I sette a Tebe/Secondo episodio

Secondo episodio

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Eschilo - I sette a Tebe (467 a.C.)
Traduzione dal greco di Ettore Romagnoli (1922)
Secondo episodio
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SECONDO EPISODIO


corifea a
L’esplorator, mi sembra, a noi dal campo
qualche novella, o amiche, reca: in fretta
spinge i mozzi dei pie’, che sí lo muovono.
corifea b
Ed in tempo opportuno ecco il signore
figlio d’Edipo, a udir ciò ch’ei dirà:
e scompone la fretta anche il suo piede.
Entrano Eteocle e l'esploratore.
esploratore
Dei nemici dirò, ché ben lo vidi,
quale porta ciascuno ebbe da sorte.
Tidèo dinanzi alla porta di Preto
freme di già; ma non consente il vate1
che le fluenti dell’Ismeno varchi:

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ché non secondi i sacrifici furono.
Furïoso Tidèo la lotta agogna,
e leva grida — sibili di drago
a mezzo il giorno — , e l’indovino saggio
figliuolo d’Oïclèo, batte d’ingiurie,
ch’egli piaggia la morte e la battaglia,
per difetto di cuore. Cosí grida:
e tre pennacchi che il cimiero chiamano
e gittano ombra, scuote; e tintinnaboli
di bronzo clangore orrido risuonano
sotto lo scudo; e su lo scudo, questa
superba insegna effigïata: un cielo
ardente d’astri; e, fulgida, la luna
piena, chiara, degli astri il piú solenne,
della notte pupilla, in mezzo splende.
Irrequïeto nell’armi superbe,
presso la riva del fiume urla, anelo
di pugne, come destrïer che furia
sbuffa contro le redini, e sobbalza,
mentre lo squillo della tromba aspetta.
A questo chi opporrai? Tolte le sbarre,
chi garante sarà di questa porta?
eteocle
Mai tremar non mi fanno arnesi adorni,
né fan piaga le insegne; e senza lancia
morder non ponno e ciuffi e tintinnaboli.
E quella notte scintillante d’astri,
che, come dici, è su lo scudo, presto
presagio diverrà, tale stoltezza.

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Ché s’egli muore, sopra gli occhi a lui
piombando, diverrà la notte simbolo
giusto e verace, all’uom che insegne ostenta
sí tracotanti; ed ei, contro sé stesso,
vaticinato questa ingiuria avrà.
A Tidèo contro, a custodir le porte,
io costui pongo: l’onorato figlio
d’Àstaco. È generoso: il trono venera
di Verecondia, e aborre le parole
millantatrici. A turpi opere tardo,
non vuole esser codardo; e la sua stirpe
vien dagli eroi che Cadmo seminò2,
che Marte risparmiò. Ben, parmi, indigeno
è Melanippo. Al trar dei dadi, Marte
giudicherà. Ma Dice consanguinea
sospinge lui, che dalla madre terra
lontana tenga l’inimica lancia.
coro
Strofe I
Deh!, buona sorte concedano i Numi
al mio campione, poiché con Giustizia
sorge a difesa di Tebe! Io pur temo
vedere morti sanguinee di prodi
surti a difesa dei loro diletti!
esploratore
Buona ventura ad esso i Numi diano.
Capanèo sta contro le porte Elettre,

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gigante, questi, assai maggior del primo.
Il vanto è piú che d’uomo. A queste torri
minaccia orrori... Oh sorte, deh!, non compierli!
Voglia il Nume, o non voglia, abbatterà
la città, dice: né se piombi al suolo
la stessa ira di Giove a lui dinanzi,
potrà tenerlo; e i folgori ed il gitto
della saetta paragona all’alido
merïdiano. Ha per insegna un uomo
nudo che porta fuoco: a guisa d’arme
tra le sue mani arde una face: e a lettere
d’oro favella: Tebe incendieró.
Manda contro quest’uomo.... — Ohi, chi potrà
stargli di fronte? Chi senza tremare
quest’eroe tracotante aspetterà?
eteocle
Con ciò vantaggio addoppiasi a vantaggio:
ché dei pensieri temerarî, agli uomini
è la lingua verace accusatrice.
Minaccia Capanèo, s’appresta all’opera
offendendo i Celesti, e follemente
sfrena la lingua, e al cielo, esso mortale,
scaglia sonanti burrascosi detti.
Bene io confido che col fuoco il folgore
sopra lui piomberà, non punto simile
ai calori del sol meridïano.
Un uom si pianta contro lui, che tardo
è di parole assai, ma il cuore sfolgora:

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Polifonte gagliardo, a noi presidio,
a noi tutela: ché l’assiste Artèmide,
benevolmente, e gli altri Numi tutti.
Di’ chi preposto all’altre porte fu.
coro
Antistrofe I
Pèra chi scaglia le orrende minacce
su Tebe, il dardo lo colga del folgore,
pria ch’egli possa piombar sul mio letto,
e nelle ascose virginëe camere
balzando armato, mi tragga via schiava.
esploratore
Dirò chi, dopo questo, ebbe dinanzi
alle porte il suo posto. Etèocle terzo
balzò fuor dal riverso elmo di bronzo,
che alle porte Nistèe le schiere adduca.
Cavalle agita in giro, che s’impennano
sotto i frontali, di piombar bramose
contro i valli; e con barbara melode
le musoliere sibilano, piene
del soffio delle nari, e del fragore.
Né lo scudo d’insegna umil si fregia.
Sale un oplita i gradi della scala,
contro la torre dei nemici, e abbatterla
vuole, ed anch’egli grida, con intrichi
di lettere, che giú da quella torre
neppure Marte rovesciarlo può.

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Anche contro costui manda chi libera
dal servil giogo renda la città.
eteocle
Inviar con qualche arra di fortuna
potrei costui.... Sí, vada, ché suo vanto
è il forte braccio, Megarèo, figliuolo
di Creonte, che seme è degli Sparti.
Non egli il suon dei rabidi nitriti
paventerà, né lascerà la porta:
o pagherà, morendo, il suo tributo
alla nutrice terra: o i due guerrieri
vinti, e la rocca su lo scudo impressa,
la casa di suo padre adorneranno
di spoglie. Or non tacere: un altro esaltane.
coro
Strofe II
O difensore dei nostri penati,
a noi sorrida benevola sorte,
trista ai nemici, che vanti superbi
scaglian su Tebe, con mente delira.
Giove adirato li miri, e ci vendichi.
esploratore
Con urli il quarto alle vicine porte
d’Atene Òncade sta: d’Ippomedonte
l’immane mole e la figura. Un brivido,
non lo posso negar, m’invase, quando

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il cerchio dello scudo, aia gigante,
lo vidi rotear. Né vile artefice
fu chi l’insegna dello scudo pinse.
Tifone dalla bocca, alito fiammeo,
scaglia negra fuliggine, sorella
volubile del fuoco; e intorno intorno,
della concava spera orlato è il cuoio
con viluppi di serpi. Alto ei levava
l’urlo di guerra: si lanciava, pieno
di Marte, come furiosa Tïade,
alla pugna: terror gli occhi spiravano.
Ben dalle prove di quest’uomo guàrdati:
ché terrore alle porte alto già grida.
eteocle
Òncade Palla, che alle porte presso
siede, la tracotanza aborrirà
di quest’uomo, lontano lo terrà,
come dragone orribile, dal nido.
Il nobil figlio d’Ènopo, l’eroe
Iperbio, contro questo eroe fu scelto;
e nella stretta di fortuna, vuole
sperimentar la sorte. Ineccepibile
nell’aspetto, nell’animo, nell’armi.
Li pose a fronte Ermete a buon diritto,
tale nemico contro tal nemico:
e nemici saranno anche i due Numi
sovra gli scudi. Ha quei Tifon, che avventa
fiamme: d’Iperbio su lo scudo, saldo
sta Giove, e gli arde tra le mani il folgore;

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né vide alcuno mai vinto ancor Giove.
Questo Nume e quel Nume hanno essi amici.
Noi dalla parte di chi vince, quelli
di chi soccombe rimarran, se pure
Giove Tifone supera. E se debito
è che di questi guerrieri cònsona
sia la sorte alle insegne, a Iperbio, Giove
ch’è nel suo scudo, salvezza darà.
coro
Antistrofe II
Questi che sovra lo scudo il terrigeno
Dèmone infesto, rivale di Giove,
ha impresso, insegna nemica ai mortali
ed ai longevi Celesti, deh!, gitti
la testa mozza dinanzi alle porte!
esploratore
E sia cosí. Del quinto ora ti parlo,
che alle porte Borrèe presso ha le schiere,
al quinto posto, vicino alla tomba
del rampollo di Giove, Anfíone. Giura
per la sua lancia, in cui confida, e piú
del Dio l’onora, e piú di sue pupille,
che struggerà la rocca dei Cadmei,
a dispetto di Giove. Cosí grida
questo germoglio di montana madre,
uomo e fanciullo, vago volto, e or ora
su le sue gote cresce la lanugine:
fitta, ché il sevo dell’età la spinge,
gèrmina. È il nome verginal; ma egli,

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animo crudo, truce sguardo, sta
contro la porta, e non da vanto immune.
L’infamïa di Tebe, la carnivora
Sfinge, sovra il rotondo scudo, bronzeo
baluardo del corpo, infitta in saldi
chiovi, agitava, lucida figura
impressa a sbalzo; e fra gli artigli serra
un uom di Tebe, ché su lui ben fitte
piombin le frecce. — E piccolo mercato
non farà della guerra, e non vorrà
si lunga strada aver percorsa indarno,
Partenopeo d’Arcadia. Ospite è d’Argo,
e lauto scotto pagherà: minacce
contro noi scaglia, oh Dei, che non s’avverino!
eteocle
Deh, sovra sé dai Numi ciò che bramano
per noi, con l’empia lor iattanza attirino!
Di miserrima morte infino all’ultimo
perirebbero! — È già contro questo Arcade
che dici, pronto un uom schivo di vanti,
ma la sua mano sa ciò che far deve.
È fratello di quel che or ora dissi:
Àttore: e non consentirà che senza
fatti le ciance entro le porte scorrano
a fecondar malanni, o ch’entri in Tebe
chi su lo scudo impresso reca il mostro,
l’infestissima Furia. Essa, percossa
da mille colpi, a chi la vuol recare

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dai campi alla città, sarà di scorno.
Se un Dio m’assista, avrò parlato il vero.
coro
Strofe III
In fondo al seno mi sceser quei detti:
s’erge la treccia degl’irti capelli,
le gran minacce, le grandi parole
di questi iniqui ascoltando. Oh, se i Numi
nel nostro suolo li vogliano spenti!
esploratore
Il sesto eroe dirò: tutto saggezza,
d’alto valor profeta: Anfïarào
alle porte Omolèe schierato è presso.
Aspre ingiurie a Tideo scaglia: omicida,
sconvolgitor della città lo chiama,
mastro supremo di sciagure in Argo,
banditor de l’Erinni, sacerdote
dello sterminio, autor del mal consiglio
che mosse Adrasto. Gli occhi al cielo alzando,
Polinice, anche, il fratel tuo, proverbia,
in due smembrando il suo nome3; e tai detti
gli escon dal labbro: «Oh gesta ai Numi cara,
e bella a udire, ed a narrarla ai posteri,
mettere a sacco la città natale,
e i Numi patrî, e sovra lei scagliare
una caterva stranïera! E chi
con buon diritto inaridir la fonte

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della madre potrà? La terra patria
a forza presa, con le lancie, come
speri alleata averla? Io queste zolle
impinguerò: sotto la terra ostile
io, profeta, nascosto. Or si combatta:
non senza onore il mio destino io spero.
Ciò diceva il profeta. Un bronzeo scudo
tondo reggeva, senza insegna alcuna:
ché non vuole sembrar prode, ma essere.
E del pensiero in un profondo solco,
onde i saggi consigli hanno germoglio,
i frutti spicca. A quest’uom contro, invia,
credimi, forti antagonisti e saggi:
ché ben possente è l’uom che i Numi venera.
eteocle
Ahi!, cieca sorte, come unisci gli uomini!
Con gli empissimi il giusto. E in ogni evento
danno peggior che mala compagnia
non v’ha: frutto non dà che possa cogliersi:
morte produce il campo della colpa.
Se l’uomo pio con navichieri tristi,
con l’opere empie, il legno ascende, anch’egli
muore con quella gente invisa ai Numi.
E se fra i cittadini ostili agli ospiti
e immemori dei Numi, un giusto vive
senza sua colpa, nella rete stessa,
colto, percosso dal flagel che il Dio
vibra su tutti, giace. Ugualemente

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questo indovino, figlio d’Oïclèo,
uom saggio, e giusto, e buono e pio, profeta
grande, con gli empî, a suo mal grado è tratto,
coi tracotanti, che la lunga via
batteran presto del ritorno: e anch’egli
travolto ivi sarà. Giove lo vuole.
Ei non s’abbatterà, credo, sui valli:
non perché vile o d’animo codardo;
ma in questa mischia, il so, cadere ei deve,
se pur frutto han gli oracoli d’Apollo,
che sogliono tacere, o il vero parlano.
Ma pure, contro lui, Làstene prode,
ostile agli stranieri, io schiererò,
che le soglie tuteli. Annosa mente,
floride membra, rapida pupilla;
e non trattiene la sua mano, quando
deve ghermir la spada al lato manco.
I Numi, poi, dan la fortuna agli uomini.
coro
Antistrofe III
Oh Numi, udendo le giuste preghiere,
esaüditele, fate che Tebe
sorte abbia fausta: gli orror’ della guerra
sugli invasori torcete: col fulmine,
fuor delle torri li stermini Giove.
esploratore
Il settimo or dirò, che sta dinanzi
alla settima porta, il fratel tuo,

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quali sciagure impreca alla città:
di salir su le torri, ed acclamato
re della terra dall’araldo, il canto
della preda innalzare; ed azzuffandosi
con te, cadere dopo averti ucciso,
o in esilio cacciar chi l’oltraggiò,
e punirlo col bando, al modo stesso.
Questo egli grida; e i Numi della gente
invoca, e i patrî Numi, che le suppliche
di Poliníce a compimento adducano.
Regge un rotondo scudo, di compagine
nuova; e sopra v’è impresso un segno duplice:
guida una donna saggiamente un uomo,
e dice ch’essa è la Giustizia; e parlano
cosí le impresse lettere: «Quest’uomo
io guiderò: la patria terra avrà,
avrà il possesso della casa avita».
Questa la sua speranza. Or tu provvedi
chi manderai contro costui. Ché biasimo
a me dar non potrai pei miei messaggi.
Per buona rotta ora tu guida Tebe.
eteocle
Oh dissennato, oh sommo odio dei Numi!
O stirpe mia, d’Edípo o stirpe misera,
quanto il padre imprecava oggi s’avvera.
Ma non conviene piangere né gemere,
ch’altro non sorga insopportabile ululo.
E vedrem presto a che varrà l’insegna

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di Poliníce — oh nome all’opre cònsono! — :
se le lettere d’oro che millantano
sovra lo scudo, con insana mente,
gli schiuderan le porte. Oh, se Giustizia,
di Giove intatta figlia, e mente ed opere
a lui guidasse, essere ciò potrebbe;
ma né quando dal buio alvo materno
balzò, né quando fu poppante o pubere,
né quando al mento s’addensò la barba,
di fargli motto si degnò Giustizia.
Né or, credo, io, che la rovina cerca
della sua patria, presso a lui starà:
o menzognero è di Giustizia il nome,
se un uomo assiste ad ogni eccesso ardito.
Tale fiducia io nutro; e contro lui
io stesso moverò, starò. Più adatto
chi mai di me? Re contro re, fratello
contro fratello ivi starò, nemico
contro nemico. Su, schinieri e lancia
e quanto giova a schermir pietre recami.
coro
Figlio d’Edípo, a me su tutti gli uomini
diletto, deh! non renda te la collera
pari a quel maledetto! E che s’azzuffino
con gli Argivi i Cadmei, basti: quel sangue
espiar si potrà; ma se l’un l’altro
si uccidon due fratelli, oh!, tale eccidio
tempo non v’ha che ad invecchiarlo giovi.

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eteocle
Senza obbrobrio almen sia l’ultimo danno:
a chi muore, mercede unica è questa:
ché gloria i vili e turpi atti non dànno.
coro
Strofe I
Figlio, che smani? Con impeto rabido,
te non travolga la furia belligera!
Scrolla il dominio di brama funesta!
eteocle
Poi che gli eventi incalza un Dio, rapito
dai venti sia di Laio il seme tutto,
odio di Febo, sul fatal Cocito.
coro
Antistrofe I
Troppo col crudo suo morso la voglia
t’eccita al sangue, a compire un eccidio
che non si purga, che amaro dà frutto.
eteocle
Sta senza pianto, con aridi sguardi,
del padre mio l’Erinni a me davanti.
«Meglio — dice — morir presto che tardi!»

[p. 195 modifica]

coro
Strofe II
Non eccitarla, or tu! Dirti malvagio
niuno potrà, se il tuo vivere è santo!
Se di tue mani il sacrificio accetto
giunga ai Celesti, fuggirà la livida
dell’Erinni procella dal tuo tetto.
eteocle
Negletti siamo dagli Dei: la morte
sola, da noi gradiscono i Celesti.
A che blandire ancor l’ultima sorte?
coro
Antistrofe II
Or che t’è presso, blandirla dovresti:
poi che, mutando insiem col tempo, il Dèmone
voler potrebbe altro che pria non volle,
e spirare su te con piú mite aura
potrebbe forse: or tuttavia ribolle.
eteocle
Ribollono d’Edipo i voti fieri!
Gl’incubi, i sogni che i patemi beni
fra noi partiano, troppo erano veri.
coro
Odi, se pur non m’ami, un mio consiglio.

[p. 196 modifica]

eteocle
Dite possibil cosa. E siate brevi.
coro
Non ir tu stesso alla settima porta!
eteocle
Aguzzato è il cuor mio: tu non l’ottundi.
coro
Vinci, pur senza gloria, e il Dio t’onora.
eteocle
Gradire un guerrier può tal consiglio?
coro
Mieter vuoi dunque del fratello il sangue?
eteocle
Se un Dio li manda, nessuno i mali èvita.
Eteocle esce. Le fanciulle si aggruppano di nuovo intorno all’ara.

Note

  1. [p. 353 modifica]Il vate è Anfiarao.
  2. [p. 353 modifica]Cadmo, ucciso il serpente che custodiva la fonte di Tebe, ne seminò i denti. Da questi nacquero altrettanti guerrieri, che si sterminarono in zuffa reciproca, meno cinque, che furono i progenitori dei Tebani.
  3. [p. 353 modifica]Scomponendo il nome di Polinice nelle due voci che lo formano, πολύς = molto, e νεῖκος = lite, discordia, zuffa.