I solitari dell'Oceano/27. Attraverso l'Oceano Pacifico

27. Attraverso l'Oceano Pacifico

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CAPITOLO XXVII.

Attraverso l'Occeano Pacifico.


Il tempo intanto non accennava a cambiare, anzi pareva che volesse tramutarsi in una burrasca violentissima e costringere l’Alcione a cambiare rotta, gettandolo verso l’intricato arcipelago delle Nuove Ebridi.

Violenti raffiche si succedevano di quando in quando, accompagnate da furiosi acquazzoni di breve durata ma non pertanto molto importuni.

Il vento tendeva a girare al sud-ovest, obbligando l’Alcione alla faticosa manovra delle bordate e mettendo a dura prova il suo scarso equipaggio e con poca riuscita.

Anche le onde aumentavano sempre, muovendo all’assalto della nave, la quale rollava fortemente essendo quasi vuota e male equilibrata in causa della mancanza dell’albero maestro.

Tuttavia Vargas, abilissimo marinaio, coadiuvato efficacemente da Strong, il quale in altri tempi doveva essere stato un valente mastro, si sforzava di tenere la rotta primiera, per raggiungere le coste meridionali della Nuova Caledonia e risalire quindi attraverso il mare del Corallo.

Quella lotta non doveva però durare a lungo. Non ostante le continue bordate, l’Alcione veniva a poco a poco ricacciato verso settentrione, facendo perdere a Vargas la speranza di girare la Nuova Caledonia.

Infatti due giorni dopo, l’Alcione, giunto all’altezza di Valpole, piccola isola perduta fra l’arcipelago di Tonga e la lunga isola francese, ostacolato dal vento contrario, girato quasi improvvisamente all’ovest, abbandonava la sua primiera direzione fuggendo attraverso l’arcipelago delle Nuove Ebridi.

Il tempo era diventato minacciosissimo e le onde s’incalzavano con crescente furia, scuotendo sempre più impetuosamente la povera nave.

Tuoni formidabili scuotevano le masse vaporose, diventate nere come la pece, determinando incessanti acquazzoni.

Una vaga inquietudine cominciava ad invadere tutti. Anche Strong ed i suoi uomini parevano assai scossi ed interrogavano ansiosamente l’orizzonte, temendo che la nave si trovasse improvvisamente dinanzi ad una delle tante isole che ingombrano quel tratto dell’Oceano Pacifico.

L’Alcione, già molto danneggiato dal primo tifone, non offriva [p. 190 modifica]più sufficienti garanzie. Il suo fasciame poteva aprirsi in qualche grave via d’acqua.

— Che siamo destinati a perire tutti? — chiese Cyrillo all’ufficiale, il quale non abbandonava quasi più la ribolla. — Si direbbe che questa nave sia maledetta.

— Non è l’uragano che m’inquieta, — rispose l’argentino. — Sono le isole e le scogliere che le circondano che mi impensieriscono assai. Ci troviamo in un mare poco noto, signor Cyrillo e possiamo, da un momento all’altro, urtare contro qualche banco corallifero. Voi sapete che i polipi continuano a costruire dovunque trovano un fondo propizio.

— Sono lontane le Ebridi?

— Non le vedremo prima di tre giorni, — rispose l’argentino.

— Se si potessero sfuggire.

— È quello che tenterò di fare, quantunque l’Alcione governi male. La nostra alberatura è troppo imperfetta e non possiamo contare che sulla randa e sui flocchi.

— Che cadano il trinchetto ed il travo maestro?

— Lo temo, signor Cyrillo, — rispose Vargas. — Quello di parrocchetto è ormai compromesso.

— Signor Vargas, — disse in quel momento Strong, avvicinandogli. — Mi pare che la nostra situazione diventi grave.

— Me ne sono accorto.

— E vi consiglierei di cercare un rifugio.

— E dove?

— A Erromango per esempio; io so che in quell’isola v’è un buon ancoraggio.

— La nostra nave è troppo compromessa per tentare una simile manovra.

— Forse che voi avete guastato o fatto guastare il timone? — chiese il bandito aggrottando la fronte. — Mi sono accorto anch’io che da qualche giorno l’Alcione governa male.

— Mi avete veduto voi? — chiese l’argentino, piccato.

— No, perchè se vi avessi veduto io, a quest’ora non sareste più vivo.

— Sono minacce che non fanno alcun effetto su di me. D’altronde non saprei trovare un motivo soddisfacente perchè io avessi avuto l’idea di guastare il timone. Forse che non vi siamo anche noi a bordo? Naufragando la nave, trascinerei anche noi nella rovina.

— Che cosa volete? Io sospetto di voi, — disse Strong, un po’ tranquillizzato. — Non credete dunque possibile poggiare su qualche isola.

— Cercherò anzi di evitarle, — rispose l’argentino.

— Fate quello che meglio credete, però non dimenticate che io ed i miei uomini vi sorvegliamo. [p. 191 modifica]

— Lo so.

— State quindi in guardia, se vi preme la pelle. —

Verso sera l’Alcione, sempre perseguitato dalle onde e spinto da raffiche che aumentavano incessantemente, passava in vista d’una costa sulla quale si vedevano brillare numerosi fuochi.

Doveva essere quella di Annatone, la più meridionale del gruppo delle Ebridi e anche una delle più piccole non essendo lunga che tre leghe su due di larghezza.

I suoi abitanti avevano di certo scorta la nave e avevano accesi dei falò colla speranza di attirarla sulle loro spiagge e quindi assalirla dopo d’averla fatta naufragare.

L’argentino e Strong conoscevano però troppo bene quegli isolani per lasciarsi ingannare così grossolanamente.

Durante la notte un altro fuoco apparve, ma ad una grande altezza, pareva che bruciasse qualche foresta situata sulla cima d’un monte o che ardesse un vulcano.

L’Alcione si trovava addosso a quel pericoloso arcipelago, molto prima del tempo fissato dall’argentino.

Certo la nave doveva aver percorso un cammino velocissimo per giungere così presto fra quella moltitudine d’isole.

L’arcipelago delle Nuove Ebridi è uno dei più considerevoli dell’Oceano Pacifico occidentale, estendendosi su uno spazio di centoquaranta leghe dal nord-nord-ovest a sud-sud-est, ed è anche uno dei meno noti, non essendo stato visitato che da pochi navigatori dopo Quiros che lo scoprì nel 1606, Boungaiville che lo visitò nel 1798 ed il capitano Cook che lo percorse verso la fine dello stesso secolo.

L’argentino che non voleva impegnarsi fra quella moltitudine di isole, di banchi e di scogliere, dove aveva mille probabilità di perdere la nave e di venire massacrato da quei feroci abitanti, piegò risolutamente verso l’ovest, cercando di raggiungere le coste settentrionali della Nuova Caledonia.

Solamente da quella parte vi poteva essere uno scampo, essendo il mare del Corallo relativamente sgombro di terre.

Il tempo però si manteneva ostinatamente pessimo e le ondate non cessavano di battere poderosamente i fianchi e la poppa della povera nave.

Qualche cavallone giungeva perfino sul ponte e rovesciandosi sopra le murate spazzava la coperta da babordo a tribordo, trascinando via qualche maiale o qualche cassa di noci di cocco.

Fortunatamente il vento era ancora favorevole. Diversamente i disgraziati naviganti si sarebbero trovati immensamente imbarazzati per la scarsità dei viveri, già per se stessi poco nutrivi, eccettuati i pochi porci ancora rimasti e che venivano sacrificati con estrema parsimonia.

Il decimo giorno della loro partenza da Pylstard, i pirati ed i loro prigionieri, dopo una lotta ostinata, riuscivano finalmente ad [p. 192 modifica]avvistare la punta settentrionale della Nuova Caledonia. Al di là s’apriva il mare del Corallo, ampia estensione d’acqua che bagna contemporaneamente le coste orientali dell’Australia ed il pericolosissimo arcipelago delle Linsiadi posto all’estremità della Nuova Guinea e Papuasia.

Il mare però, al di la dell’isola di Bulabea che s’innalzava in una profonda incavazione della Nuova Caledonia, era così sconvolto, da spaventare perfino i pirati.

Vere montagne d’acqua d’un’altezza prodigiosa, si scagliavano le une dietro alle altre con foga formidabile, producendo un orribile rimescolamento nei dintorni dell’isola.

La punta settentrionale della Nuova Caledonia, cosparsa di pericolose scogliere, rompeva quelle ondate, facendole rimbalzare fino alle tempestose nubi.

L’Alcione, affogato da quelle masse liquide, quasi senza vele, essendosi presi terzaruoli su tutta la randa e ammainate prontamente le altre per non far precipitare la malferma alberatura, non governava quasi più e veniva respinto senza posa.

Il momento era terribile: un naufragio pareva certo.

Strong, spaventato, aveva raggiunto l’argentino il quale si affaticava alla ribolla del timone.

— Che cosa dite voi? — gli chiese.

— Che la salvezza della nostra nave è appesa ad un filo, — rispose l’argentino.

— Che non sia possibile varcare il capo?

— Lo dubito.

— Allora la nostra nave si sfracellerà.

— Può darsi.

— Ma io non lo voglio!

— Mettetevi voi alla ribolla; vi cedo volentieri questo posto, — rispose l’ufficiale, seccato. — Devo dirvi...

La frase gli fu spezzata da una lontana detonazione che non potevasi confondere col tuono.

— Un colpo di cannone, è vero? — chiese Strong, con voce sorda.

— Sì, una cannonata, — confermò Sao-King il quale si era aggrappato alle griselle dell’albero di mezzana.

Un lampo squarciò in quel momento le nubi, illuminando lo sconvolto oceano.

Quantunque quella luce livida fosse durata solamente pochi secondi, il chinese aveva potuto scorgere, alla distanza di un miglio, forse meno, una grossa nave che al pari dell’Alcione si sforzava di doppiare il capo della Nuova Caledonia.

— Signor Ioao, — disse, vedendosi presso il giovanotto. — Abbiamo nelle nostre acque una nave da guerra! [p. 193 modifica] Sangue di Belzebù — esclamò il capo dei pirati, — vi sono dei morti là dentro! — (Cap. XXVI). [p. 195 modifica]

— Non ti sei ingannato, Sao-King? — chiese il giovane, con voce alterata.

— No, signor Ioao e la nostra libertà e forse la nostra vita la tiene quel vascello.

— Che cosa vuoi dire Sao-King?

— Che se noi non troviamo un mezzo per far dei segnali e richiamare su di noi l’attenzione di quella nave, un’occasione più fortunata non ci si presenterà forse più.

— I pirati ci ucciderebbero.

— Guardate, la nave corre bordate verso di noi. —

Alla luce d’un nuovo lampo, aveva veduto quel vascello poggiare verso il capo per prendere maggior vento sicchè veniva quasi ad incrociare l’Alcione.

Anche Strong l’aveva scorta perchè una rauca imprecazione gli era sfuggita dalle labbra.

— Nave da guerra! Che il mare la inghiotti! Ma la tempesta ci proteggerà! —

Poi volgendosi verso Vargas, gli gridò con voce minacciosa:

— Volgete la prora al nord!

— È impossibile, — rispose l’ufficiale, che aveva subito compreso quanto aveva da sperare da quella nave.

— A me il timone! — urlò Strong. — Meglio che la nave s’infranga che piuttosto venire abbordati da quel vascello. —

Sao-King aveva afferrato Ioao per un braccio, conducendolo verso prora, dove le onde irrompevano sopra le murate, precipitandosi in coperta.

— Non abbiamo un momento da perdere, — gli disse con accento risoluto.

— Se volete salvare vostro fratello ed il signor Vargas, seguitemi: Dio e Buddha ci aiuteranno.

— Cosa vuoi fare?

— Gettarci in mare e raggiungere quel vascello. Noi sappiamo dove va l’Alcione e lo faremo inseguire.

— E potremo uscire vivi da queste onde?

— Vi sono dei salvagente a prora e poi l’isola di Bulabea sta di fronte a noi. Venite o mi getto io solo.

— Non ti abbandonerò, Sao-King, — rispose il coraggioso giovane risolutamente. — Un momento solo per avvertire mio fratello.

— Non vi permetterebbe mai di tentare una simile impresa.

— È necessario rassicurarlo sulla nostra sorte.

— Il signor Vargas comprenderà tutto, avendolo già avvertito dal mio progetto nel caso che dovessimo incontrare una nave. Orsù, venite, signor Ioao.

Il momento è propizio.

— Sono con te, Sao-King. —

Strong si era messo al timone e si sforzava di spingere la nave verso il nord, a rischio di farla subissare. [p. 196 modifica]

Il vascello stava allora per virare di bordo a meno di cinque gomene, per non andarsi ad infrangere contro le scogliere dell’isola.

Al pari dell’Alcione lottava penosamente, ma essendo molto più alto di bordo, resisteva meglio alla furia delle onde. Nondimeno pareva che non dovesse riuscire a superare il difficile passo, perchè il vento lo respingeva verso il mare delle Nuove Ebridi.

Sao-King, approfittando del momento in cui i pirati s’accanivano contro la randa, trasse il giovane sul castello di prora dove, legati alla murata, vi erano parecchi salvagente.

— Signor Ioao, — disse. — Siete deciso?

— Sì, Sao-King.

— Giuochiamo la nostra vita.

— Si tratta di salvare mio fratello.

— Passatevi il salvagente e attento all’onda. Mi terrò presso di voi. —

Con un colpo di coltello staccò un gherlino e legò i due anelli di sughero lasciando, fra l’uno e l’altro, alcuni metri di corda.

In quell’istante una montagna d’acqua correva addosso alla nave, muggendo cupamente.

S’infranse con impeto irresistibile sulla prora dell’Alcione, spazzando il castello.

Quando scomparve dall’altra parte, Sao-King e l’animoso giovane non si trovavano più al loro posto.

Nel medesimo istante l’Alcione, sotto la vigorosa mano di Strong, superava il capo scomparendo fra le tenebre in direzione del mar del Corallo.