animo crudo, truce sguardo, sta
contro la porta, e non da vanto immune.
L’infamïa di Tebe, la carnivora
Sfinge, sovra il rotondo scudo, bronzeo
baluardo del corpo, infitta in saldi
chiovi, agitava, lucida figura
impressa a sbalzo; e fra gli artigli serra
un uom di Tebe, ché su lui ben fitte
piombin le frecce. — E piccolo mercato
non farà della guerra, e non vorrà
si lunga strada aver percorsa indarno,
Partenopeo d’Arcadia. Ospite è d’Argo,
e lauto scotto pagherà: minacce
contro noi scaglia, oh Dei, che non s’avverino!
eteocle
Deh, sovra sé dai Numi ciò che bramano
per noi, con l’empia lor iattanza attirino!
Di miserrima morte infino all’ultimo
perirebbero! — È già contro questo Arcade
che dici, pronto un uom schivo di vanti,
ma la sua mano sa ciò che far deve.
È fratello di quel che or ora dissi:
Àttore: e non consentirà che senza
fatti le ciance entro le porte scorrano
a fecondar malanni, o ch’entri in Tebe
chi su lo scudo impresso reca il mostro,
l’infestissima Furia. Essa, percossa
da mille colpi, a chi la vuol recare