Il Corvo (Carlo Gozzi)/Atto secondo
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ATTO SECONDO
Stanza nella Reggia di Frattombrosa.
SCENA PRIMA.
Millo, sdraiato sopra ad origlieri nel fondo della scena addormentato; e Truffaldino da cacciatore.
Truff. ESCE adagio per non destar il Re. Parlerà basso, darà qualche cenno del misero stato, in cui si trova il Re, dopo aver ucciso il maledetto Corvo. Non bisogna impacciarsi con Corvi. Satira allusiva. Descrive la grassezza, e il buon stato del Re prima, la magrezza e il pessimo stato dopo il corvicidio. È divenuto pazzo dopo la maladizione del brutto Orco. Replica le parole, che suol dir Millo, quando è preso dalla sua smania.
O Corvo, o Corvo! Chi di voi mi reca
Donna di chiome, e ciglia nere, come
Le penne del fatal Corvo, e vermiglia,
Come il suo sangue, e bianca a paragone
Della pietra, su cui l’augel morio?
SCENA SECONDA.
Brighella e gli antedetti.
Brig. Esce frettoloso con del romore. Truff. lo minaccia con cenni, perchè non desti la Maestà del Re. Brig. che sono suonate le nove ore; è venuto per destar il Re. Truff. con voce bassa, che sono sei. Brig. con voce bassa, che sono nove. Truff. alquanto più forte che non sono nove. Non vuol preminenze, egli è capocaccia, sa ciò, che fa. Si riscaldano, si minacciano. Truff. sempre sostenendo, che le ore siano sei, e mostrando grandissimi riguardi, perchè il Re non sia destato, alza le sue grida smisuratamente. Il Re si desta.
Mil. Chi è là? Chi fa romor? Qual insolenza?
(furente per la scena)
Oh Corvo! Oh Corvo.
Truff. Spaventato dalle parole pericolose, gridando fugge da una parte. Brig. per la stessa ragione fugge dall’altra. Millo furente segue il suo vaneggiamento.
Chi di voi mi reca
Donna di chiome, e ciglia nere, come
Le penne del fatal corvo, e vermiglia
Come il suo sangue, e bianca a paragone
Della pietra, su cui l’augel morio? (si scuote)
Ma dove sono! In me stesso ritorno.
Oh amaro punto, in che scoccai quel strale!
Oh affanno insofferibile, che toglie
A me la vita, i sudditi conturba,
La Reggia empie di pianto, e dal mio fianco
Disgiunto ha il caro mio fratel Jennaro,
Di cui, sa il Ciel che avvenne: e per me, forse,
Solcando il mar, la vita avrà perduta!
SCENA TERZA.
Tartaglia e Millo.
Tart. (uscendo frettoloso) O Maestà, Maestà... una gran nuova
Mil. Qual nuova? Altre sciagure? Dì, Ministro.
Tart. Aspettate... attendete... è grande tanto, ch’ella m’affoga... Un messo ha portata la nuova... che vostro fratello... (prorompe in un pianto caricato)
Mil. Ahi! voi piangete? Mio fratello è morto.
Oh amato, oh caro mio fratel! Chi mai?
Tart. No, no, no; piango d’allegrezza. È qui vicino con la galera; giugnerà fra poco. Ha seco una donzella Principessa, rapita a Norando, Principe di Damasco, che ha le chiome, e le ciglia nere, le guance, e le carni vermiglie, e bianche in tutto, e per tutto, come le maledette penne, come il maledetto sangue, come la maledetta pietra del maledetto Corvo, del maledettissimo Orco.
Mil. Caro Tartaglia, ed è possibil questo!
Tart. La nuova è certissima. Un messo spedito dal Principe per terra, l’ha recata. Dice che il Principe è con la galera a porto Sportella, colà salvato da una precipitevolissima burrasca per la bravura dell’Ammiraglio Pantalone, e dice, ch’io avvisi Vostra Maestà, che rischiarato il tempo verrà alla volta di Frattombrosa. Il tempo è bellissimo; dev’esser vicino alla Città.
Mil. O Cielo! o sorte! o fratel mio diletto,
Quanti obblighi t’avrò! Tartaglia, tosto
S’apparecchi la Corte. Al porto corra
Gente a veder, se la galera giugne;
Indi lieti andiam tutti ad incontrarla. (entra)
Tart. Uh, quanto furore! Andiamo a vedere questa rara bellezza, questo sole, che ha tenuta questa Città in mestizia tre anni, e perchè? perchè somiglia ad un Corvo. (entra)
SCENA QUARTA.
Veduta del porto della città con una torre fornita di cannoni.
Truffaldino, Brighella ed una Sentinella sulla torre.
Truff. e Brig. Accennano d’esser venuti al porto per ordine della Corte a vedere se giunge una galera. Truff. averà un lungo cannocchiale, con cui in caricatura guarderà all’opposto del mare, cioè l’Uditorio. Scherzerà sopra gli oggetti, che vede, spezialmente ne’ palchetti, con moderazione ad arbitrio; concluderà di non veder galere. Brig. lo correggerà sull’errore, prenderà il cannocchiale, guarderà verso il mare, scoprirà una galera in lontano. Truff. prenderà il cannocchiale; guarderà; dirà, che quella è una folica. Brig. ch’è una galera. Truff. ch’è un’oca. Brig. ch’è una galera. Truff. sempre guardando, ch’è un’asino, indi un’elefante ecc. a misura, che la galera s’avvicinerà, Truff. vedrà l’oggetto maggiore, e nominerà dei spropositati oggetti. La sentinella batterà una campana, griderà dalla torre: Una galera. Truff. riman persuaso, e fatta una scenetta buffonesca popolare, adattata alla piccolezza dell’argomento, da’ due personaggi, correrà con Brighella alla Corte per recar l’avviso, che la galera giugne in porto.
SCENA QUINTA.
Udirannosi sette tiri di cannone dalla galera non ancora in vista, che saluterà la Fortezza; si risponderà dalla torre con tre tiri e si replicheranno tre tiri dalla galera conservando le formalità marittime militari. Sentirassi il zuffoletto, e la voce di Pantalone, che grida colla ciurma. Apparirà la galera fornita di bandiere, e fiammole, con suono di vari strumenti militari. Dalla torre si suonerà il tamburo. Si porrà la scala a terra alle grida di Pantalone... Usciranno
Jennaro, Armilla e Smeraldina.
Jen. (mesto, e con qualche agitazione)
Eccoci, Armilla, a Frattombrosa. È questa
La Città, dove, a Re consorte, in trono
Salirete fra poco.
Smer. È bella, è allegra
Questa città.
Arm. Bella; e felice asilo
Prometton questo mar placido, e i colli
Aprici, che il circondano, quest’aura,
Che si respira; le promesse, e il dolce
Temperamento, e nobil di Jennaro. (verso Jenn.)
(ironica) Ma di Jennaro quell’affanno interno,
Ch’egli si sforza a ricoprir, palese
Fatto dagl’inquieti movimenti,
Da furtivi sospiri, il cor mi passa,
Ed altro mi promette, che felice
Asilo, e trono, e nozze, e lieta vita.
Jen. (scuotendosi) Forse l’azion ch’io feci di rapirvi,
Non ben nell’alma vostra perdonata...
L’esser voi fuor del patrio tetto, e in mezzo
A nuova gente sconosciuta, in petto,
Vostro mal grado, ed a ragion vi desta
Mille sospetti, e di veder vi sembra...
E vi sembra d’udir... (a parte affannoso) Cruda condanna
Che il palesar mi togli!.. Ah che tormento!
(guarda dentro, poi con velocità, ed agitazione)
Eccovi, Armilla, il caro mio fratello,
Lo sposo vostro, che s’avanza. Deh
Rasserenate il ciglio. D’amarezza
Non s’empia Millo, che tant’amo. Troppo
Fu sin or flagellato, afflitto, e oppresso. (correndo verso Millo)
Millo, v’abbraccio, e bacio.
SCENA SESTA.
Millo, Leandro, Tartaglia, guardie, e detti.
Mil. O caro, o amato
Jennaro, fratel mio, chi vi conduce
Ancor tra queste braccia! (si abbracciano e baciano con notabile trasporto e tenerezza)
Lean. (a Tart.) Bell’esempio di due fratelli!
Tart. O fratel mio Pancrazio, traditore dove sei? che dopo avermi in casa, e fuor di casa rubato tutto a forza di farmi lite m’hai fatto vendere sino alle brachesse!
Mil. (osservando Armilla con allegrezza, ed ammirazione) E questa?...
Jen. Sì, la Principessa è questa
Armilla di Damasco, a voi la reco.
Mil. O bellezza splendente! (da sè) Ecco le guance,
Ecco le chiome, e ciglia prodigiose.
Con sì ardente implacabile martire,
E sì funesto desiate, alfine
Al mio fianco averò. Sento di gioia
Colmarmi il seno, e il barbaro tormento
Dal mio cor si dilegua. (alto) Novamente
V’abbraccio fratel mio. (abbraccia Jenn.)
Smer. (basso ad Arm.) Vi piace il Re?
Arm. (basso) Mi piace.
Mil. Voi, Tartaglia, andate tosto
Al reale palagio a far, che sia
Addobbato, ed in punto, e voi, Leandro,
Al tempio andate. I sacerdoti tengano
Parata l’Ara, ed alle nozze pronta.
Tart.(da sè) Uh, uh; che fretta! è guarito, è guarito.
(alto) Corro ad obbedire vostra Maestà (entra)
Lean. Al tempio io volo., (in atto di partire)
Jen.(agitato) No, fermate, Leandro... (a Millo) Appena giunta?...
Così tosto fratello?...
Mil.(sorpreso alquanto) E che s’oppone?
(ad Arm.) Voi, Principessa, il mio stato infelice
Cambiaste nel più allegro. Il caso mio
Già il fratel v’avrà detto. Or mi risanano
Quelle chiome, quel ciglio, e il bianco viso,
Quella vostra presenza; e sol mi duole,
Ch’io fui cagion, che fuor del patrio tetto,
(Per rimedio al mio mal, che iniqua stella
Scagliò sopra di me) voi tratta foste,
E forse vi dolete. Supplichevole
Io vi chiedo perdono, ed una destra
V’offro d’un Re. V’offro uno sposo forse
Abborrito da voi, ma che nel seno
Arde di brama, ch’uno sposo abbiate
In me, conforme al genio vostro, e se
Tal lo trovate, in questo punto accese
Fieno le tede, e mia sposa sarete.
Fortunato momento avidamente
Desiato da me! Dal vostro labbro
La mia vita, o la morte ornai dipende;
Violenze io non uso, e so morire.
Smer. (basso ad Arm.) È bel; vi piace; è tenero; è gentile;
È Re; v’adora; a che tardate?
Arm. Millo,
Vostra son, nol ricuso, e pronta sono
Per l’altar, per le nozze.
Mil. O generosa,
Umana Principessa! Voi, Leandro,
Servitela alla Reggia, ond’ella possa
Alquanto riposar. Frattanto al Tempio
Vadan gli ordini miei.
Smer.(basso ad Arm.) Via, state allegra.
Andiamo; allegra.
Arm.(basso) Ah, Smeraldina mia.
Questo cor non lo vuol. (servita Armilla da Leandro, dopo un’inchino, ed un’occhiata notabile a Jennaro che sarà immerso in una profonda malinconia, parte)
Smer.(a parte) La compatisco,
Se sapesse i pronostici!... Qui vedo
Un certo che... Ma forse saran fiabe.
Le nozze non turbiam. (entra)
SCENA SETTIMA.
Millo, Jennaro indi Pantalone e servi.
Mil.(a Jen.) Perchè tardanze
Alla mia contentezza, al mio conforto
Volevate, o Jennaro?
Jenn.(mesto e confuso) Io mi credea
Dopo un lungo viaggio... Or basta... Or bene... (a parte agitato) Oh Dio! crudo Norando! e tacer deggio! (vedendo uscir dalla galera Pantalone, e i servi col cavallo, e il falcone, segue da sè affannoso)
Ecco il falcone, ecco il destrier venire;
Eccomi al duro passo. O Giove sommo,
Soccorri a me, al fratello, e fa ch’io possa
All’orrenda sentenza oppor l’ingegno.
Mil. (da sè, che l’averà osservato) Il fratello che ha? più nol conosco. (s’avanzano i servi col falcone, e col cavallo che verrà saltellando. A cenni di Pantalone si fermano da una parte. Pantalone s’avanza con umiltà.
Pant. Xe permesso a un povero vecchio, inutile ai so paroni, de basarghe la man? (bacia la mano a Millo)
Mil. Disutil voi? De’ Cortigiani suoi
Il più utile in voi Millo contempla.
Il valor vostro al procelloso mare
So che tolse un fratel, che tolse Armilla,
La vita del Re vostro.
Pant. El Cielo, che ghe vol ben a ella, ha assistio la mia poca abilità. La ringrazia el Cielo in primo logo, e pò el coraggio, l’amor, el cuor, la rara fortezza fraterna del Principe Jennaro, verso el qual, me sia permesso el dirlo con tutte le viscere, e senza riguardi, no la pagherà mai le so obbligazion.
Mil. Sì, il confesso, (osservando il falcone, e il destriere)
Ma si doni all’estrema debolezza
Del mio genio alla caccia. Quel destriere.
Quel falcon sono i due più rari oggetti,
Che alla mia inclinazion servisser mai.
Di chi sono? (Jennaro si mostrerà inquieto)
Pant. De chi? De quel so fradelletto, che no sparagna mai attenzion per indovinar quali oggetti possa esser più grati a un’altro so fradelletto.
Mil. Vi son grato all’estremo.
Cari son quegli oggetti al fratel vostro.
Jen. (da sè agitato) Del barbaro decreto ecco il principio.
Coraggio. Sì, fratel, questo è un falcone,
(prende il falcone)
Ch’è raro mostro di bravura, ed io
Nelle man vostre lo consegno.
(va incontro a Millo col falcone)
Mil. (con atto di contentezza appressandosi per riceverlo)
È vago.
Quant’obbligo!...
Jen. (smanioso a parte) Si salvino le luci
Al fratel mio, (consegna a Millo il falcone, e nell’atto medesimo sfodera un coltello, che avrà nella cintura, recide il capo al falcone, lo getta in terra con impeto, e rimane ottuso).
Mil. (sorpreso) Qual stravaganza è questa!
Pant. (attonito) Cossa diavolo aveu fatto! Un falcon de quella sorte, che copava i francolini colla coa? Oh poveretto mi! Son storno, non intendo gnente.
Mil. (con sussiego) Era vostro, fratel. Se v’era caro,
Potevate tenerlo. Vi sovvenga,
Fratel vi son, ma vi son Re.
Jen. (confuso) Scusate...
Un ratto... un entusiasmo... (a parte disperato) Acerbo arcano!
E svelar non ti posso! (con amorevolezza) Quel corsiere,
D’ogni altro più gentil, vi risarcisca
Dell’ucciso falcon. Su quel salendo,
E ritrovando in quello una destrezza,
Ch’unqua non fu in destrier, vi scorderete
Della perdita fatta, e ch’ora il mio
Cieco entusiasmo cagionò.
Mil. (da sè) Vaneggio;
E non so indovinar... Sì, quel destriere
Accetto, e salirò. Sino alla Reggia
Proverò il suo valor. Nel cocchio mio
Voi salirete insiem coll’Ammiraglio.
(I servi avvicinano il cavallo; Millo prende le redini per salirvi)
Jen. (da sè con furore) Date forza voi. Numi, al braccio mio,
Sicchè un fratel possa salvar da morte.
Mil. (con fierezza) Fratel, v’intendo: il procurar ritardo
Alle mie nozze, e l’inaudita, e strana
Forma d’insolentarmi co’ dispetti
Chiaro palesa un cieco, inopportuno,
E folle amor, che per Armilla avete,
E ch’odio verso me v’accende il seno.
V’amo, fratel; de’ benefìzi vostri
Non v’abusate. Non sorpassi innanzi
L’eccesso vostro; o, Re, saprò punirvi.
(a parte) Quale sospetto!.. gelosia m’agghiaccia,
Mi strugge il core. È troppo bella Armilla;
Jennaro m’è fratel; ma amor non guarda
A congiunti, ad affronti, ad odj, a risse...
Ah, che mi sento il foco entro alle vene.
(parte dispettoso colle guardie)
Jen. Fratello... Mìllo... O Dio! sdegnoso ei parte.
E dirgli non potrò: troncando il capo
A quel falcon, le gambe a quel destriere,
Le care luci ti serbai; la vita
T’ho difesa, o fratello? E, se l’arcano
Paleserò per iscusarmi, in pietra
Cambierassi Jennaro! Ah pazienza
Di quanto fu sin’ora. Come mai,
Se sieguono le nozze con Armilla,
Potrò salvar dal minacciato mostro
Questa notte il fratel? Tutto il mio spirto
Certo porrò per far che sia deluso
Di Norando il poter. Tentisi ogni opra;
Si mora alfin, pur che il fratel sia salvo.