I naviganti della Meloria/3. Una galleria fra il Tirreno e l'Adriatico

3. Una galleria fra il Tirreno e l'Adriatico

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3. Una galleria fra il Tirreno e l'Adriatico
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III.

Una galleria fra il Tirreno e l’Adriatico.


— Nel documento si narra, — disse il dottore, — che verso il 1300, ossia nell’epoca in cui maggiori erano le rivalità fra le due repubbliche di Venezia e di Genova, alcuni palombari, nel cercare di rimettere a galla una nave genovese, affondatasi nei pressi di Lerici, in quella minuscola insenatura che forma la punta di Maralunga, scoprivano a sei metri di profondità una vasta apertura che sembrava una vera galleria.

«Il capitano della repubblica genovese, Luigi Gottardi, avuto sentore della scoperta, volle vedere di cosa si trattasse e d’accordo con altri quattro suoi compagni, intraprese l’esplorazione.

«Dice questo capitano, che entrato nella galleria, si trovò dinanzi ad una caverna marina di dimensioni tali, da poter permettere il passaggio ad una galera anche di grandi proporzioni e che, a quanto pareva, non doveva essere stata scavata dalla mano umana.

«Quella scoperta sarebbe stata l’ispirazione d’un progetto grandioso, degno dei Romani, e cioè di aprire un canale sotterraneo fra il mare Tirreno e l’Adriatico, per facilitare ai genovesi l’invasione delle terre della repubblica veneta non solo, ma di permettere loro anche di sorprendere inaspettatamente la Regina di quel mare.»

— Per centomila tonni e pescicani! — esclamò padron Vincenzo. — Cosa dite, dottore? Quell’audace capitano voleva sorprendere Venezia?

— E ci sarebbe certamente riuscito, mio bravo lupo di mare, se [p. 22 modifica]circostanze inaspettate non glielo avessero impedito. Venezia non avrebbe certamente potuto resistere ad una flotta che fosse improvvisamente comparsa nelle sue lagune.

— Ma da dove?

— Da un canale sotterraneo comunicante col Tirreno.

— Quale idea?

— Splendida, Vincenzo.

— Ma bisognava scavarlo, quel canale.

— È stato scavato.

— Eh! Volete scherzare, dottore?

— Vi dico che il capitano Gottardi lo ha fatto scavare, e che deve esistere ancora.

— Mi stupite, dottore.

— Ascoltatemi, Vincenzo. Il documento narra che il capitano Gottardi, ricchissimo, ideato il grandioso progetto, lo mise in esecuzione, aiutato da cinquecento schiavi africani. L’enorme lavoro sotterraneo fu compiuto in otto anni e felicemente, a quanto sembra, aprendo un tunnel capace di permettere il passaggio alle più grosse galere, e terminante presso Brondolo. Sembra che nessuno avesse avuto sentore della grande opera sotterranea, avendo il capitano Gottardi avuta la precauzione, dopo terminati gli scavi, di ricondurre tutti gli schiavi in Africa e d’internarli nel deserto e di far giurare, ai suoi pochi compagni genovesi, di mantenere scrupolosamente il segreto. Qui però la cosa diventa un po’ oscura. Scrive quel grand’uomo che giunto nella valle del Brenta, in un luogo ben delineato sul disegno del canale, venne preso da alcuni marinai della repubblica veneta...

— E poi? — chiese padron Vincenzo, vedendo che il dottore s’era arrestato.

— Poi non si sa nulla; il documento qui finisce.

— Non dice perchè il disegno fu gettato nell’Adriatico?

— No.

— Che quel capitano, temendo che i veneziani gli carpissero il disegno, l’abbia gettato appositamente in mare?

— È probabile, Vincenzo, — rispose il dottore, — tanto più che la scoperta di quel canale poteva costituire un gravissimo pericolo per la repubblica genovese.

— E perchè, signor Bandi?

— Se i veneziani avessero appreso l’esistenza di quella galleria, ne avrebbero certamente approfittato per condurre le loro flotte, ed in brevissimo tempo, dinanzi alla repubblica rivale.

— È vero, signor Bandi. Non vi avevo pensato.

— E di tesori non se parla? — chiese Simone Storvik.

— Ma la tua è una vera fissazione — disse padron Vincenzo, con stizza. — Credi tu che ogni galleria o caverna debba contenere delle ricchezze per far piacere a te? Finiscila con queste istorie.

Il dottore non aveva nemmeno fatto attenzione alla domanda dello [p. 23 modifica]slavo. Si era alzato, e passeggiava con una certa agitazione attorno al tavolo, mormorando a più riprese:

— Quale fortuna per l’Italia!... Una flotta che in poche ore passa dall’Adriatico al Tirreno e viceversa!... Genova, Spezia, Venezia, quasi unite!... Chi oserebbe più minacciarle?

Ad un tratto si fermò dinanzi al pescatore, e dopo d’averlo guardato fisso per alcuni istanti, gli chiese a bruciapelo:

— Vincenzo, avreste paura a seguirmi nelle viscere della terra?

Il lupo di mare, udendo quelle parole, aveva guardato il dottore con una cert’aria che pareva volesse significare:

— Siete pazzo?

— Rispondetemi — disse il signor Bandi.

— Ma... signore... Cosa sognate di fare?

— Di andar a cercare il canale del capitano della repubblica genovese.

— Ed a quale scopo esporvi a simile pericolo? Pensate, dottore: seppellirsi nelle viscere della terra, fra le tenebre più profonde.

— La cosa mi tenta, Vincenzo; per riuscire nell’impresa, sono pronto a sacrificare la mia possessione del Brenta, che vale un centinaio di mila lire.

— Sprecare una così enorme somma, dottore?

— Cosa importa? Voi adunque non volete persuadervi dell’immenso servigio che noi renderemo alla patria nostra?

— Sì, lo comprendo, signor Bandi, ma centomila lire!... Per Bacco!... È una grossa cifra!...

— Orsù, decidetevi: verreste con me? Vi offro diecimila lire a viaggio terminato, più una nuova rete da pesca che ne costerà altre due o tremila.

— Devo venire solo?

— No, con due dei vostri uomini, ai quali offrirei paga doppia a quella che ora guadagnano, più mille lire di regalo.

— E il mio bragozzo?

— Chi vi impedisce di noleggiarlo per qualche mese?

— Credete adunque di compiere l’esplorazione in così breve tempo?

— Anzi più presto.

— Ebbene, signore — disse padron Vincenzo. — Voi potete fin d’ora contare interamente su di me.

— Posso sperare di avere due dei vostri marinai? — chiese il dottore.

— Anche tutti, se lo vorreste.

— No, due sono sufficienti.

— Quando partiremo?

— Più presto che sarà possibile. Dove avete il vostro bragozzo!

— È ancorato dinanzi al forte San Felice.

— Domani sera io sarò da voi con tutto il necessario per tentare l’impresa.

— Desiderate che metta a vostra disposizione i miei marinai?

— Sì, i due che dovranno accompagnarci. [p. 24 modifica]

— Prima di questa sera saranno qui, signor Bandi.

— Tornate a bordo; se mi sarete necessario, vi manderò a chiamare. Io partirò fra qualche ora per Venezia, onde provvedermi dell’occorrente pel viaggio sotterraneo.

— Arrivederci, signor Bandi. Noi torniamo subito a bordo.

Strinse la mano al dottore e uscì seguìto da Simone Storvik, il quale parve fosse diventato assai pensieroso, dopo le ultime parole del dottore. Chissà, forse quel sospirato tesoro, così presto sfumato, lo aveva reso di cattivo umore.

Padron Vincenzo attraversò le ortaglie, sempre seguìto dallo slavo, e giunto sulla spiaggia, con una poderosa scossa gettò la scialuppa in mare, balzandovi lestamente dentro. Simone Storvik lo raggiunse quasi subito, e afferrò i remi, mettendosi ad arrancare vigorosamente.

Il sole era già alto, ed il mare scintillava fino agli estremi confini dell’orizzonte, offendendo la vista.

Alcune candide vele si scorgevano in lontananza, simili a bianche farfalle, e scorrevano rapide, spinte dalla fresca brezza mattutina.

Sulla spiaggia invece, dei fanciulli chiassosi, laceri e sudici, si ruzzolavano fra le dune, mentre le loro madri frugavano le sabbie per sorprendere le capelunghe, che sono così numerose sulle rive dell’Adriatico, o raccoglievano le conchiglie spinte a terra dal flusso.

In aria volteggiava qualche gabbianello dalle candide piume.

Padron Vincenzo, sedutosi a poppa, guardava distrattamente le onde rotolanti sul lido, mentre lo slavo, sempre silenzioso ed accigliato, spingeva innanzi la scialuppa, tenendosi a cinquanta braccia dalla costa.

Già cominciavano a distinguere le scogliere che difendono l’entrata del porto di Chioggia e le massicce muraglie del forte di San Felice, quando il lupo di mare, volgendosi bruscamente verso lo slavo, gli chiese:

— Sembra che tu sia di cattivo umore, Simone Storvik. Forse che pensi ancora al tuo tesoro?

Invece di rispondere alla domanda, lo slavo, abbandonati i remi ed incrociate le braccia sul petto, gli chiese a bruciapelo:

— Vi fidate voi del dottor Bandi? Ditemelo francamente, padron Vincenzo.

— Se mi fido!... – esclamò il lupo di mare, guardando lo slavo con indignazione. – Cosa vuoi dire?

— Che noi non abbiamo letto il documento.

— E così?

— Chi ci assicura che su quel documento non si parli d’un tesoro?

— E vorresti concludere? – chiese padron Vincenzo, con voce minacciosa.

— Che il tesoro può esistere, e che il signor Bandi può aver l’intenzione di farselo tutto suo.

— E che cosa ti induce a dire questo?

— Per San Pietro in Nembo!... Non si gettano già centomila lire per un capriccio. [p. 25 modifica]

— Slavo!... — gridò il lupo di mare. — E tu osi sospettare del dottore?

— Io non mi fido di nessuno.

— Nemmeno di me?

— Io non sospetto su di voi, però...

— Continua.

— È inutile che mi spieghi di più.

— Per tutti i pescicani dell’Adriatico! Tu verrai con me nella galleria. Non voglio che tu possa dubitare di me e del dottore.

— Io non ci verrò, padrone.

— E per quale motivo?

— Non ho alcun desiderio di lasciare la pelle sotto terra; però vi condurrò fino nella valle del Brenta, e andrò ad attendervi alla Spezia per vedere se avrete trovato o no il tesoro.

— Gigante codardo! — esclamò il lupo di mare, rosso di collera. — Appena saremo giunti a bordo, ti pagherò la mesata, poi lascerai immediatamente il mio bragozzo, m’intendi?

— Adagio, padrone — disse Simone Storvik, ridendo ironicamente. — Voi vi siete adunque scordato che ero anch’io presente quando avete pescato il cofano. Non voglio rinunciare alla mia parte.

— Va’ a venderti le casse, adunque, canaglia!

— Troppo poca cosa, padrone.

— Cosa pretendi, adunque?

— Io? Nulla... se non troverete nulla. Però voglio venire anch’io nella valle del Brenta, o...

— Continua!

— Griderò ai quattro venti la scoperta fatta.

Padron Vincenzo si era alzato pallido di furore, portando la destra alla fascia, entro la quale teneva il coltello di manovra.

Il gigante però lo aveva prevenuto. Ritirare un remo e alzarlo minacciosamente, fu l’affare d’un lampo.

— Badate, padrone — disse con voce rauca.

— Cane d’uno slavo!... — urlò il lupo di mare, estraendo l’arma ed imprimendo alla scialuppa una tale scossa da farla quasi capovolgere.

Simone Storvik era diventato pallido come un morto.

— Volete uccidermi? — chiese.

— Sì, se non lascerai subito questa scialuppa.

— Ho la mia cassa ed i miei risparmi a bordo del vostro bragozzo.

— E tu mi crederesti capace di derubarti, è vero, Simone Storvik? — chiese padron Vincenzo, con ironia.

Lo slavo non rispose.

— Giù quel remo! — urlò il lupo di mare.

— Non mi ucciderete, poi? — chiese Simone.

— Codardo! Guarda!...

Con un gesto sdegnoso, padron Vincenzo aveva gettato in mare il coltello.

Lo slavo abbassò il remo, poi disse con voce sibilante: [p. 26 modifica]

— Appena a bordo, salderete il mio conto. È meglio che io me ne vada, o fra noi la finirebbe male.

Il lupo di mare alzò le spalle e si sedette a poppa, mentre lo slavo, ripresi i remi e voltatogli il dorso, si metteva ad arrancare, spingendo rapidamente innanzi la scialuppa.

Non distavano allora che mezzo miglio dalle prime scogliere del forte di San Felice. Al di là della gettata dell’imboccatura del canale, si vedeva il bragozzo ondeggiare vivamente sotto le ondate che si cacciavano, con una certa violenza, fra le punte dei due lidi di Sottomarina e di Pallestrina.

L’equipaggio aveva già scorta la scialuppa, e salutava il padrone alzando ed ammainando la bandiera che aveva spiegata sulla cima dell’albero maestro.

Lo slavo raddoppiava gli sforzi per vincere le ondate, le quali, investendo la poppa della scialuppa, la facevano trabbalzare vivamente.

Superata però la punta di Sottomarina, si trovò in bonaccia, sicchè potè in breve giungere sotto la prora del bragozzo. I quattro marinai che si trovavano a bordo, avevano gettata una gomena ed una scala a corda, e padron Vincenzo si era arrampicato lestamente, balzando sopra la murata.

— Ebbene, padrone? — chiesero i marinai.

Invece di rispondere, il lupo di mare comandò:

— Portate sul ponte la cassa di Simone Storvik.

— Padrone! — disse lo slavo, diventando livido.

Il lupo di mare non si degnò nemmeno di guardarlo. Gli volse bruscamente le spalle e scese nella sua piccola cabina di poppa.

Poco dopo ritornava tenendo in mano un pacchetto di biglietti:

— La tua paga — disse, porgendoli allo slavo. — Ed ora... vattene!...

Simone Storvik se li prese, se li mise nella larga fascia, poi scese nella scialuppa dove lo attendevano due marinai colla sua cassa.

Appena giunto sulla scogliera, si prese i suoi effetti e salì fino sulla duna, senza nemmeno salutare i camerati. Giunto però lassù, si volse verso il bragozzo, e tendendo il pugno verso padron Vincenzo, che stava ritto a poppa del piccolo veliero, gli gridò con voce strozzata dal furore:

— Ci rivedremo!...