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Teocrito - Idilli (III secolo a.C.)
Traduzione dal greco di Luca Antonio Pagnini
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IL BIFOLCHETTO

Idillio XX

Eunice mi beffò, quand’io volea
     Dolce parlarle, e con pungenti motti
     Mi disse: Va in malora. Tu bifolco,
     Presumi innamorarmi? O meschinello!
     Non ho imparato le villesche usanze,
     Mai vezzi di città. Ve’ come guati,

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     Come favelli, come rozzo scherzi!
     Che voce delicata, e detti blandi!
     Che molle barba! Che vistosa chioma!
     Hai tisiche le labbra, e le man nere.
     Tu puzzi. Via di qua. Non ammorbarmi.
Ciò detto in seno si sputò tre volte,
     E me da capo a piè squadrò biasciando
     Fra le labbra, e guatando ad occhi biechi.
     Di sua beltate ingaluzzossi, e femmi
     Un cotal riso amaro a denti aperti.
     Tosto bollìmmi il sangue, e pel dispetto
     Arrossii come rosa alla rugiada.
     Ella partendo abbandonommi, ed io
     La rabbia ho sotto al cor, perchè un’infame
     A scherno prese me, che son sì gajo.
Pastor, ditemi il ver: non son io bello?
     Forse alcun Dio mi fe’ repente altr’uomo
     Da quel di pria? Certa beltà gioconda
     Fioriva dianzi in me, qual edra suole
     Su per un tronco, e la mia barba ornava.
     Sparse intorno alle tempie eran le chiome
     A guisa d’appio, e su le ciglia nere
     Bianca lucea la fronte; assai più azzurre,
     Che quelle di Minerva, eran mie luci;
     E più d’una giuncata era soave
     Mia bocca, e dalla bocca si spandea
     Il ragionar più dolce d’un fiale.
     Grate son pur mie note, o ch’io siringa
     Moduli, o canna, o piffero, o traversa.
     Tutte mi chiaman bello e m’aman tutte
     Le montanine; e pure amor negommi
     La cittadina. Perch’io son bifolco,
     Oltre passò, nè udi giammai, che in valli
     Pasce il bel Dioniso una vitella.
     Nė seppe ancor, come per uom di buoî
     Pastore in furor venne Citerea,

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     E a pascolar n’andò pe’ Frigj monti:
     Amò fra i boschi Adon, fra i boschi il pianse.
     E chi er’egli Endimion? Non era
     Bifolco? E sì bifolco amollo Cintia.
     Dall’Olimpo scendeva alle foreste
     Di Latmo, e col fanciul dormìa. Tu, Rea
     Piagni pure un bifolco. E tu pur anco
     Per un garzon di buoi guardiano errando
     Non gisti, o figlio di Saturno? Eunice
     Sola a un bifolco amor negò, costei
     Maggior di Rea, di Venere e di Cintia.
     Or tu, Ciprigna, nè in città, nè in monte
     Amar più il damo, e sola dormi al bujo.