I solitari dell'Oceano/25. Uno scambio atroce
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CAPITOLO XXV.
Uno scambio atroce.
Pylstard è una delle più selvagge isole dell’arcipelago di Tonga-Tabù e anche una delle meno popolate e delle più povere, però se la sua vegetazione è scarsa, viceversa poi è ricca di porci selvatici introdottivi dal capitano Cook.
Sembra che sia d’origine vulcanica anzichè madreporica, avendo le coste molto elevate e nell’interno ha due montagne divise da una valle profondissima.
Gli zoofiti però hanno concorso non poco ad ingrandirla, costruendo presso le sue spiagge numerose scogliere che col tempo si uniranno probabilmente all’isola, ingrandendo i suoi contorni.
L’ancoraggio scelto dall’argentino dietro le indicazioni di Strong, il quale conosceva l’isola, non era molto sicuro quantunque delle file di scogli lo riparassero dagli assalti delle onde, tuttavia poteva bastare pel momento.
La costa pareva deserta, non scorgendosi nè capanne, nè piroghe. Era invece popolata da una moltitudine di quegli uccelli chiamati paglie in coda e che gli olandesi chiamano pylstard, nome che rimase anche all’isola.
Al di là delle prime rocce, si vedevano delinearsi gruppi di noci di cocco, di banani e di mori papiriferi del più bell’aspetto, quantunque il terreno sembrasse piuttosto arido.
Strong, dopo d’aver osservata attentamente la costa si era voltato verso l’argentino e Cyrillo che gli stavano accanto e disse loro:
— Un colpo di cannone basterà a far accorrere quei selvaggi. Là in mezzo a quei boschi vi sono delle borgate.
— E perchè non andiamo a cercarle se, come mi avete detto, avete qui delle conoscenze? — chiese Cyrillo.
— Non mi fido, — rispose il pirata, — con un sorriso che pareva una smorfia.
— Dei selvaggi?
— Oh no, di voi. Sareste capaci di fuggire nei boschi e mi siete troppo necessari per lasciarvi andare ora.
Anzi, finchè saremo qui, vi farò sorvegliare attentamente.
— Fatelo pure, — disse Cyrillo, con noncuranza. — D’altronde non abbiamo alcuna intenzione di finire la nostra esistenza fra gli antropofagi.
— Voglio credervi. Avete oggetti di cambio a bordo da dare a quei selvaggi?
— Nessuno, perchè la nostra nave non trafficava colle isole polinesiane, — rispose l’argentino.
— Un buon articolo di scambio l’ho già io, — disse Strong. — Vi aggiungeremo dei pezzi di ferro, dei chiodi, qualche catena fuori d’uso ed i nostri selvaggi saranno egualmente contenti.
Ehi, Davy, fa’ tuonare i cannoni. —
Il pirata che portava quel nome scaricò i due pezzi d’artiglieria in direzione della costa, onde il rimbombo si propagasse sotto i boschi e sulle due montagne che si ergevano di fronte alla nave.
Non era trascorso un quarto d’ora che si videro alcuni uomini a comparire sulla spiaggia, armati di lance e di mazze, poi si vide una piroga verso uno dei due promontori che formavano l’insenatura.
Quella barca, simile a quelle usate dagli isolani di Vavau e di Tonga-Tabù, era montata da sette selvaggi quasi nudi, non avendo che dei corti perizomi di fibre vegetali e pochi amuleti formati specialmente di scagliette di tartaruga.
Dapprima descrisse un largo giro intorno alla nave, temendo probabilmente, gli uomini che la montavano, di avere una brutta accoglienza, poi mosse innanzi fermandosi dinanzi la scala.
Colui che la guidava doveva aver riconosciuto Strong, perchè gli diresse subito la parola chiedendogli il motivo del suo ritorno ed a bordo d’una piroga così immensa.
— Sali, — disse Strong. — Tu non hai nulla da temere, anzi molto da guadagnare.
— Siete venuto ancora qui? — chiese l’argentino al pirata.
— Sì, prima di venire gettato sulle coste di Vavau dalla tempesta, ci eravamo fermati qui per rinnovare le nostre provviste.
— Montavate prima una nave?
— Un bel brick, solido e bene armato.
— Affondato dopo qualche combattimento?
— No, da una dannata punta di corallo che sventrò la carena del veliero.
Eravamo allora sulle coste meridionali della Nuova Caledonia e... ma che importa a voi sapere questi particolari? E poi, abbiamo altro da fare in questo momento. —
Il selvaggio era già salito a bordo ed era andato a strofinare il suo naso contro quelli dei pirati, manifestando una viva gioia nel rivederli.
— Tra bricconi si va d’accordo, — disse Cyrillo. — Chissà quante birbonate hanno commesso insieme.
Strong prese il selvaggio sotto il braccio e lo condusse verso prora parlando animatamente. Certo non desiderava che i prigionieri assistessero al colloquio, essendo stato informato che Sao-King comprendeva la lingua dei tonghesi.
— Signor Cyrillo, — disse Vargas, con voce inquieta. — Che Strong miri a sbarazzarsi di noi? Se voleva chiedere solamente dei viveri, poteva parlare in nostra presenza.
— Avrebbe potuto farlo prima, — rispose il peruviano. — Se non l’ha fatto allora, possiamo essere tranquilli.
— E poi siamo troppo necessari, — disse Ioao.
— Sì, ma fino a quando? — disse l’argentino, la cui fronte si era annuvolata. — Credete che poi ci mettano in libertà? Io ho i miei dubbi.
— Se potessimo sbarazzarci di costoro, — mormorò Sao-King.
— Ci vorrebbe l’incontro d’una nave da guerra, — rispose l’argentino.
— Ed in quest’oceano sono rare, è vero? — disse Cyrillo.
— Pur troppo, signore. Tuttavia se ne incontrano talvolta lungo le coste australiane. Ho però un progetto.
— E quale?
— Di gettare in mare parecchie bottiglie con qualche buon documento nell’interno che spieghi la nostra prigionia e la nostra pessima situazione. Se potesse qualcuna venire raccolta da un vascello da guerra, la nostra liberazione sarebbe certa.
— Un mezzo poco pratico, Vargas, — disse Cyrillo.
— Talvolta riesce, signore.
— Bisognerebbe sapere dove questi pirati hanno il loro covo.
— Lo sapremo.
Intanto Strong aveva terminato il suo colloquio ed il selvaggio, dopo d’aver bevuto un bicchiere di wisky e d’aver ricevuto in regalo alcuni chiodi e degli stracci variopinti presi nelle casse dell’equipaggio, era ridisceso nella sua piroga.
— Avremo viveri ed acqua, — disse il pirata, volgendosi verso i prigionieri. — Il nostro viaggio è assicurato.
— E l’albero? — chiese l’argentino. — La nostra nave non può intraprendere una così lunga navigazione in queste condizioni.
— Porteranno legname in abbondanza che poi noi lavoreremo. Uno dei miei uomini andrà a terra a scegliere le piante che meglio ci converranno.
— Non vi fidate di me? I pirati spinsero sul ponte gli otto selvaggi.... (Cap. XXV).
— Avrò forse torto, ma è precisamente come voi dite, — rispose Strong.
— Vi dimostrerò il contrario guidando l’Alcione al vostro rifugio.
— Non vi chiedo di più.
— Vi siete però dimenticata una cosa, — disse l’argentino.
— E quale?
— Di dirmi precisamente dove devo guidare la nave. Il golfo di Carpentaria è vasto.
— Conoscete lo stretto di Torres?
— Sì, l’ho attraversato più di cinque volte.
— E le isole del Principe di Galles?
— Anche.
— È a quella di Mera che noi dobbiamo andare.
— È la maggiore del gruppo, mi pare? — disse l’argentino.
— Sì, — rispose Strong.
— E poi ci lascerete andare?
— Lo spero.
— Lo sperate! — esclamò Vargas, aggrottando la fronte.
— Il comandante non sono io, mio caro signore. Il nostro capitano è morto nel naufragio, però ve n'è un altro e spetterà a lui decidere sulla vostra sorte.
— Voi giuocate partita doppia! — gridò l’argentino, irritato.
— Oh! Non inquietatevi, mio caro signore, — disse Strong. — Il luogotenente Karpellea non è così cattivo come si crede e ritengo che sarà ben lieto di sbarazzarsi di voi.
— Vi sono molti modi per liberarsi dalle persone che possono creare degli imbarazzi ed uno dei più sicuri è quello di appiccarle.
— Non andate tanto innanzi, signor mio. Voi avrete salva la vita, ve lo prometto.
— Vedo come sapete mantenere le vostre promesse!
— Eh! Finitela! Non vale la pena di guastarci il sangue per simili inezie.
— Siete un briccone! — gridò l’argentino furioso.
— Un briccone degno della corda, — aggiunse Cyrillo, che aveva assistito al diverbio.
— Adagio colle lingue, — gridò il bandito. — Dei selvaggi ve ne sono anche qui e non meno amanti della carne bianca di quelli di Vavau. Silenzio! Finitela!
L’argentino stava per slanciarsi sul miserabile; Cyrillo lo trattenne, trascinandolo via.
— Non commettete imprudenze, Vargas, — gli disse.
— È necessario liberarci da queste canaglie, — rispose l’argentino. — Si sono scoperti troppo presto.
— Non siamo ancora giunti nello stretto di Torres.
— E prima che lo attraversiamo qualche cosa succederà, signor Cyrillo.
— E ci troverete tutti pronti ad aiutarvi.
Mentre si allontanavano, dieci piroghe montate da una cinquantina di selvaggi si erano accostate alla nave.
Contenevano un gran numero di piccoli porci, delle grosse tartarughe marine, dei banani, delle noci di cocco, dei frutti d’albero del pane e soprattutto molti ignami, grossi tuberi che si conservano a lungo come le nostre patate, pesanti trenta o quaranta libbre, di colore rosso per lo più e che si mangiano cotti sui carboni o in acqua.
I selvaggi invasero subito la nave, ammonticchiando le frutta sulla coperta e gettando i porci e le testuggini nel frapponte, dove venivano subito legati agli anelli che si vedevano sul tavolato.
Non era che la prima portata, poichè dopo le piroghe riprendevano il largo con parte dei selvaggi e due pirati i quali avevano caricato due barche di barili per le provviste d’acqua.
Strong aveva fatto preparare un pranzo da Davy, composto di biscotto guasto, di un po’ di merluzzo e di tutti i rimasugli trovati nel quadro di poppa, invitando i principali guerrieri.
Vi aveva aggiunte le ultime bottiglie del capitano, una mezza dozzina circa, malgrado le rimostranze dei suoi compagni, ai quali spiaceva di intraprendere la lunga traversata senza una goccia di liquore.
Verso sera le piroghe erano di ritorno portando altre frutta, dei crostacei grossissimi, della farina di sagù, estratta dal midollo dell’albero omonimo e molti pesci che si potevano salare od affumicare.
Non mancavano una grossa provvista di legna secca e parecchi tronchi lunghi e diritti, che parevano ricavati da una specie di pino, albero comune anche nella vicina Nuova Caledonia.
— Che possano bastare quei tronchi? — chiese Strong, all’argentino.
— Per rizzare un nuovo albero da appiccarsi? — chiese questi con ironia.
— Per la nostra nave.
— Dite per la vostra.
— Per ora è di proprietà comune, — disse Strong.
— E che cosa darete in cambio di questi viveri ai selvaggi?
— Volete saperlo?
— Lo desidero.
— Guardate. —
In quel momento i pirati dopo di aver fatto portare a bordo i barili ripieni d’acqua, trascinavano sul ponte gli otto selvaggi di Vavau che fino allora erano rimasti incatenati nella sala.
I disgraziati, indovinando forse la loro triste sorte, opponevano una resistenza disperata, difendendosi a pugni ed a calci.
— Che cosa volete farne di quegli uomini? — chiese l’ufficiale, il quale cominciava già a sospettare l’infame progetto del bandito.
— Mi servono per pagare i viveri, — rispose Strong, pacatamente. — Vi aggiungerò un po’ di ferraccio e questi bravi isolani saranno soddisfatti.
— E li vendete schiavi!
— Schiavi! Non sanno cosa farne a Pylstard; qui l’uomo non è che un commestibile.
— Li mangeranno!
— Questa notte, signor mio.
— E non vi ripugna la coscienza!
— Che cosa volete che ne facessi di quei bruti.
— Ah! Vile bandito!
— Ancora! Avete la lingua sciolta voi, perfino troppo!...
— Degli uomini bianchi che vendono carne umana da macellare! Mi fate nausea, canaglia!
— Volevate che noi crepassimo di fame? Dovevate caricare la vostra nave di merci di scambio. Che gente schizzinosa! Va in bestia per una cosa così semplice. Decisamente non siete fatto per andare d’accordo con noi.
— Date del ferro e non degli uomini a quegli antropofagi! — gridò l’argentino, pallido di rabbia.
— Sì, regaleremo loro le catene delle nostre ancore, — disse Strong con accento beffardo. — Lasciate pensare a me; di commerci me ne intendo. —
Ciò detto volse le spalle per aiutare i suoi uomini a spingere gl’isolani i quali mandavano urla orribili, cercando di sfuggire alle strette dei banditi. —
L’argentino aveva mandato un grido.
— A me, amici! Impediamo questa infamia! —
Sao-King, Cyrillo e Ioao si erano slanciati innanzi come un solo uomo, armandosi rapidamente colle aspe dell’argano.
— Lasciate andare! — tuonò il chinese facendo volteggiare la manovella.
Ad un breve comando dato da Strong, quattro pirati avevano fatto un rapido dietro fronte, puntando i loro moschetti verso i prigionieri.
— Giù le aspe! — gridò Strong, con voce minacciosa. — Giù, o vi faccio fucilare come cani.
— Voi potete ucciderci, ma noi non permetteremo che si compia una simile infamia, — disse Cyrillo.
— Ed io vi ucciderò, — urlò Strong. — Qui comando io. Basta! Giù le aspe od io.... Sangue dell’inferno! Obbedite!...
Il momento era terribile, perchè il bandito pareva risoluto a fare seguire alla lettera la sua minaccia, anzi aveva spinto innanzi la canna del suo moschetto fino a toccare il petto del coraggioso commissario.
Anche gli altri pirati sembravano pronti a obbedire ciecamente al loro capo.
L’argentino aveva compreso che un momento di esitazione poteva costare loro la vita, perchè anche i selvaggi si erano posti dietro ai pirati impugnando le loro mazze, decisi a sostenerli.
— Calmatevi, — disse a Strong. — Uccidendoci non guadagnereste nulla, anzi avreste tutto da perdere perchè non potreste giungere allo stretto di Torres.
— Allora lasciate fare a me quello che meglio mi talenta, — rispose il bandito, rialzando il moschetto. — Cedendo questi isolani mi sbarazzo d’un pericolo e provvedo alle nostre esistenze.
— Cercate almeno d’indurre i selvaggi vostri amici a non ucciderli.
— Mi proverò, quantunque non abbia molta fiducia nelle loro promesse.
— Tentate di indurli a tenerli come schiavi e non già come carne da macellare, — disse Cyrillo.
— Ve lo prometto. —
Strong fece abbassare i moschetti e si recò a prora dove si trovava il capo degli antropofagi.
L’esito di quel colloquio rimase però un mistero per l’argentino ed i suoi compagni. Aveva il pirata cercato veramente di persuadere il capo a non uccidere i prigionieri o aveva parlato di tutt’altra cosa?
Vi era molto da dubitare sull’umanità di quel bandito.
Comunque fosse, dopo pochi minuti, gli otto isolani di Vavau, non ostante la loro resistenza venivano imbarcati su due piroghe e condotti rapidamente verso la spiaggia.
— Che li risparmino? — chiese Cyrillo all’argentino.
— Io ritengo che Strong non si sia nemmeno preso la briga di raccomandarli al capo e sono certo che domani tutti quei disgraziati saranno passati attraverso gl’intestini di questi ributtanti antropofagi. —