Il Diluvio (Gessner)
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IL DILUVIO
POEMETTO
DI GESNER
VERSIONE
DEL
CONTE PAGANI
Già le marmoree torri eran sepolte;
Già i neri flutti le lor moli immense
Rovesciavan sull’alte alpestri cime.
Dal profondo dell’acque un solo scoglio
La superba sua fronte alzava ancora.
Il nudo fianco percoteano ondosi
Cavalloni sonanti; e gl’infelici,.
Che ne’ trasporti lor d’esso la cima
Volean salir, spinger s’udiano al ciclo
Grida funeste e disperati accenti:
Che pronta ai piedi lor stavasi morte.
Dominatrice della gran procella.
Là del monte si sfascia una gran parte;
E col peso fatal d’afflitta gente
Piomba nei procellosi ingordi flutti.
Qua precipitan rapidi torrenti,
E traggon seco il figlio sbigottito,
Che salvar tenta il caro padre invano,
O strascinar sulle più alte cime
La desolata madre, a cui d’intorno.
Altri gemendo stan miseri figli.
La sola estrema vetta alfin sorgea
Dai cupi abissi. In questa il generoso,
L’amabile Semino avea salvata
La sua diletta, la gentil Semira;
Ambo teneri amanti; i labbri loro
Non sapean pronunciar, che amore e fede.
In mezzo alla procella e ai fieri venti
Erano soli. Il ciel sul loro capo
Rovesciava torrenti, il tuon muggia,
E a piè fremeva il furibondo mare.
Era una cieca notte, e il buio orrendo.
Spezzavan sol per addoppiarlo i lampi.
In sulla fronte imperiosa oscura
Ogni nube il terror porta e diffonde.
Ogni flutto d’umane esangui spoglie
Carco attraversa la fatal procella
Prede novelle al suo furor cercando.
Il fido amante suo stringe Semira
Contro il sen palpitante. A rivi il pianto
Misto alla pioggia le scorrer dagli occhi
Ad inondar le pallidette guancie;
Con interrotti accenti al caro amante
Così favella. Omai si spera in vane,
O mio diletto amabile Semino,
Cinti per ogni intorno dalla morte
Più spaventosa!.... Oh desolante scempio!
Oh flagello d’un Dio! s’avanza ognora
Verso di noi la morte! Ahi forse è presso...
Forse tra questi flutti il più tremendo
È presso, ohimè! che inghiottiranne entrambi
Deh mi sostieni, o caro, ohimè sostienmi
Nelle tremanti amate braccia. Or ora...
Or ora, entrambi nella strage avvolti,
lo più non ti vedrò, la tua Semira
Più non vedrai. Eccoci... oh Dio!... lo vedi?
Vedi tu questo flutto? ahi flutto orrendo!
Lo vedi al cupo folgorar del lampo?
Quanto a noi s’avvicina! Ecco gran Dio,
Giudice eterno!... Ella si tacque, e intanto
Dell’amato Semin si lancia al collo.
Strinsero la diletta tramortita
Di Semino le braccia al par di lei
Tramortito, e languente. Immobil giacque
Balbettando, e gemendo. Ei nou vedea
L’orror d’intorno, e il vicin fato estremo;
Ei vedea sol la già perduta amante
Fra le sue braccia, ed all’atroce vista
Sente il dolor della più cruda morte.
In sulle guancie pallide, e grondanti
Del freddo umor dei tempestosi nembi,
Mille fervidi baci egli v’impresse;
E vieppiù fortemente al seno stretta
Egli disse: o Semira, o mia Semira,
Svegliati per pietà, solo una volta,
Volgiti a questa orrida scena ancora
Il tuo soave sguardo ancor si volga
Solo una volta almen sul tuo Semino.
Da’ tuoi pallidi labbri ancor, che m’ami,
lo senta, e m’amerai fino alla morte.
Solo una volta almen pria che dall’onde
Nuotar dobbiam miseramente assorti.
Ei così disse, e si svegliò la bella.
Ella sopra di lui volse uno sguardo,
In cui tutto apparia d’un’alma ardente
Il più tenero amore, e il più profonde
Il più vivo dolor. Poscia gettando
Sull’universo desolato il guardo
Ella gridò: mio Dio, giudice eterno!
Non v’ha raggio di speme, e sorda sia,
Signor, la tua pietade?... Oh come l’onde
Veggio precipitar! Come d’intorno
Mi mugghia il tuono! Ahi qual terror mi addita
L’eterna irreparabile vendetta!
Oh Dio, scorrean le vie dell’innocenza
I nostri dì; d’ogni garzon più saggio
Tu, mio diletto... Ah me infelice! Oh cielo!
Di quei, che lieto fenno il viver mio
Più alcun non avvi. E tu, che della vita,
Dono mi festi... ahi fiera vista! i flutti
Ti gettaro al mio fianco; alzasti ancora,
Una volta le mani, e i lumi infermi...
Benedir mi volevi, e fosti a un tratto
Ringhiottito dall’onde. Ahi tutto è assorto!
Eppur... caro Semino, l’universo
Solitario così, per me sarebbe
Un giardin di delizie a te vicina.
Oh Dio, scorrean le vie dell’innocenza
I nostri giorni... Ah omai si spera invano.
Ma che dice il mio cor? Gran Dio perdona:
Sì, noi moriam. Del reo, dell’innocente
L’unico non sei forse arbitro eterno?
Servia d’appoggio alla smarrita amante
Che mal reggeasi all’impeto de’ venti,
Il mesto giovinetto, e si dicea:
Sì, o mia diletta, ogn’essere vivente
È già distrutto, e più non s’ode omai
In mezzo al vasto scempio una sol voce,
O Semira, il vicin primiero istante
Sarà l’ultimo ancor di nostra vita.
Sì le speranze mie tutte svaniro;
Tutte svanir le immagini soavi,
Che alle nostr’alme presentava Amore,
Onde sì lieti e brevi erano i giorni.
Certa è la morte. Ella ver noi s’avanza,
E di già il piè tremante ella ci tocca.
Ma non s’attenda, o cara, il comun faro
Da noi, come dal reo. Sì, noi moriamo.
E... mia diletta, ah che sarebbe mai
La più felice, e la più lunga vita?
Di rugiada una goccia in nudo scoglio,
Che al mattutino sol nel mar si perde.
Su coraggio, Semira. Un’altra vita
Ancor ci attende, e voleremo in braccio
A una felicità, che mai non scema.
Non si tremi al passaggio. Or tu m’abbraccia,
E l’ultimo destin s’attenda in pace,
Da questi orridi abissi, ah sì, ben tosto
S’alzeran le nostr’alme in sulle forti
Eterne penne, e di bel foco accese
Al puro cielo voleran sicure.
In te, gran Dio, le mie speranze io posi.
Sì, mia Semira, alziamo a Dio le mani.
Delle arcane sue mire a noi mortali
Il giudicar s’aspetta? Ei questo fango
Con un soffio animò; manda la morte
A’ giusti, e a’ rei; ma fortunato appieno
Colui che di virtù segnò le vie!
Non già perchè la vita a noi conservi
T’imploriamo, o Signor; togli noi pure
Nel giudizio fatal; fol le nostr’alme
De’ beni tuoi rianima alla speme;
E di morte l’aspetto allor fia caro.
Fulmini, abissi, alzatevi, piombate,
Ingoiateci, o flutti. Iddio si canti;
Al giusto nume ogni pensier sia volto.
La gioia allora, ed il coraggio apparve
Di Semira nel guardo, e nelle guancie
Preser loco le rose. E poscia alzando
Le mani al ciel di mezzo alla procella:
Sì, che ripieno d’ogni bella speme
Mi sento il cor. Lodate, o labbri miei,
L’almo Signor; di tenerezza a un tempo
Un torrente schiudete, o luci mie,
Finchè viene a coprirvi eterno sonno.
N’attende un ciel, che d’ogni intorno spira
Dolcezza e pace. I passi nostri al cielo
Voi precedeste, o voi cari cotanto
Ai nostri cuori; or vi seguiam; ben tosto
Ci rivedremo. All’alto trono i giusti
Or fan lieta corona; il nume eterno
Giudicò le lor opre, e a se li trasse.
Muggite, abissi, o fulmini, piombate,
Della giustizia sua non altro siete
Che cantici solenni. In mar profondo
Seppelliteci, o flutti... Ecco!... ah, Semino,
Abbracciami, diletto, or vien la morte;
Ella s’avanza su quell’onda nera;
Abbracciami, Semino, ah non lasciarmi,
Di già il mar mi solleva. Ecco t’abbraccio,
O morte, io ti saluto. Eccoci, o Dio
Sempre giusto, ed eterno, io ti ringrazio,
Così diceano i giovinetti amanti.
E stringendosi a gara in dolci amplessi
Tratti furo dall’onde al comun fato.