I precursori di Lombroso/I precursori nell'arte e della psico-patologia del Genio

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I precursori nell'arte e della psico-patologia del Genio
Frenologi e psichiatri

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Capitolo VI.


I Precursori nell’arte e della psico-patologia del genio




1. Il tipo criminale nelle opere d’arte. - La questione del genio. — 2. Lélut. — 3. Moreau de Tours. — 4. Brierre de Boismont. — 5. Epilogo.


1. — Fra le prove che possono essere portate a dimostrare che esiste un tipo di fisionomia criminale facilmente rilevabile a chi abbia acume di osservazione, stanno le opere dei grandi artisti, nelle quali viene provato come l’arte coll’intuito geniale possa divinare di un tratto e fissare nell’opera personale, precorritrice di un’epoca, quelle stesse risultanze che in seguito, per la successione di una lunga serie di ricerche e di studi, si vennero dalla generalità applicando senza alcun sforzo e come naturale espressione di una conoscenza collettiva.

Non è il caso che io qui faccia una rivista delle più note ed ammirate opere dei celebrati pittori che hanno dato alle figure dei delinquenti [p. 157 modifica]che rappresentarono nelle loro tele i caratteri che la Scuola Lombrosiana ha designato essere proprî e speciali di essi. L’Iconografia dei Cesari di Edmondo Mayor, Le type criminel d’après les savants et les artistes di Ed. Lefort, il Lombroso nelle Più recenti scoperte ed applicazioni dell’antropologia criminale e nella sesta edizione dell’Uomo di genio, Enrico Ferri nei Delinquenti dell’arte, hanno raccolto, per citar pochi nomi, un’abbondante materiale illustrativo a questo proposito.

Ognuno visitando la pinacoteca che gli è più vicina può facilmente persuadersene. Citerò solo per esperienza mia come in quel grande e meraviglioso museo di arte italiana dal quattrocento ai giorni nostri, che è il Santuario di Varallo-Sesia, io abbia riscontrato perfettamente che i migliori artisti, pittori e scultori hanno sempre colpito le note caratteristiche del tipo delinquente nella rappresentazione dei soggetti che nell’azione esprimevano la malvagità, quali i Giudei (si tratta della Passione di Cristo), i carnefici, i soldati insultatori, i persecutori, ecc.

Il Ferri, nei Delinquenti nell’arte, si ferma con predilezione ai drammi di Shakespeare, che proclama il primo grande precursore della Antropologia criminale. Vi riscontra i tre tipi fondamentali di delinquenti: in Macbet il delinquente nato, in Amleto il delinquente pazzo, in Otello il delinquente per passione.

Ma questa ricerca che sembra tutta moderna e corollario quasi dell’opera di Lombroso, e [p. 158 modifica]potrebbe quindi sembrare agli ortodossi della classicità un pernicioso effetto dell’odiato metodo positivo, fu ben prima d’ora intrapresa e magistralmente condotta, prima che l’Uomo delinquente e l’Uomo di genio sollevassero a rumore il campo dei penalisti e dei letterati. E lo vedremo.

Qui occorre soltanto notare come Lombroso non solo ha dato ordinamento scientifico ed ha iniziata la riforma nel diritto penale e nella criminologia, ma collo studio positivo applicato alla produzione della genialità, abbia aperto nuovi orizzonti alla critica letteraria e umanizzato quegli idoli, che un pregiudizio atavico poneva, perchè geni, all’infuori della natura in un olimpo da operetta.

E tutti coloro che nella recente applicazione delle indagini psico-antropologiche ai geni, si scagliarono, in una gara compassionevole facendo a chi si mostrasse più ignaro di coltura biologica ed invasi da vero spirito settario, a gettar contumelie contro il grande maestro, ritenendolo responsabile di tutto il movimento scientifico applicato alla critica letteraria ed alla questione del genio, dovrebbero sapere che se è ben vero che da Lui questi studi hanno attinto un indirizzo più ordinato e severo, non sorsero per opera del solo impulso personale, ma hanno le loro origini nei principi stessi della psico-patologia e si svilupparono pure presso scuole psichiatriche prima che fiorisse quella italiana.

È quindi opportuno che almeno qualcuno di questi precursori e fattori della teorica [p. 159 modifica]lombrosiana sul genio e delle sue applicazioni, abbia a trovare posto in questo volumetto.

È impossibile negare valore alla somma dei fatti raccolti dal Lombroso e dalla sua Scuola, i quali provano come il genio abbia comune coll’epilessia la straordinaria irritabilità della corteccia, le vertigini, le convulsioni, le amnesie, le allucinazioni, le intermittenze, le periodicità; come i caratteri degenerativi del genio, mancinismo, precocità, sterilità; misoneismo parziale, doppia personalità, iperestesie, anestesie, o le vere forme di alienazioni, come in Baudelaire, Comte, Tasso, Cardano, Leuau, Gérard de Nerval, Maupassant, ecc. sieno più frequenti nei geni, e come l’eziologia del genio sia sottoposta ad un cumulo di influenze, meteore, clima, razza, malattie cerebrali nei genitori, eredità collaterale pazzesca, con strette analogie con quanto avviene per gli alienati ed è altrettanto indiscutibile come la pazzia molte volte faccia diventare per un momento geniale un uomo mediocre, tanto da aver condotto all’opinione popolare che qualifica coll’appellativo di poeta chi sia strano e pazzesco; tutto questo dico è un materiale che getta una gran luce sulla questione del genio, e nessuno può infirmare che tutto ciò non debba spettare al dominio della psicologia e della psichiatria.

Vedendo che alcuni di questi concetti vennero già sviluppati da chi è insospettato di accomodare l’osservazione alla teorica preconcetta, questa ne ritrarrà, lo spero, argomento presso gli onesti di maggior considerazione.

[p. 160 modifica]Perchè il Patrizi, il Roncoroni, il Rossi, il Sergi, la Paola Lombroso, l’Arvède Barine, il Cognetti ed io, non solo siamo stati accusati negli studi sul Leopardi, sul Tasso, sul Beccaria, sul Po, sull’Alfieri, ecc. di aver invaso il campo altrui, perchè abbiamo semplicemente posto in luce le relazioni che corrono tra la costituzione dello scrittore, l’ambiente e le opere, e tolto i veli coi quali si erano rivestite le figure degli uomini geniali, rimettendoli nella realtà e nella natura, ma abbiamo anche dovute patire l’insinuazione di voler artificiosamente applicare ad ogni costo, travisando i fatti, la teorica del maestro.

Speriamo che pei Precursori questo sistema polemico non possa essere adatto.


2. — Nel 1836 Lélut, medico degli alienati di Bicétre, pubblicava un lavoro; Du démon de Socrate, nel quale poneva decisamente queste due tesi che possono sembrare anche oggi ardite. La prima era questa, che vi possono essere stati mentali di natura tale che colla apparenza della ragione più integra e unitamente allo sviluppo di facoltà eccellenti dell’intelligenza uniscono la possibilità di false percezioni, di illusioni, di allucinazioni, isolate e continue; sintomi ordinari costituenti l’alienazione mentale, e senza che il contagio della pazzia abbia ad invadere la parte sana della mentalità che insomma non tutti i pazzi sieno ricoverati all’ospedale, che ve ne sono dappertutto, nei salotti [p. 161 modifica]come nelle vie, sugli scanni del potere e come negli uffici pubblici, nei commerci e nelle scuole, come nelle aule della giustizia e sugli altari.

La seconda tesi che si proponeva il giovane autore era che anche gli uomini geniali più universalmente ammirati, corrono quel pericolo della prima tesi, che Socrate, il più venerato dei filosofi, non era che un visionario, un allucinato, un pazzo e che avrebbe bastato fare su un certo numero di uomini geniali un lavoro di ricerche storiche e d’osservazioni fisiologiche e psicologiche per trovarne un buon numero così degni della nostra ammirazione come Socrate, ma ugualmente degni del nome d’allucinati e di pazzi. E dopo dieci anni, nel 1846, Lélut, con una maggiore ampiezza di documentazioni, non curandosi delle critiche che i suoi scritti avevano occasionato, si ripresenta con un nuovo esempio L’Amulette de Pascal, a costruire la serie dei geni degenerati. Nel 1856, in una nuova edizione, rinforza le proprie idee intorno a questa questione e si dichiara più che mai convinto della verità del suo asserto.

Socrate e Pascal allucinati, pazzi? Gridarono i filosofi e i letterati d’allora. Siete voi Lélut pazzo ed insensato, voi che toccate i nostri idoli venerati da secoli, voi che distruggete il sacro patrimonio dell’intelligenza e delle gloriose tradizioni!

E si svolsero allora press’a poco le lotte a cui noi assistiamo oggi giorno; tanto può lo spirito conservatore nell’uomo, e tanto è difficile il [p. 162 modifica]cammino di un’idea nuova nella selva dei pregiudizi.

Sainte-Benve, come oggi Arturo Graf, sembrò essersi convertito alla teorica dell’alienista. L’autore delle Causeries du Lundi accettò infatti la tesi generale di Lèlut e pur facendo riserve per Pascal, accettò la pazzia di Giovanna d’Arco. Ma i filosofi, cominciando da Cousin, non vollero seguirlo su questo punto per Socrate: profetico, estatico, mistico forse, allucinato no.

Alcuni giornali del tempo, però, vedono già molto bene nella critica di questi lavori del Lélut il punto di vista generale sotto cui dovrebbe essere studiato il problema anche al giorno d’oggi.

Negli Annales médico-psychologiques del 1857 Albert Lemoine, professore di filosofia a Bordeaux (e cito questo perchè non è sospetto come medico e tanto più come alienista), si esprime press’a poco così: “Che importa alla tesi generale, quella della coesistenza della pazzia nel genio, che egli possa dimostrare completamente, sicuramente, in modo di non lasciar dubbio che Socrate sia stato o no allucinato? L’importante è che Lélut ci ha convinti che Socrate, quand’anche lo fosse stato, rimane ancora il più grande filosofo dell’umanità, e che egli ha resi capaci di ammettere la possibilità che Socrate lo sia stato e che il dubbio, confortato da una maggior documentazione, da nuovi fatti, sentiamo potrà diventare certezza„.

Un medico commenta poi questa schietta ed onesta affermazione del filosofo di Bordeaux [p. 163 modifica]congratulandosi della vittoria di Lélut, poichè, dice, si è venuto ad intenderci sulla questione generale della dottrina.

E infatti due anni dopo J. Moreau di Tours riprendeva più ampiamente a dimostrare che uomini, che per la superiorità dell’intelligenza e per manifestazioni geniali avevano legato alla posterità un nome circondato di ammirazione e di rispetto, erano incontrastabilmente affetti da malattie nervose, e che quei fenomeni che per tanto tempo erano passati quasi per soprannaturali, non erano in realtà che sintomi, che effetti di stato patologici, e avendo visto che affezioni nevropatiche svariatissime si mostravano in una proporzione tale da allontanare ogni idea di coincidenza casuale presso coloro che eccellevano per le facoltà intellettuali e presso i loro ascendenti e discendenti, giunse a generalizzare i propri risultati in una formula che svolse nell’opera: La psychologie morbide dans ses rapports avec la philosophie de l’histoire, ou de l’influence des nevropathies sur le dynamisme intellectuel.


3. — Moreau in sostanza dice questo, e sarà bene riportarlo colle sue parole testuali: “Les dispositions d’esprit qui font qu’un homme se distingue des autres homnies par l’originalité de ses pensées et de ses conceptions, par son excentricité ou l’énergie de ses facultés affectives, par la transcendance de ses facultés intellectuelles, prennent leur souf ce dans les mémes conditions [p. 164 modifica]organiques que les divers troubles moraux dont la folie et l’idiotie sont l’expression la plus complète„.

È collo studio minuzioso e particolareggiato dell’organismo che noi possiamo giungere alla conoscenza esatta del modo di funzionare dell’intelligenza. Non è sullo sviluppo progressivo dell’organo che si regola e si modella lo sviluppo della funzione? Locke, Helvetius è vero hanno attribuito la diversità dell’intelligenza alla diversità dei gradi di educazione. Ma come ammettere una teoria che suppone l’uguaglianza congenita di tutti gli uomini? Ciascuno dalla nascita porta con sè disposizioni, attitudini innate e che più tardi entreranno come parte integrante delle personalità.

L’educazione utilizza queste tendenze, non può crear nulla; “ne saurait changer le niveau intellectuel, ne donner, par exemple, un cerveaugénie à celui qui n’a reçu de la nature qu’un instinct intellectuel„.

Ne risulta che il corpo umano sia un gran libro aperto nel quale basti spingere lo sguardo attentamente per potervi trovare l’indicazione delle diverse qualità morali, delle tendenze intellettuali ed affettive. Noi non siamo in possesso ancora di mezzi perfetti di indicazione, ma ciò non toglie che le disposizioni organiche che sono in rapporto colla diversità, coll’ineguaglianza delle intelligenze, non abbiano ad esistere.

Moreau, analizzando le manifestazioni superiori delle facoltà intellettuali, ci mostra quanta parte [p. 165 modifica]in esse partecipi della natura delle nevrosi; l’analogia che avvicina l’eccitazione maniaca alla inspirazione, all’estro poetico, la parentela che esiste sotto certi riguardi fra l’attività intellettuale ed il delirio, la comunanza di origine nell’influenza ereditaria, e come le intossicazioni, la febbre, le congestioni cerebrali, le nevrosi, persino l’agonia possano essere origine di una attività mentale superiore alla normale.

Fa passare, in un bellissimo parallelo, quanto vi è di comune fra genio e pazzia. Antecedenti ereditari, malattie della prima infanzia, anomalie croniche, pervertimenti morali, precocità o ritardi esagerati.

E presenta perfino i particolari della teorica lombrosiana riguardo all’azione dell’epilessia dicendo: “On sait que dans certaines affections nerveuses, dans l’excitation maniaque par exemple dans l’hystérie, il se développe une force muscolaire d’une telle énergie, qu’on a cru pou voi en assimiler ies effets à ceux d’un décharge de fluide électrique... Or, pourquoi n’enviagerait-on pas les choses de la méme manière lorsqu’il s’agit de la modalité psychiqne du cerveau? Action pureinent nerveuse et action intellectuelle n’émassent-elles pas de la mém source? Leur exagération ne reconnaît-elle pas la même cause, la surexcitation des centres nerveux?


4. — Nel 1861 Brierre de Bòismont. in un poderoso lavoro: Des Hallucinations, attaccò colla critica psico-patologica nientemeno che [p. 166 modifica]l’idolo massimo della Francia, colei che venne considerata la liberatrice della patria, che sventolò lo stendardo della nazionalità: Giovanna d’Arco. Già il Calmeil, nel suo De la folie considérée sons le point de vue pathologique, philosophique, historique, judiciaire, ne aveva fatta una comune allucinata, una vera pazza, notando però come questo stato particolare del suo sistema nervoso, infiammandone l’ardore guerriero, dava alla Pulzella d’Orléans un fascino quasi soprannaturale ed una genialità d’azione. Brierre de Boismont analizza il carattere e le allucinazioni di Giovanna d’Arco. Tutti gli storici convengono nell’attribuire a Giovanna un altissimo grado di intelligenza pari a quello degli uomini superiori, degli eroi, dei genî, “messaggeri, come dice Carlyle, inviati dalle misteriose regioni dell’infinito con delle novelle per noi„. Di allucinazioni Giovanna d’Arco non ebbe solo quelle dell’udito e della vista. Il tatto e l’odorato erano pure in giuoco, e durarono per più di sei anni senza cambiar di carattere, senza cessare d’essere in relazione colla sua grande missione.

Ell’era convinta di aver abbracciate le sante Caterina e Margherita, una viva luce si manifestava alla sua vista dal lato da cui essa sentiva le voci, ed un profumo soavissimo la colpiva allorquando le si disegnavano d’innanzi le figure degli angeli, degli arcangeli. Portò costantemente un anello che ritenne santificato pel contatto di Santa Caterina.

Questi fenomeni allucinatori e la successiva [p. 167 modifica]profonda completa trasformazione della personalità che ne fu la conseguenza, non differiscono in nulla da quelle che ogni giorno si osservano negli alienati. Questa analisi di un idolo patriottico, politico, religioso: di un’eroe, e perciò geniale certamente, a considerarne i fenomeni patologici, può essere a buon diritto avvicinata all’ordine degli studi, che la Teorica Lombrosiana della degenerazione del genio ha modernamente sviluppati, e sarà, spero, prova sufficiente che la luce della verità penetra e si fa strada attraverso gli ostacoli del pregiudizio e del misoneismo in qualunque tempo e sotto il dominio di qualunque scuola e dottrina. Certo queste che io vado raccogliendo non sono che accenni, che visioni parziali del vero, ma non tolgono il grande merito di chi più arditamente e con maggior sicurezza ha saputo spezzare gli schermi che impedivano alla luce di irradiare vittoriosa su di un campo più vasto.

Lo stesso Brierre de Boismont nel 1868 intraprese una serie di studi psicologici sugli uomini celebri. Shakespeare si fu uno dei più completamente studiati. Shakespeare, che dai moderni venne ristudiato sotto questo punto di vista di dimostrare cioè, come il suo genio abbia saputo veder bene e creare tipi di pazzi e di delinquenti non solo, ma possedere un esatto concetto intorno alla criminalità, che si avvicina moltissimo a quello della scuola antropologica. Basterebbero le parole dell’Amleto (Atto 1°, scena 4ª): ”Alcuni uomini portano sin dalla [p. 168 modifica]nascita una qualche stimmata cattiva di cui essi non hanno colpa; perchè non ebbero parte nè scelta nelle origini delle cose naturali. Per l’eccessivo sviluppo di una qualche loro tendenza, spesso sono vinti i freni della ragione, e una cattiva abitudine fa sviluppare in un modo tale il germe degli istinti, anche buoni, che quell’impronta speciale (che è stigmata di natura e segno di cattiva stella) corrompe tutte le altre virtù, siano anche pure come la grazia; la goccia del male spesso soffoea sotto il suo maleficio ogni nobile sostanza„.

Il prof. Ziino nel suo Shakespeare e la scienza moderna (Palermo 1897), con molta dottrina e fine analisi esamina dal punto di vista antropologico criminale le opere del grande poeta. Ma tornando a Brierre de Boismont egli afferma, come conclusione generale dello studio su Amleto e Re Lear, che le concezioni di Shakespeare sulla pazzia sono tali che un medico versato nella pratica delle malattie mentali ha gli elementi scientifici necessari per formulare un diagnostico.


5. — Potrei portare altri e convincenti documenti a comprovare che la teorica della degenerazione del genio non è spuntata soltanto ai nostri giorni e che i grandi artisti intuirono i dettati dell’Antropologia criminale. Sembrami che il poco già fatto sia sufficiente per iniziare chi desideri maggiori schiarimenti alla ricerca.

Il mio modesto lavoro di compilazione sono certo lascerà tuttavia increduli gli avversari, per [p. 169 modifica]temperamento della nuova scuola, che sapranno colla lente d’una logica rigorosa trovare le deficienze, le contraddizioni anche nei precursori che ho citato; ma la logica del mondo accademico è pur sempre stata quella che ha ostacolato i progressi della diffusione della verità; è quella stessa che ha preparato il rogo a Giordano Bruno, condannato Galileo, incarcerato Colombo, calunniato Darwin. La gloria di Lombroso non è quella di aver veduto meglio degli altri che lo precedettero il suo vero: è di avere consacrata tutta una vita mirabile per sostenerlo e difenderlo; di non essersi arrestato contro i pertinaci e i superbi che lo combatterono, ma colla fede d’apostolo d’averlo bandito e difeso è nella sua grande potenza organizzatrice di un immane lavoro collettivo dei suoi discepoli, cui seppe trasfondere l’entusiasmo per la sua idea; è nell’amore nella cura che egli pose a raccogliersi intorno una scuola; nella potenza espansiva del suo sguardo d’aquila a cogliere ogni più utile e feconda applicazione dei suoi principî; sta nell’esclamare come ha fatto al pensiero dei Precursori:

“Quando si vede la nostra strada seguìta da tali grandi, non si teme più di averla smarrita, e si può sorridere e quasi gloriarsi delle persecuzioni, di cui l’ignoranza dei contemporanei ci onora!„.