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Teocrito - Idilli (III secolo a.C.)
Traduzione dal greco di Luca Antonio Pagnini
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I PESCATORI

Idillio XXI

La sola povertà, delle fatiche
     Maestra, l’arti, o Diofanto, avviva.
     Stuol di cure affannose i lavoranti
     Non lascia riposare, e se taluno
     Pur un po’ della notte il sonno prende,
     Il turban tosto i sovrastanti impacci.
Due vecchi pescator giaceano insieme
     Su stesa in lor capanna aliga secca,
     Appoggiati di frasche a una parete.
     Vicino ad esti stavano gli ordigni
     Di lor mestiero, ami, panieri, canne,
     Algose reti, setolosi lacci,
     Vimini intesti, funi, una pelliccia,
     E una vecchia barchetta su i puntelli.
     Facenn lor capezzale una sportella,
     I vestiti, i cappelli. Erano questi
     Tutti gli arnesi loro, e le ricchezze.
     Nessuno avea nè pentola, nè teglia.

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     Tutto parea soperchio oltre la pesca.
     Povertate era lor compagna, e nullo
     Vicino a molto spazio, e intorno intorno
     Al logoro abituro il mar nuotava
     Placidamente. Ancor giunto non era
     A mezzo corso il carro della Luna,
     Che l’amata fatica i pescatori
     Destò, e scosso giù dalle palpebre
     Il sonno, allegri mossero un bel canto.
asfalione
Amico mio, non dice il ver chi dice,
     Che l’estate s’accorciano le notti,
     Quando Giove ne reca i giorni langhi.
     Già fatto ho mille sogni, e non è l’alba.
     Son forse anni le notti, o pur m’inganno?
compagno
La bella estate a torto danni. Il tempo
     Non oltrepassa, Asfalion, suo corso.
     Le cure, che interrompono il riposo,
     Son quelle che ti fan lunga la notte.
asfalione
Hai tu imparato a intenderti di sogni?
     lo n’ho fatto de’ belli; e già non voglio,
     Che la mia vision ti sia nascosa.
     Ma vo’ non men che il pesce tutti i sogni
     Teco partir. D’ingegno a nullo cedi.
     Or di sogni un interprete eccellente
     È quei, che ha per maestro un buon ingegno.
     Senza che siamo in ozio, e che ha da farsi
     Chi su le foglie posa in riva al mare
     Nè dorme volentier fra gli spineti?
     Al Pritaneo v’è il lume; e qui si dice,
     Che pescagion v’è sempre.
compagno
                                             Orsù comincia!
     E a me, tuo confidente, il tutto esponi.

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asfalione
Quando dopo il pescar ne venni a letto
     Jer sera (e certo i’ non avea gran fumi,
     Perchè, se ti sovvien, cenammo al tardi
     Senza gravar la pancia), a me parea
     Di star sovra una roccia ai pesci intento.
     Assiso fea la guardia, e con le canne
     L’ingannevol su loro esca agitava.
     Un de’ più grossi l’abboccò (che in sogno
     Ogni can pane s’augura, ed io pesce).
     Pendea dall’amo, e ne spicciava il sangue.
     La canna per quel moto ripiegossi.
     Le mani io stesi, e trovai pur contrasto
     Intorno all’animal, nè capia come
     Con debili ferruzzi aver potessi
     Pesce sì grande; ed a squarciarlo intento
     Dissi: tu forse vuoi ferirmi? al certo
     Mal potrai gire a nuoto. E vistol fermo
     Stesivi il braccio, ed ebbi vinto il gioco.
     Fuori ne trassi un aureo pesce, e tutto
     Contesto d’oro. Presimi timore
     Non fosse un pesce diletto a Nettuno,
     O d’Anfitrite azzurra un tesorello;
     Indi dall’amo a mio bell’agio il tolsi,
     Perchè non vi restasse alcun frammento
     D’or della bocca affisso, e me lo trassi
     Con funicelle a terra, e giuramento
     Feci di non mai più por piede in mare,
     Ma stare in terra e dominar con l’oro.
     In questo mi risveglio. Or tu, compagno,
     Pon la mente a partito. Mi sgomenta
     Il giuro da me fatto.
compagno
                                   Non temere.
     Tu non giurasti; perocchè veduto

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     Non hai già, nè trovato il pesce d’oro.
     Questi sogni son fole. E se vuoi girne
     Veggente, e desto a rifrustar que’ luoghi,
     La speranza de’ sogni il vero pesce
     Ti farà ben cercar, se non vorrai
     Con questi sogni d’or morir di fame.