, che fosse ancora nel suo lettuccio con la febbre e il delirio; ma no, è ben desta, le cose che vede sono chiare sebbene soffuse d’un certo senso di mistero; il mare è ben quello, con le grandi ondate rotolanti che la barca salta agilmente, e la terra è a poca distanza, con la linea frastagliata della costa sotto il cielo triste senza sole.
D’un tratto la costa si eleva, un promontorio nerastro si spinge in mare come la prua di un enorme piroscafo arenato: la pietra levigata sembra metallo lucido compatto; solo a fior d’acqua s’apre un buco ad arco per il quale l’acqua entra ed esce di continuo.
Il vecchio si dirige a quella volta: le onde respingono la barca, le si sollevano sotto senza tregua; ma adesso la barca è animata da un sentimento di ribellione contro quell’ira insensata e va avanti con forza tenendosi a galla, sorvolando come i delfini il gonfiore oleoso dell’acqua, decisa a penetrare nell’apertura della grotta.
Ma un fiume pare sgorghi di là dentro; l’incrocio delle onde desta una corrente vorticosa che vorrebbe costringere la barca ad aggirarsi intorno a sè stessa e ad affondare anche senza esser capovolta.
La donna comincia a provare un senso di terrore: l’apertura della grotta le sembra la bocca dell’inferno e il vecchio pescatore il diavolo incaricato del tragitto delle anime.
— Ecco, — pensa — sono morta; sono morta per il dolore della disobbedienza e della perdita di Bellia e Dio adesso mi manda al luogo del mio castigo. Ma in che cosa ho peccato!
Il ricordo di tutti i suoi peccati e specialmente di quello, di non aver saputo impedire al marito un’azione iniqua, le ritorna chiaro alla coscienza: tuttavia anche in quel momento supremo ella conserva la sua calma rassegnazione ai voleri di Dio e sente che solo così si possono sopportare anche le pene dell’inferno.
Una viva luce le rischiara d’altronde le tenebre della morte: rivedersi, riunirsi col suo Bellia.
— Sia fatta la tua volontà: sia fatta la tua volontà, o Signore.
E chiuse gli occhi per non veder più l’orrore delle acque. Le parve che la barca si aggirasse intorno a sè stessa come il pernio di una ruota e andasse giù giù nel freddo abisso del mare; poi d’un tratto sentì che urtava contro qualche cosa di duro e si fermava.
— Sia fatta la tua volontà, o Signore, sia fatta la tua volontà.
— Siamo dentro la grotta, — disse l’uomo.
Ella riaprì gli occhi e vide il luogo più strano e più bello che mai avesse immaginato.
La barca era ferma sotto un portico di marmo nero sorretto da colonne che parevano coppie attorcigliate di serpenti. La rena e i sassi sotto l’acqua che vi era bassa e trasparente scintillavano più che fossero d’oro: e di là dell’apertura di quest’ingresso alla grotta il mare in tumulto sembrava lontano, ormai innocuo: ma la cosa più meravigliosa era la grotta che s’apriva come una galleria interminabile, col pavimento di sassi colorati e la volta adorna di stalattiti brillanti. Fin dove arrivava la luce dell’apertura tutto scintillava, di una iridescenza d’opale, poi tutto sfumava nel buio della lontananza, ma anche in questa oscurità qualche chiarore balenava ancora, come di pietre per sè stesse luminose.
Passato il primo senso di sorpresa la donna osservò che nel luogo non c’era altra barca che la loro, quindi nessuno era dentro la grotta.
— Non importa, — disse il vecchio saltando giù e fermando la barca ad un sasso della riva, — quando vedono il mare ingrossarsi i barcaiuoli tornano indietro, lasciando dentro i gitanti, e vengono poi a riprenderli quando è possibile l’uscita.
Diede la mano alla donna, e quando essa fu scesa l’aiutò ad attraversare il primo tratto sassoso della grotta.
— Qui ci deve essere qualche torcia, adesso vediamo, — disse accostandosi alla parete e cercando fra le sporgenze delle roccie; e trovata la torcia l’accese agitandola per far meglio sviluppare la fiamma.
E tosto la donna ebbe l’impressione di trovarsi in una chiesa sotterranea, in una catacomba ove tutte le ricchezze e tutte le vanità della terra erano state adunate. Migliaia di candelabri di perle pendevano dalla volta, e avevano forme graziose di grappoli d’uva, di glicine, di altri fiori e di frutti sconosciuti; tutti scintillanti di rugiada. Nicchie di cristallo e di madreperla s’incavavano nelle pareti, con dentro idoli strani, e fra una nicchia e l’altra luccicava l’ondeggiare di altorilievi fantastici con teorie di figure alate, di alberi, rettili, uccelli, tutti volti verso la profondità della grotta e che al chiarore della torcia parevano muoversi e mutare forma.
La meraviglia della donna era tale da farle dimenticare il perchè della sua presenza nel luogo: ogni tanto si fermava e si faceva il segno della croce, e di nuovo la prendeva il dubbio che fosse morta e di trovarsi di là della terra.
Avevano passato il primo tratto della galleria e si trovavano in una sala sostenuta da colonne somiglianti a quelle dei portico; ma il pavimento adesso era sabbioso, d’una sabbia nera argentata che scintillava al chiarore della torcia.
Ed ecco la donna si ferma ribellandosi ad andare oltre e dà un lieve grido: ha veduto ai suoi piedi qualche cosa che le ricorda una vita anteriore, la luce, la gioia della terra: l’orma di un piede che le sembra quello di Bellia. Ma l’orma è volta verso l’uscita della grotta: dunque Bellia è già uscito: è vana ogni bellezza del luogo dove non c’è lui ed è inutile cercarlo là dentro nel mistero delle pietre quando egli forse galleggia onda fra le onde nel mistero delle acque.
— Andiamo, andiamo; che cosa cerco io qui? Andiamo a cercarlo nel mare. Vivo o morto lo voglio trovare.
Il vecchio abbassò la torcia, facendo lambire dal suo chiarore tutto il suolo della grotta: e lei vide allora tante e tante orme, di chi entrava, di chi usciva, di chi si aggirava là intorno.
— Quando i gitanti sono costretti a stare qui dentro — disse il vecchio — per lo più si riuniscono in fondo alla grotta, in una sala spaziosa dove sui larghi sedili di pietra ci si può sdraiare e dormire: probabilmente tuo figlio e i compagni sono laggiù; andiamo.
Andarono: ella tendeva l’orecchio se sentiva la voce del suo Bellia o almeno il suono della fisarmonica; ma al suo desiderio rispondeva solo la voce del mare; e a misura che s’inoltrava senza più badare alle fantasmagorie del luogo, le pareva che quella voce venisse dalla profondità della grotta con una cadenza uguale dolce che se non calmava la sua pena la trasmutava in una pena religiosa.
Era questo il canto della Sirena che attirava i viaggiatori e faceva loro anche sfidare il pericolo della morte per arrivare al raggiungimento del sogno che destava?
— Se è questo, — pensò — non è un canto di gioia, ma di dolore: è come il salmodiare dei sacerdoti che ci conducono al campo dei morti narrando che tutto nella vita è vano, tutto falso.
E le pareva che la voce rispondesse:
— Tutto è vano, tutto è falso, anche l’amore del figlio per la madre che lo ha partorito con dolore.
Eppure ella continuava a cercare il suo Bellia: e adesso i riflessi delle pietre, le bizzarrie delle stalattiti, gli archi e le colonne della grotta la irritavano: le apparivano quali erano, escrescenze di roccia, stillicidio di sale marino.
Anche l’ultima famosa stanza che doveva essere come l’antro di Circe le parve un grande sepolcro sostenuto da blocchi di pietra nera simile al carbone. Una goccia d’acqua dolce stillava dal centro della volta e cadeva in una vasca di marmo; ma questa vasca era opera di uomo, e questa goccia inesauribile come la speranza era la sola realtà, il solo vero conforto ai naufraghi assetati.
Intorno al luogo nero e umidiccio si stendevano larghe lastre di pietra che al dire del vecchio servivano di letto ai gitanti costretti a dormire nella grotta. La madre le esplorò ad una ad una facendo muovere la torcia in ogni senso, in modo che neppure un angolo le sfuggisse. Le lastre erane tutte vuote. Allora ella cadde sopra una di esse, e le parve di morire.