I sette a Tebe/Quarto canto intorno all'ara
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QUARTO CANTO INTORNO ALL’ARA
coro
Oh tu, Giove supremo, e voi, Dèmoni
protettori di Tebe, che salve
queste mura di Cadmo serbate,
debbo adesso allegrarmi, e di giubilo
levar grida, perché senza danno
salva fu la città! Debbo piangere
la sciagura dei miseri principi
senza prole perduti. Or davvero
i lor nomi convennero all’opere1:
ché perîr per l’insana follia.
Strofe.
Ahi, della stirpe d’Èdipo
negra maledizione che omai compiesi!
Un gelo tristo intorno al cuor mi piomba.
Simile a Tíade, un cantico
levo sopra la tomba,
l’un corpo e l’altro udendo che di misero
sangue stillava, spento.
Ahi, con sinistro auspicio
questo suonò di cuspidi concento.
Antistrofe.
Non reluttante a compierlo
s’adoperò del padre il triste augurio.
Causa ne fu di Laio il mal consiglio.
Volle che fosse principe
di Tebe un proprio figlio:
ma non furono mai vani gli oracoli.
Ahi, quale orrida gesta
compieste! — Ahimè, ché d’opere,
non di parole, è la doglia funesta.
Alcuni guerrieri trasportano sulla scena i cadaveri
dei due fratelli.
corifea
Ecco a te manifesto
ciò che disse l’araldo. E’ ben visibile
il doppio cruccio: il duplice
male omicida è questo:
questa la doglia amara
compiuta già. Che posso io dire piú?
Sventura su sventura
in questi tetti seggono
ospiti sopra l’ara.
Amiche, amiche, orsú,
dove spingono i venti
dei lamenti, ora battano
le mani su la fronte
il tonfo del remeggio
che giú per l’Acheronte
sospinge ognor la barca,
che, colma di querele,
con negre vele, scende per il tramite
che Apollo mai non varca,
che il sol mai non illumina,
verso la cieca terra,
che a tutti si disserra.
corifea ii
Ora vedi che al cómpito amaro
s’avvicinano Antigone e Ismene,
al compianto dei loro fratelli.
Entrano Antigone ed Ismene, e li collocano, quella presso il
cadavere di Polinice, questa d’Eteocle.
corifea ii
Ben credo io che dai cuori amorosi,
dai bei petti, un cordoglio sincero,
che s’addica a tal lutto, ora esprimano.
Ma per noi pria convien che s’intoni
la sgradita canzon dell’Erinni,
l’inimico peana d’Averno.
Oh sorelle, sorelle, fra quante
vestan panni, le piú sventurate!
Ecco io piango, ecco io gemo; e non fíngo:
dal cuor mio questi gemiti rompono.
coro
Strofe I
Ahimè, ahi! Dissennati e sordi ai mòniti,
né pei guai rinsaviti,
divider con le spade
vollero i beni aviti.
Miseri! Ed or li colse morte misera,
e la casa nel danno ultimo cade.
Antistrofe I
Ahimè, ahi! Ché le lor case abbatterono!
Ben parve ad essi amara
la volontà di regno!
Col ferro ormai la gara
compiuta avete. L’Erinni terribile,
d’Edipo i voti addusse a certo segno.
Strofe II
Ora, colpiti al fianco,
colpiti entro nei visceri
fraterni al lato manco,
ambi cadeano. Ahimè, furie divine,
ahi, furie che imprecavano
la reciproca fine!
Ben fonda è la ferita
che dici, onde i lor corpi offesi furono,
e i tetti lor, con indicibile impeto;
onde fra loro la imprecante Furia
paterna ebber partita.
Antistrofe II
Per Tebe un urlo corre;
i piani amici gemono
tutti, geme ogni torre.
Ai discendenti loro i beni andranno
onde la gara ai miseri,
onde il mortale danno
sorgeva. Ugual retaggio
con animo crudel si compartirono.
Ma chi cosí li conciliava, il biasimo
degli amici riscuote: non di grazia
riscuote Ares omaggio.
Strofe III
Cosí, punti dal ferro, entrambi giacciono:
l’uno dell’altro sotto il ferro piomba.
Or che li attende chiedi forse? Il termine
della paterna tomba.
E dalle case, con lunga eco, un ululo
acuto li accompagna,
che si accora, si lagna,
che fuga ostile ogni letizia, e lagrime
vere versa dal seno.
Onde a me, che lamento i miei due principi,
ogni forza vien meno.
Antistrofe III
Dire ben puoi che ai cittadini i miseri
cagione fûr di gravi mali, e a tutti
gli stranieri che a gran file caddero
nella pugna distrutti.
Misera, ahimè!, fra quante donne vantano
di bei figli decoro,
la genitrice loro,
che il figlio suo fece suo sposo, e il vivere
diede a questi germani,
che trovaron cosí morte reciproca
dalle fraterne mani!
Strofe IV
Eran fratelli! E pel dissidio infesto
e per la furia dissennata, giunsero,
nell’urto ultimo, a termine funesto.
Or tregua ebbe la lite.
Commiste nella polvere,
di sangue intrisa, vedi ambe le vite.
Or consanguinee son! Disciolse il nodo
de le liti fra lor l’ospite Càlibo2
temprato al fuoco, in questo amaro modo:
le sciolse il ferro. Con amare mani
Marte partiva i beni: i voti d’Èdipo
non volle, il tristo, che cadesser vani.
Antistrofe IV
Miseri! La sua parte ognun riscosse
di mali che ad ognun partiano i Superi.
Ora un abisso è sotto le lor fosse
di dovizia infinita.
Ahimè, di quanti spasimi
la stirpe vostra fu per voi fiorita!
Intonava l’Erinni in su le schiatta
l’ululo di vittoria, il fiero cantico,
poi che fu spersa, all’ultima disfatta.
Il trofeo d’Ate stette su le soglie,
ove cadder colpiti. E quivi il dèmone
desiste, poi che d’ambi ebbe le spoglie.
Note
- ↑ [p. 353 modifica]Del nome di Polinice abbiamo già detto (pag. 189, v. 17). In Ἐτεοκλής si sentivano le due voci ἐτεόν = [p. 354 modifica]veramente, e κλέος = gloria. «Eteocle, dice il poeta, o, (se accettiamo il complemento del Prien al verso 815 ἐτεὸν κλεινοὶ πολυνεικεῖς) entrambi i fratelli, davvero si coprirono di gloria.
- ↑ [p. 354 modifica]Vedi la nota a pag. 197, v. 9.