I naviganti della Meloria/7. L'assalto del pescecane

7. L'assalto del pescecane

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VII.

L’assalto del pescecane.


I due pescatori si erano subito arrestati, battendo leggermente i piedi, tanto da potersi mantenere a galla, ed avevano estratti prontamente i coltelli, armi solide, dalla punta acuta, capaci di aprire il ventre anche ad uno di quei feroci mostri del mare.

I loro sguardi interrogavano le acque fosforescenti per cercare di scoprire il pericoloso nemico che silenziosamente li seguiva. Se il dottore lo aveva segnalato, non doveva trovarsi molto lontano; però, per quanto si guardassero intorno, nulla riuscirono a scorgere.

Le acque erano calme, anzi tanto che nessun increspamento si osservava alla superficie. Solo le falangi delle nottiluche s’avanzavano a ondate, sempre mescolate alle splendide meduse dai bagliori variopinti.

I due pescatori, in preda ad una viva ansietà che aumentava di minuto in minuto, dopo alcuni istanti ripresero le mosse, spingendosi velocemente in direzione della scialuppa, la quale si trovava allora a soli cinquecento passi.

— Cerchiamo di raggiungerla più presto che possiamo — aveva detto Vincenzo a Michele. — Una lotta fra queste acque non mi garba affatto, specialmente con un pescecane.

Ogni dieci o dodici metri però s’arrestavano guardandosi alle spalle e tuffandosi in mezzo a quelle ondate di luce, temendo che lo squalo cercasse di sorprenderli per di sotto. La loro ansietà aumentava sempre; una vera angoscia cominciava a prenderli, perchè non sapevano ancora da quale parte stava per piombare il pericolo.

— Così non la può durare — disse ad un tratto Michele. — Fermiamoci, padron Vincenzo, ed aspettiamo quel dannato squalo. Preferisco un combattimento a questa angosciosa attesa.

— Hai ragione, Michele — rispose il bravo lupo di mare. — Aspettiamo che si mostri ed impegniamo risolutamente la lotta. Non sarà già un gigante della specie, m’immagino.

— Oh!... Avete udito?

— Sì, una specie di tonfo.

— Lo squalo giuoca a poca distanza da noi.

— Ma come può essere stato scorto dal signor Bandi?

— Si sarà arrampicato su qualche roccia per poter meglio osservarci — rispose Michele. — Con questa fosforescenza, non deve essersi [p. 56 modifica]affaticati gli occhi per scoprirlo. Ehi!... Un altro tonfo!... Padron Vincenzo, fra poco lo avremo addosso.

— Sono pronto a riceverlo.

— Badate!... Hanno certi denti quei maledetti pesci!

— Ma fortunatamente la bocca è poco atta a prendere subito la preda.

— E la coda?

— Ce ne guarderemo. Ehi!... Mi pare che giunga.

— Salite sulle mie spalle, padrone.

— Tieni fermo.

Padron Vincenzo si appoggiò sul robusto dorso del pescatore, e alzandosi con una vigorosa spinta, lanciò all’intorno un rapido sguardo.

A quindici o venti passi, vide emergere bruscamente una testa che terminava in una punta arrotondata d’una tinta biancastra e più sotto una bocca semicircolare, formidabilmente armata.

— Viene — disse, lasciandosi ricadere in acqua.

In quel momento una voce lontana si fece udire:

— Vincenzo!...

Era la voce del dottore.

— Aspettiamo il mostro, signor Bandi! — rispose il pescatore.

— L’avete veduto?

— Sì, e sta per darci addosso.

— Non perdetevi d’animo.

— Ne abbiamo abbastanza del coraggio. Non temete, dottore.

Poi volgendosi verso Michele, disse con voce calma:

— Guardati dalla coda e vibra il colpo sicuro.

Il pescecane aveva già fiutata la preda e s’avanzava verso i due pescatori, con una certa prudenza, però. Pareva che volesse prima conoscere un po’ da vicino i suoi avversari.

Non era uno di quei grandi squali che si vedono sovente nell’Oceano Indiano, veri mostri che misurano talvolta perfino otto metri di lunghezza e che hanno certe bocche da contenere un uomo ripiegato in due.

Era molto se toccava i tre metri e mezzo, misura ordinaria di quelli che frequentano il Mediterraneo; però non era un avversario da disprezzarsi; anzi era ancora molto temibile.

Se non hanno dimensioni eguali a quelli che vivono negli oceani, anche quelli del nostro Mediterraneo hanno una passione spiccata per la carne umana e per procurarsela non esitano ad affrontare la lotta.

La loro forza è straordinaria ed il loro coraggio rasenta la pazzia. Anche se piccoli non esitano a scagliarsi contro l’imprudente che osa bagnarsi al largo o contro il disgraziato marinaio che accidentalmente cade dal bordo della nave.

I due pescatori, che prima erano stati marinai, lo sapevano, e perciò si tenevano in guardia, pronti a respingere l’attacco.

Lo squalo era ormai vicino. Nuotava attorno a loro solcando dolcemente le acque luminose, senza produrre rumore. Le sue larghe pinne s’agitavano appena appena e la sua possente coda, rimaneva quasi immobile. Pareva che volesse sorprendere la preda. [p. 59 modifica]

Michele e Vincenzo, lontani cinque passi l’uno dall’altro col coltello ben stretto nella destra, spiavano attentamente le mosse del mostro. Nuotavano lentamente, pronti a tuffarsi per sottrarsi all’urto.

— Guarda! — mormorò ad un tratto padron Vincenzo.

Lo squalo si era fermato e li fissava con quei suoi occhi azzurro cupi, che scintillavano stranamente fra le acque luminose. Quel brutto sguardo aveva un fascino pauroso.

D’improvviso lo squalo, con un poderoso colpo di coda che sollevò un’ondata, si scagliò contro Michele che era il più vicino.

Vedendoselo venire addosso, il pescatore fu pronto ad immergersi, ma appena vide passarsi sopra quel grosso corpo, rapido come il lampo, vibrò il colpo.

La lama aguzza e taglientissima, s’immerse tutta nel ventre del mostro, producendo uno squarcio orribile. Un getto di sangue irruppe, oscurando le acque luminose.

Quasi nel medesimo istante, padron Vincenzo, vedendo l’avversario a buon tiro, vibrava due colpi di coltello, uno più formidabile dell’altro.

Lo squalo, col ventre squarciato ed il muso replicatamente traforato, balzò più di mezzo fuori dall’acqua, poi si immerse rapidamente e scomparve negli abissi della grande caverna, lasciandosi dietro una striscia sanguinosa.

I due pescatori erano subito ritornati a galla.

— Sei ferito! — aveva chiesto padron Vincenzo a Michele.

— Nemmeno una graffiatura, padrone — aveva risposto il giovanotto.

— Credo che quel maledetto mangiatore d'uomini ne abbia abbastanza. Signor Bandi!

— Vincenzo! — rispose la voce lontana.

— Lo squalo ha avuto il suo conto.

— Siete salvi!

— Sì, dottore.

— Alla scialuppa!

— Subito, signor Bandi.

I due pescatori certi ormai non venire più disturbati, si erano messi a nuotare vigorosamente, ansiosi di giungere alla scialuppa. Ormai poco si fidavano di quelle acque, poichè come era salito, seguendo il tunnel, quel pescecane, altri potevano averlo imitato.

Cinque minuti dopo i due pescatori abbordavano l’imbarcazione. Pareva che nulla avesse sofferto dall’ondata che l’aveva strappata alla spiaggia; solamente le casse ed i barili si erano spostati accumulandosi verso prora.

Michele e padron Vincenzo salirono a bordo con molte precauzioni onde non rovesciarla o guastare il tessuto e presi i remi si diressero verso la piccola cala.

Il dottore segnalava l’approdo accendendo dei cerini.

Quando sbarcarono, il signor Bandi abbracciò entrambi, dicendo con voce commossa:

— A voi dobbiamo la nostra salvezza. [p. 60 modifica]

— Bah!... L’impresa non è poi stata tanto difficile — rispose padron Vincenzo.

— E l’assalto del pesce, l’avete dimenticato?

— Una cosa da nulla: tre coltellate e tutto è finito lì. Dottore, mangiamo qualche cosa. Questo bagno ci ha messo indosso un appetito pari a quello che doveva avere quel povero squalo.

Roberto, aiutato da Michele, accese una nuova lampada a spirito e preparò in poco tempo una eccellente colazione che fu innaffiata da una bottiglia di Conegliano, molto gradita dal bravo lupo di mare.

Calmata la fame, i quattro esploratori s’imbarcarono, premurosi di lasciare quella caverna che per poco non diventava la loro tomba.

La traversata di quel lago si compì senza altri incidenti, e mezz’ora dopo la scialuppa navigava sulle acque dell’immensa galleria.

La marea montava da ponente a levante, seco trascinando miriadi di nottiluche e di polipi fosforescenti, sicchè Michele e Roberto erano stati costretti a riprendere i remi per vincere la corrente che si faceva sentire abbastanza forte.

Quella faticosa manovra non doveva però durare molto, poichè dall’ondata erano ormai trascorse quasi sei ore. Era forse questione di minuti.

Infatti una mezz’ora più tardi, un cupo fragore che saliva lungo la galleria, annunciò agli esploratori il cambiamento della marea. Quel muggito rauco, che l’eco del tunnel centuplicava, aveva qualche cosa di pauroso. Pareva che cento elefanti galoppassero sotto quelle tenebrose vôlte, barrendo formidabilmente.

Poco dopo un’onda spumeggiante, tutta fosforescente, appariva bruscamente ad uno svolto della galleria e si precipitava addosso alla scialuppa, facendola cappeggiare con grande violenza.

Le casse ed i barili, sotto quella improvvisa scossa si spostarono, correndo fra le gambe dei rematori, però nessun danno accadde a bordo.

Passata l’onda, l’acqua tornò a poco a poco a calmarsi e la scialuppa potè riprendere la sua corsa e questa volta favorita dalla corrente.

Col cambiamento della marea, anche la fosforescenza era cessata. Le miriadi di nottiluche, trascinate da quella muraglia liquida, se n’erano andate verso il mare, scomparendo sotto le vôlte della galleria e le tenebre avevano invaso le acque.

— Si direbbe che è calata la notte — disse padron Vincenzo. — Speriamo però che la luce ritorni fra altre sei ore. Almeno tutti quei polipi rallegravano un po’ la vista.

Per due altre ore i naviganti continuarono ad avanzare lentamente, radendo ora l’una ed ora l’altra parete per vedere se vi erano altre caverne o delle spaccature.

La galleria si manteneva sempre eguale. Le sue vôlte erano regolari, le sue pareti ben tagliate ed anche bene livellate. Solamente la natura della roccia era ancora cambiata.

Il tufo era scomparso per lasciare il posto ad una pietra nera che [p. 61 modifica]talvolta aveva degli strani bagliori. Si avrebbe detto che quel tratto di tunnel era stato aperto attraverso ad un bacino carbonifero.

Forse la supposizione era giusta, poichè l’aria del canale era impregnata di gas. Talvolta anche il naso dei naviganti veniva colpito da un odore acuto, come da esalazioni di bitume e di petrolio.

— Non sentite questo odore, signor Bandi? — chiese padron Vincenzo. — Si direbbe che qui presso vi è qualche magazzino di petrolio.

— L’ho già notato, — rispose il dottore — e devo anche dirvi che m’inquieta.

— E perchè, dottore?

— Questo odore ci indica che noi non siamo lontani da qualche sorgente petrolifera.

— Da una sorgente!... Possibile, signor Bandi, che vi sia del petrolio anche in Italia?... Credevo che si trovasse solamente nei dintorni del Mar Nero ed in America.

— I pozzi non mancano anche da noi, Vincenzo, anzi ve ne sono tanti che se venissero seriamente lavorati, l’Italia non avrebbe più bisogno di provvedersi dai russi o dagli americani. La provincia di Parma, per esempio, è ricchissima di pozzi e così pure quella di Caserta. Vi sono anche delle sorgenti nei terreni di Tocco, giù nell’Abruzzo e anche la Sicilia non ne è sprovvista.

— E non lo raccolgono quel petrolio.

— Sì ma con certi mezzi così primitivi che farebbero ridere i russi e gli americani se li vedessero. Una vera industria petrolifera non è stata ancora impiantata da noi per ora, però si dice che si stia formando una potente società straniera per sfruttare le nostre sorgenti.

— E credete che siano così ricche da poter gareggiare con quelle americane?

— Non daranno certo le immense quantità di petrolio che producono quelle degli Stati Uniti e del Canadà, ma io sono convinto che si ricaverebbe il necessario per la nostra consumazione interna.

— Ho udito a raccontare che i proprietari dei pozzi e delle sorgenti d’oltre Atlantico, ne ottengono delle migliaia di litri al giorno.

— Delle migliaia di barili, mio caro, anzi dei milioni. Pensa che vi sono non meno di cinquemila pozzi negli Stati Uniti e nel Canadà e che uno solo, quello di Euriskillen ha dato, in circa due anni, la bagatella di sedici milioni di litri di petrolio quasi puro.

— Forse che non è sempre puro il petrolio?

— Mai più. Talvolta se ne trova di quello che è abbastanza limpido, ed allora si chiama nafta, ma generalmente è rossastro e molte volte nero e vischioso come una pece sciolta ed allora si chiama bitume. Si trova perfino allo stato solido conosciuto sotto il nome di asfalto.

— Bisogna quindi purificarlo, prima di metterlo in commercio.

— Quasi sempre, Vincenzo — rispose il dottore.

— E credete che noi siamo vicini a qualche sorgente di petrolio?

— Io dico che queste acque ne sono impregnate.

— Oh! [p. 62 modifica]

— E vi consiglio a non gettare in acqua nessun zolfanello onde non prendano fuoco. Accendiamo una lanterna e vediamo.

Il signor Bandi prese una lampada di sicurezza Davis, una di quelle che vengono usate nelle miniere, non osando servirsi della torcia che ardeva nel centro del battello, l’accese, poi si curvò sulla corrente proiettando la luce sulle acque.

Tosto apparvero dei grossi filamenti neri e viscidi i quali galleggiavano in gran numero, avvoltolandosi e svolgendosi come serpenti. Un odore acuto, penetrante, s’alzava fra quegli ammassi di materia nauseabonda e glutinosa, irritando i polmoni e le narici dei naviganti.

Il dottore si era alzato bruscamente e con un soffio poderoso aveva spenta la torcia.

— Perchè avete fatto ciò? — chiese padron Vincenzo.

— Un momento forse di ritardo e qui accadeva qualche grave disgrazia — rispose il signor Bandi. — Quest’aria è satura di gaz infiammabile e una scintilla può accenderlo.

— Derivato da dove?

— Dalla sorgente petrolifera.

— Ma io non la vedo ancora.

— La vedremo presto, Vincenzo. L’aria diventa sempre più carica di gaz.

— E la vostra lampada non diverrà pericolosa?

— Non temete: è contro le esplosioni e si può portare impunemente anche nelle miniere invase dal gaz tuonante, ossia dal grisou. Possiamo però passare un brutto quarto d’ora anche senza che questi gaz si accendino.

— Ossia?

— Provare dei sintomi d’avvelenamento.

— Diavolo!...

— È già stato osservato che i gaz sviluppati dai petroli, esercitano sull’organismo umano un’azione assai strana che può paragonarsi a quella di un altro gaz chiamato ossido d’azoto. Si comincia a provare una specie di ebbrezza, poi tutto d’un tratto sopraggiunge il delirio, la vista si offusca e se l’uomo non viene subito portato all’aria libera, se ne va all’altro mondo in pochi minuti.

— Che tocchi anche a noi di dover affrontare un simile pericolo?

— Speriamo di no, Vincenzo. Ad ogni modo tenetevi pronti a fuggire a tutta forza di remi.

Mentre la scialuppa s’avanzava, le emanazioni gazose diventavano più acute. Un odore acre, puzzolente, aveva ormai invaso tutte le vôlte e prendeva alla gola, provocando furiosi colpi di tosse e pizzicava gli occhi. I tre pescatori ed il dottore piangevano abbondantemente, quantunque non ne avessero proprio alcun desiderio.

— Ditemi, signor Bandi, la durerà molto? — chiese padron Vincenzo, dopo un quarto d’ora. — Vi assicuro che non ne posso proprio più.

Il dottore non rispose. Curvo sulla prora guardava i grossi filamenti [p. 63 modifica]neri che aumentavano sempre, formando talvolta degli ammassi considerevoli di materie bituminose.

Pareva che cercasse il crepaccio da cui uscivano.

Padron Vincenzo stava per ripetere la domanda, quando il dottore lo prese per un braccio, dicendogli:

— Ascolta?...

Il pescatore tese gli orecchi e udì verso la parete destra del canale, un gorgoglìo rauco.

— Cosa succede laggiù? — chiese.

— È la sorgente — rispose il dottore.

— E cos’è che fa ribollire l’acqua?

— Sono i gaz.

— Ohe... Badate di non accendere le pipe — disse il pescatore, volgendosi verso Michele ed a Roberto. — Noi navighiamo sopra una polveriera.

— E che polveriera! – aggiunse il dottore. — Siamo in mezzo ad un gazometro.

— Toh! Forse che questo gaz è illuminante? — chiese il pescatore, stupito.

— E del migliore, mio caro.

— E si potrebbe raccogliere?

— In Cina da parecchi secoli si scavano appositamente dei pozzi per adoperare i gaz. Anche a Salsomaggiore si comincia già a raccoglierli e se ne servono come combustibile per cristallizzare il sale, risparmiando così la legna ed il carbone...

Il dottore si era bruscamente interrotto, alzando vivamente il capo. Anche i tre pescatori avevano abbandonati i loro posti, stringendosi macchinalmente l’uno contro l’altro come per proteggersi a vicenda contro un pericolo ignoto.

In lontananza si era udito come una specie di rombo cupo e pauroso.

— Cosa è avvenuto dottore? — chiese padron Vincenzo.

— Si direbbe uno scoppio — rispose il signor Bandi.

— E che sia stata una scossa di terremoto? — chiese Roberto.

— Non lo credo.

— E perchè dottore? — chiese padron Vincenzo.

— Le acque del canale avrebbero risentito la scossa e qui si sarebbe prodotta una forte ondulazione.

— Pure qualche cosa deve essere accaduto.

— Lo so.

— Guardate! — esclamò in quell’istante Michele che si trovava a prora.

Tutti si volsero rapidamente e sotto le oscure vôlte del grande canale poterono distinguere un rapido bagliore che quasi subito si estinse.

— Avete veduto? — chiese Michele.

— Sì — rispose il dottore con un tono di voce che tradiva una certa inquietudine.

— Da cosa può essere derivato quel lampo? — chiese Vincenzo. [p. 64 modifica]

— Forse dallo scoppio dei gaz petroliferi.

— Ed accesi da chi?

— Non lo so.

— Possono accendersi da soli?

— Non è possibile.

— E allora...?

— Andiamo innanzi — disse il signor Bandi. — Forse avremo la spiegazione di questo mistero.

— Non correremo il pericolo di morire asfissiati od arrostiti?

— Avanti — disse il dottore senza rispondere a quella grave domanda.