I naviganti della Meloria/21. L'ultimo tratto
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XXI.
L’ultimo tratto.
Passato il primo momento di stupore e, diciamolo pure, di terrore, il dottore ed il capitano si erano afferrati l’un l’altro per paura che un’altra ondata li separasse.
Per alcuni minuti il rottame fu sballonzolato in tutti i versi, sbattuto contro le pareti, respinto al largo, poi nuovamente ricacciato contro le muraglie, finchè l’acqua ebbe ripreso, a poco a poco, il primiero livello.
Il pezzo di canape era stato spento; fortunatamente il dottore possedeva ancora la sua scatola impermeabile ben fornita di cerini.
Credendo che Roberto e Michele si trovassero a breve distanza sull’altro pezzo della zattera, sua prima cura fu di cercare di procurarsi un po’ di luce, onde questa servisse di guida ai compagni.
La cosa non fu facile, nondimeno vi riuscì dopo parecchie prove.
La seconda scossa di terremoto, aveva prodotto nuovi e gravissimi guasti alla galleria. Un vasto tratto di vôlta era caduto assieme al suo rivestimento, riempiendo parte del canale e provocando quella terribile ondata che per poco non aveva spazzati via tutti.
In causa di quell’ostruzione, una rapida corrente si era formata e una cateratta si era aperta il passaggio fra la frana, rovesciandosi furiosamente nel canale.
— Li vedete? — chiese padron Vincenzo, che non si era ancora rimesso dal suo sgomento.
— No — rispose il dottore, con voce soffocata. — Sono scomparsi.
— Uccisi dalla frana?
— Non credo perchè ho udito poco dopo le loro grida.
— Non vi siete ingannato, dottore?
— Ci chiamavano per nome.
— Se non si scorgono più!
— Io suppongo che la corrente li abbia trascinati via.
— E perchè il nostro rottame non li ha seguìti?
— Si è fermato presso un gruppo di rocce cadute dall’alto.
— Dottore, cerchiamoli!
— È quello che faremo, amico. Non disperiamoci prima del tempo. Devono essere ancora vivi.
— Chiamiamoli.
— Provatevi, Vincenzo.
Il lupo di mare fece un portavoce colle mani e lanciò tre tuonanti chiamate:
— Michele! Roberto! Michele!
Nessuno rispose a quell’appello disperato. Cos’era dunque avvenuto di quei disgraziati? Erano stati uccisi dai massi caduti dall’alto o la corrente, che pareva violentissima, li aveva trasportati così lontano da non poter udire le grida del loro comandante? Il dottore, in preda ad una profonda angoscia, si asciugava la fronte madida d’un gelido sudore e non osava più guardare il compagno.
— Andiamo a cercarli — disse. — Forse l’ondata e poi la corrente li ha spinti in qualche antro laterale. Mi parve che la carta del capitano Gottardi ne segnasse una presso l’uscita del canale.
— Dottore, sono perduti! — gemette padron Vincenzo.
— Orsù, coraggio, finchè non avremo trovati i loro cadaveri non dobbiamo rinunciare alla speranza.
— Quando la frana ha spezzato la nostra zattera, dove si trovavano?
— A prora.
— Siete ben certo che non siano rimasti schiacciati dai massi che cadevano dall’alto?
— Sì, Vincenzo. Quantunque l’onda si fosse rovesciata improvvisamente su di noi, io li ho veduti tutti due incolumi sull’altro pezzo della zattera. Si tenevano stretti a vicenda per non perdere l’equilibrio e vi ripeto che ho udito le loro voci che si perdevano in lontananza.
— Quale disgrazia se fossero morti! — singhiozzò il lupo di mare.
— Li ritroveremo, Vincenzo, e forse più presto di quello che crediamo.
— Andiamo a cercarli senza perdere tempo.
— Era quello che volevo proporvi.
Il rottame, spinto dall’ondata, si era incastrato fra un ammasso di enormi macigni caduti dalla vôlta, arenandosi colla parte posteriore.
Era ormai ridotto a così piccole proporzioni da poter a malapena sorreggere quei due uomini, però poteva ancora servire.
Padron Vincenzo ed il dottore lo rimisero in acqua poi si affidarono alla corrente la quale era sempre violentissima in causa della cascata che precipitava attraverso alla frana col fragore del tuono.
Molteplici ostacoli impedivano ai due naviganti di procedere sollecitamente. Buona parte del canale era stato ostruito dai rottami caduti dall’alto, sicchè la zattera subiva continui urti i quali minacciavano di spezzare le corde che tenevano unite le tavole.
Padron Vincenzo aveva strappato un pezzo del pennoncino e cercava di mantenerla nella corrente. Il dottore invece aguzzava gli sguardi sperando di vedere Michele e Roberto arrestati in qualche luogo e ripeteva le chiamate le quali rimanevano sempre senza risposta.
Avevano già percorsi cinquecento metri, quando passando dinanzi ad un enorme cumulo di rottami addossati alla parete, credettero di udire una voce lontana.
— Qualcuno ci ha chiamati! — esclamò il dottore, mentre il cuore gli balzava per la emozione. — Sì, non mi sono ingannato! Era una voce umana!
Padron Vincenzo spinse la zattera verso quei rottami poi entrambi si misero in ascolto.
Una voce, che pareva venisse da sotto terra e debolissima, aveva gridato:
— Dottore!
— Sono essi! — esclamò padron Vincenzo, con un urlo di gioia suprema. – Dottore, ci chiamano!
— Ma dove sono?
— Forse dinanzi a noi.
— Rispondiamo!
— Andiamo più innanzi dottore, così ci udranno meglio.
Allontanò la zattera, lasciando che la corrente la trasportasse, ma dopo due o trecento passi s’accorse che le chiamate, invece di diventare più distinte si affievolivano.
— Dottore! — esclamò, fermando nuovamente la zattera verso la riva. — Dove sono essi? Non si ode quasi più la loro voce eppure abbiamo guadagnata una notevole distanza.
— È quello che avevo notato anch’io.
— Allora non sono dinanzi a noi!
— Vincenzo, ritorniamo.
— Potremo vincere la corrente?
— Ci aggrapperemo alle asperità delle pareti.
— Udite come la voce di Michele è fioca?
— Sì, Vincenzo.
— E anche quella di Roberto?
— Si ode appena, ora, eppure devono gridare con quanto fiato hanno nei polmoni. Spingete, Vincenzo, io cercherò di aiutarvi meglio che potrò.
Fortunatamente le pareti del canale non erano lisce, quindi il dottore poteva aggrapparsi alle sporgenze e cacciare le dita nelle numerose fessure ed aiutare la difficile manovra del lupo di mare.
Adagio adagio, essendo sempre la corrente violentissima, la zattera rimontava accostandosi all’ammasso di rocce che si era addossato alla parete di destra.
Padron Vincenzo spingeva rabbiosamente, puntando il pennoncino sui rottami che emergevano dovunque nel canale.
Le grida di Roberto e di Michele erano cessate, però il dottore era ormai certo di essersi accostato al luogo dove si trovavano rinchiusi.
Quando giunsero dinanzi alle rocce che formavano una piramide immensa, la quale si appoggiava contro la parete, padron Vincenzo, che non poteva più trattenersi, mandò un grido tuonante:
— Michele!
Una voce distinta che pareva provenisse dietro quell’ammasso di rottami precipitati dalla vôlta, rispose subito:
— Dottore! Vincenzo!
— È Roberto — disse il lupo di mare.
— Sì, è lui — confermò il signor Bandi.
— Dove siete? — gridò padron Vincenzo.
— Non lo sappiamo! La corrente ci ha spinti in una galleria od in un laghetto sotterraneo e non siamo più capaci di trovare l’uscita.
— È avvenuto un franamento dietro di voi? — chiese il dottore.
— Sì, signor Bandi.
— Siete ancora sulla zattera?
— Sempre.
— E Michele?
— Sono qui con Roberto, signore — rispose il marinaio.
— Non avete nemmeno uno zolfanello?
— Nessuno signore e perciò non sappiamo dove dirigerci.
— Avanzate verso la nostra voce. Lo potete?
— Ci proviamo signore.
— Vi aspettiamo.
— Continuate a parlare.
— Farò di meglio — disse padron Vincenzo. — Vi canterò!...
Il lupo di mare intonò una vecchia canzone marinaresca, facendo rintronare le vôlte del canale e la continuò finchè udì Michele a gridare:
— Basta, padrone, vi siamo vicini e non possiamo più avanzare.
— La frana ci divide — disse il dottore. — L’onda e la corrente deve averli spinti in una caverna laterale, quella che avevo già osservato sulla carta del capitano Gottardi.
— Come faremo a liberarli? — chiese padron Vincenzo.
— Michele — chiese il dottore. — Vedete nessun raggio di luce filtrare attraverso l’ostacolo che ci separa?
— Nessuno, signore — rispose il marinaio.
— La cosa è grave — disse il signor Bandi. — Ci eravamo rallegrati troppo presto.
— Che abbia uno spessore enorme questa frana? — chiese padron Vincenzo.
— Lo temo, mio povero amico.
— E non aver nemmeno una buona carica di polvere!
— Anche avendola non oserei adoperarla — disse il dottore. — La vôlta già sconnessa dal terremoto, potrebbe precipitarci addosso e seppellirci tutti.
— Eppure non possiamo rimanere qui inoperosi.
— No, Vincenzo, noi demoliremo a poco a poco questo enorme ammasso, ma è necessario che i compagni ci aiutino.
— Quanto impiegheremo?
— Forse un giorno, forse due...
— E non abbiamo più viveri, signore e nemmeno i nostri compagni ne possiedono.
— Ho veduto dei datteri di mare incrostati sulle pareti del canale e li raccoglieremo.
— Magra risorsa signore, specialmente per uomini che devono lavorare lungamente.
— Proveremo a pescare; dovete avere indosso la piccola rete.
— Mi serve da cintura.
— La useremo; chissà! Trovandoci ormai noi presso lo sbocco del canale, dei pesci ne prenderemo.
— Ed i nostri compagni, che cosa mangeranno?
— Cercheremo in qualche modo di provvederli. Michele!
— Signore!
— Mettetevi anche voi al lavoro, e badate di non provocare qualche scoscendimento.
— Lavoreremo con prudenza.
Il dottore e padron Vincenzo legarono la zattera alla punta d’un masso, deposero su un altro la corda incatramata e salirono sulla frana.
L’ammasso di rottami era enorme e costituito da blocchi di mole non comune che dovevano mettere a dura prova i muscoli dei lavoranti. Nondimeno il dottore ed il lupo di mare si misero alacremente al lavoro, assalendo la frana verso la cima e facendo rotolare giù i sassi minori.
— Sarà un’impresa terribile, dottore — disse padron Vincenzo. — Vi sono qui parecchie centinaia di tonnellate di pietre e non abbiamo che otto braccia.
— Quattro puoi dire — rispose il signor Bandi. — I nostri compagni essendo privi di luce ben poco potranno fare.
— E durerà la corda incatramata fino alla fine del lavoro?
— Non ne avremo che per un paio d’ore, mio povero amico.
— E poi? — chiese padron Vincenzo con ispavento.
— Faremo quello che potremo. Orsù! Non perdiamo tempo.
Tempo veramente non ne perdevano, perchè anche parlando continuavano a far rotolare giù massi, i quali s’inabissavano nel canale con sordo fragore.
Anche dall’altra parte Michele e Roberto si accanivano contro l’ostacolo per demolirlo perchè di quando in quando si udivano dei tonfi sordi.
La massa dei rottami era però tale, da atterrire anche il dottore, il quale cominciava a dubitare del buon esito dell’impresa.
Per due ore continuarono nondimeno a precipitare nel canale pietre d’ogni dimensione, senza riuscire a trovare la sommità dell’antro, poi si arrestarono. Erano esausti e per colmo di sventura la corda incatramata stava per spegnersi.
— Dottore — disse padron Vincenzo, con angoscia. — La luce viene meno.
— Lo vedo — rispose il signor Bandi.
— Non avete più nulla da bruciare?
— Non ho che dei zolfanelli.
— Che non dureranno che pochi minuti.
— Pur troppo.
— Ah! Un’idea! Siamo salvi!
— Gettatela fuori.
— Bruciamo la zattera, dottore. Le tavole sono bene incatramate e anche umide arderanno.
— E poi?
— I nostri compagni hanno l’altro pezzo.
— Non basterà a sorreggerci tutti.
— Voi credete che l’apertura del canale non sia lontana, è vero?
— Lo suppongo.
— Ci aggrapperemo alle tavole e nuoteremo. Con un sostegno possiamo resistere una dozzina d’ore.
— E se l’apertura fosse lontana?
— Non proseguite, dottore, non distruggete questa nostra ultima speranza.
— Sia, vada anche la zattera — rispose il dottore con voce risoluta. — Senza luce non potremmo lavorare e forse produrre qualche nuova frana.
Padron Vincenzo, quantunque si sentisse stringere il cuore, scese l’ammasso, tagliò le funi e ritirò dall’acqua le tavole, lasciandole prima sgocciolare.
Essendo ben coperte di catrame, dovevano ardere egualmente, malgrado quella lunga immersione.
Il lupo di mare le fece a pezzi, raccogliendo con cura perfino le più piccole schegge, ne mise alcuni su un masso che era quasi spianato e servendosi dell’ultimo pezzetto della corda incatramata, li accese, dopo però non poca fatica.
Una fiamma vivida, brillante, illuminò ben presto la galleria, fugando quelle cupe tenebre.
Il dottore guardò da quale parte fuggiva il fumo.
— Verso levante — mormorò. — Buon segno.
— Perchè dite ciò, signor Bandi? — chiese padron Vincenzo.
— Vuol dire che una corrente d’aria viene da ponente.
— Aria marina?
— Sì, Vincenzo.
— Allora non siamo molto lontani dallo sbocco del canale.
— Lo credo.
— Ah! Ecco la speranza che comincia ad allargarmi il cuore. Bruci pure la zattera; ci basterà quella di Michele.
Si rimisero al lavoro con novella energia, continuando a precipitare massi nel canale. Ve n’erano però sempre altri di sotto e di quelli enormi che facevano sudare assai i due esploratori.
Le voci di Michele e di Roberto, diventavano però sempre più distinte. Era un buon indizio perchè era segno che la frana a poco a poco si assottigliava.
Lavoravano da quattro ore, interrompendosi solo per ravvivare il fuoco, quando, dopo d’aver rovesciato un masso enorme, pesante per lo meno mezza tonnellata, ma che fortunatamente era appena equilibrato, udirono Michele a gridare:
— Vedo uno sprazzo di luce che si riflette sulla vôlta.
— Sì, sì! — confermò Roberto. — Signor Bandi, vi è della luce!
— Ed io scorgo un foro largo come due mani! — gridò padron Vincenzo.
— Allarghiamolo, presto — disse il dottore.
Due massi furono spostati e gettati giù, poi altri due. Subito apparve la parete del canale traforata da un buco irregolare che doveva essere l’estremità del passaggio.
Padron Vincenzo afferrò un tizzone e lo passò attraverso l’apertura, chiedendo:
— Lo vedete?
— Sì! Sì! — gridarono ad una voce Michele e Roberto. — Siamo salvi!
— Potete passare? — domandò il dottore.
— Sì, signore. Saliamo la frana.
— Adagio, Michele, prima sciogliete la vostra zattera e passateci le tavole, perchè la nostra sta bruciando.
— Siamo già all’opera.
Pochi minuti dopo padron Vincenzo riceveva i pezzi che passava subito al dottore, poi Michele prima, quindi Roberto, lordi di fango, colle vesti grondanti d’acqua, cadevano fra le braccia dei compagni.
— Salvi! Salvi! — gridavano. — Dio non ci ha abbandonati.
— Dottore — disse padron Vincenzo, con voce commossa. — Partiamo subito. Ho paura che rimanendo qui ancora qualche po’ ci cada addosso qualche altra disgrazia.
— Sì, ricostruiamo la zattera e andiamocene.
Scesero la frana portando le tavole, quattro sole che non potevano servire a sorreggerli tutti, le legarono in fretta, poi si aggrapparono ai margini immergendosi.
— Dottore — disse padron Vincenzo, nel momento in cui l’ultimo pezzo di legno si spegneva e l’oscurità ripiombava nella galleria. — E se lo sbocco fosse ancora assai lontano?
— Se Dio ci ha protetti finora, non ci abbandonerà — rispose il signor Bandi. — Ragazzi miei, non disperiamo.
La corrente li trascinava rapidamente, ora spingendoli verso l’una o l’altra parete ed ora contro degli ammassi di rottami che non potevano evitare perchè non riuscivano a scorgerli.
Avevano percorso qualche miglio, quando Michele mandò un grido impossibile a tradursi.
— Dottore!... Dottore!...
— Che cos’hai?... — chiesero il signor Bandi e padron Vincenzo, con ansietà, credendo che qualche pescecane lo avesse afferrato.
— Non vedete nulla? Volgetevi...
— Per centomila merluzzi!... — gridò il lupo di mare. — Siamo allo sbocco della galleria!... Guardate là, dinanzi a noi!... Vedo un lieve chiarore!...
Il dottore si volse. No, non era una illusione d’ottica, nè una allucinazione.
Ad una grande distanza, uno sprazzo di luce scialba si proiettava sulle tenebrose acque del canale.
— Amici... — esclamò, con voce soffocata. — Il nostro viaggio sta per finire!...
— Che non c’inganniamo, dottore? — chiese padron Vincenzo, che stentava a credere a tanta fortuna.
— No, è proprio luce e luce di sole!...
— Da dove viene?
— Lo sapremo presto: nuotate forte.
I quattro uomini tenendosi con una mano aggrappati alla zattera, si misero a spingere le tavole per affrettarne la corsa.
La luce intanto aumentava. Ora i quattro esploratori vedevano le acque a scintillare come se fossero cosparse di pagliuzze d’oro.
Ben presto lo sbocco del canale apparve. Esso si mostrava come un arco ma era così basso che la luce vi entrava a malapena. Forse a marea alta doveva venire completamente sommerso.
Come mai esso appariva così piccolo in proporzione all’ampiezza del canale?... La spiegazione l’ebbero ben presto.
Le vôlte, a circa duecento metri dallo sbocco, cominciarono ad apparire diroccate, mentre delle rupi enormi sporgevano dall’acqua. Era avvenuto un abbassamento del suolo oppure il capitano Gottardi le aveva frantumate a colpi di mina, dopo d’aver introdotta la galea per impedirne agli altri l’accesso o per rendere difficile l’esplorazione?... Chi poteva dirlo?...
Di passo in passo che gli esploratori si avanzavano gli ostacoli aumentavano. Le rupi cadute dall’alto, rendevano la navigazione sempre più difficile.
A cinquanta metri dallo sbocco, la zattera si arrestò.
Le rocce e le scogliere erano allora così numerose da impedirle di passare.
Le vôlte erano tutte diroccate e anche le pareti mostravano dei crepacci enormi.
Il dottore, padron Vincenzo ed i due pescatori, dopo un breve consiglio decisero di abbandonare il loro galleggiante e di raggiungere a nuoto lo sbocco della galleria.
— Dottore, — chiese padron Vincenzo, — dove credete che noi sboccheremo?
— Nel golfo della Spezia — rispose il signor Bandi. — Lasciatevi andare, amici!... Ormai non correremo più alcun pericolo.
Abbandonarono le tavole e nuotando fra le rocce in pochi minuti raggiunsero l’uscita della galleria. Essendo allora la marea alta, l’ultima arcata era così bassa da non permettere l’entrata nemmeno ad una scialuppa.
Ciò spiegava come quel meraviglioso canale fosse sfuggito per tanti secoli ai pescatori ed ai naviganti del golfo. Forse alcuni avevano esplorato quell’ultimo braccio ma trovandolo ingombro di scogliere, lo avevano certamente creduto un semplice antro sottomarino scavato dall’azione delle onde.
Giunti all’aperto, i quattro esploratori mandarono un fragoroso urrah!... Il golfo della Spezia, illuminato da un superbo sole, si apriva dinanzi ai loro sguardi stupiti.
In lontananza biancheggiavano le case e le superbe fortificazioni della prima piazzaforte d’Italia e pel golfo veleggiavano in gran numero barche pescherecce e fumavano dei grandi vascelli, forse le poderose corazzate della nostra squadra.
Il dottore ed i suoi compagni, raggiunta la riva, s’arrampicarono lestamente sulle scogliere e di lassù spaziarono i loro sguardi all’intorno.
Sulla loro destra, annidate fra le rupi, apparivano Lerici e San Terenzo; alla sinistra si prolungava sull’azzurro mare la punta Maralunga.
Il dottore aprì le braccia e strinse uno ad uno i suoi valorosi compagni, che l’avevano seguìto nel periglioso viaggio fra le viscere della terra, poi con voce commossa disse:
— Ed ora, amici bravi, andiamo ad annunciare all’Italia la meravigliosa scoperta!...