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i naviganti della meloria | 185 |
Una voce distinta che pareva provenisse dietro quell’ammasso di rottami precipitati dalla vôlta, rispose subito:
— Dottore! Vincenzo!
— È Roberto — disse il lupo di mare.
— Sì, è lui — confermò il signor Bandi.
— Dove siete? — gridò padron Vincenzo.
— Non lo sappiamo! La corrente ci ha spinti in una galleria od in un laghetto sotterraneo e non siamo più capaci di trovare l’uscita.
— È avvenuto un franamento dietro di voi? — chiese il dottore.
— Sì, signor Bandi.
— Siete ancora sulla zattera?
— Sempre.
— E Michele?
— Sono qui con Roberto, signore — rispose il marinaio.
— Non avete nemmeno uno zolfanello?
— Nessuno signore e perciò non sappiamo dove dirigerci.
— Avanzate verso la nostra voce. Lo potete?
— Ci proviamo signore.
— Vi aspettiamo.
— Continuate a parlare.
— Farò di meglio — disse padron Vincenzo. — Vi canterò!...
Il lupo di mare intonò una vecchia canzone marinaresca, facendo rintronare le vôlte del canale e la continuò finchè udì Michele a gridare:
— Basta, padrone, vi siamo vicini e non possiamo più avanzare.
— La frana ci divide — disse il dottore. — L’onda e la corrente deve averli spinti in una caverna laterale, quella che avevo già osservato sulla carta del capitano Gottardi.
— Come faremo a liberarli? — chiese padron Vincenzo.
— Michele — chiese il dottore. — Vedete nessun raggio di luce filtrare attraverso l’ostacolo che ci separa?
— Nessuno, signore — rispose il marinaio.
— La cosa è grave — disse il signor Bandi. — Ci eravamo rallegrati troppo presto.
— Che abbia uno spessore enorme questa frana? — chiese padron Vincenzo.
— Lo temo, mio povero amico.
— E non aver nemmeno una buona carica di polvere!
— Anche avendola non oserei adoperarla — disse il dottore. — La vôlta già sconnessa dal terremoto, potrebbe precipitarci addosso e seppellirci tutti.
— Eppure non possiamo rimanere qui inoperosi.
— No, Vincenzo, noi demoliremo a poco a poco questo enorme ammasso, ma è necessario che i compagni ci aiutino.
— Quanto impiegheremo?
— Forse un giorno, forse due...
— E non abbiamo più viveri, signore e nemmeno i nostri compagni ne possiedono.