I naviganti della Meloria/13. La fontana ardente
Questo testo è completo. |
◄ | 12. I furori d'un vulcanello | 14. Le vittime del grisou | ► |
XIII.
La fontana ardente.
La scialuppa sotto lo sforzo di quei quattro remi s’avvicinava rapidamente all’imbocco della galleria, non essendovi ormai più alcun dubbio che si trattasse precisamente del tunnel del capitano Gottardi.
Alla luce di quella grande fiamma che s’allargava in forma di ventaglio, fugando le tenebre per un tratto vastissimo, il dottore ed i suoi compagni avevano potuto scorgere distintamente le prime vôlte del canale. La grande caverna ormai si restringeva rapidamente non solo, ma anche si abbassava. Già si potevano vedere, quando la fiamma eruttava con maggior violenza, le due rive del lago.
Gli uomini però che poco prima erano stati veduti a muoversi quasi dinanzi a quella fiammella, parevano che fossero scomparsi. Il dottore aveva più volte puntato il cannocchiale, scrutando le rocce vicine con esito negativo.
Si erano nascosti nei dintorni, oppure avevano preso precipitosamente il largo, non amando di venire raggiunti?
Probabilmente avevano scorte le lampade della scialuppa, prima che al dottore fosse venuta l’idea di farle spegnere e s’erano affrettati a sottrarsi all’incontro.
Per quale motivo? Ecco quello che si chiedeva insistentemente il dottore.
— Se fossero degli esploratori come noi, si sarebbero affrettati a venirci incontro — disse il signor Bandi a padron Vincenzo che lo interrogava. — Io credo che sarebbero stati lieti di unirsi a noi e di continuare il viaggio in nostra compagnia.
— Allora non può essere che quel cane di Simone — disse il pescatore.
— Non solo, poichè ho scorto un altro uomo.
— Avrà trovato qualche compagno. Forse gli avrà promesso chissà quali prodigiose ricchezze.
— Comincio a credere anch’io che si tratti dello slavo. Egli solo conosceva l’esistenza di questo canale.
— Pure non saprei trovare alcun motivo per sfuggirci.
— Temerà che noi lo derubiamo del tesoro — disse Michele.
— O la nostra collera? — disse padron Vincenzo.
— Sì, l’una e l’altra forse — rispose il dottore. — Teniamoci in guardia, perchè temo che quell’uomo sia capace di farci qualche brutto giuoco.
— Ed anche di qualunque tradimento, dottore — disse padron Vincenzo. — Adagio Michele: non avanziamo che con prudenza.
La scialuppa era allora giunta a due o trecento metri dal canale. La vampata non si trovava nel tunnel, come prima avevano creduto, bensì all’estremità del lago.
Irrompeva da un tumulo di massi enormi, accatastati in modo da formare una specie di cono, un vulcanetto di proporzioni modeste.
Era una vera fontana ardente, però la vampa usciva con grande impeto, rumoreggiando e scoppiettando.
All’intorno si espandeva un acuto odore d’idrogeno e delle fiammelle s’accendevano talora in aria per ispegnersi quasi subito.
I quattro esploratori avevano fermata la scialuppa dietro la sporgenza di una grande rupe, la quale proiettava una cupa ombra sulle acque e di là spiavano ansiosamente i dintorni, colla speranza di sorprendere i due misteriosi individui.
— Non si vede nulla — disse padron Vincenzo, dopo qualche po’. — Che si siano allontanati?
— Pure non sono convinto che abbiano preso il largo. Io credo invece che ci spiino.
— E la loro scialuppa?
— Non so, l’avranno nascosta in qualche insenatura.
— Sbarchiamo e perlustriamo i dintorni.
— Sì, però non dimentichiamo le nostre rivoltelle. Le persone che si nascondono sono pericolose.
— Che qualcuno rimanga a guardia della nostra imbarcazione.
— Ci resterò io — disse Michele. — Il primo che tenta di avvicinarsi lo freddo con un colpo di rivoltella.
Il dottore, Vincenzo e Roberto, armatisi, sbarcarono e dopo d’aver ascoltato attentamente, si gettarono in mezzo alle rupi, dirigendosi lentamente verso la fontana ardente.
La spiaggia era vivamente illuminata dalla grande fiamma che irrompeva dal vulcanetto, quindi si poteva subito scorgere se vi era qualche persona; le rupi però, che erano numerose e altissime, proiettavano dietro di loro un’ombra così fitta da nascondere anche un elefante.
I tre esploratori, invece di muovere direttamente verso la fontana ardente, girarono al largo, visitando le parti non illuminate, i crepacci, i burroncelli, i massi ammonticchiati, ogni luogo insomma che potesse servire di nascondiglio.
Le loro ricerche però non diedero alcun risultato. Degli uomini veduti agitarsi dinanzi alla fiammata nessuna traccia.
— Devono essere partiti — disse il dottore arrestandosi. — Se fossero rimasti qui, in qualche luogo li avremmo trovati.
— Quelle canaglie si sono accorte a tempo della nostra presenza — rispose padron Vincenzo.
— E si saranno affrettati ad imboccare il canale.
— Cosa facciamo, dottore? Riprendiamo l’inseguimento?
— Sì, ma prima andiamo a vedere la fontana ardente.
— Cosa sperate di trovare?
— Qualche traccia del loro accampamento.
— Avete ragione dottore.
Certi ormai di non aver da temere alcuna sorpresa da parte dei misteriosi individui, uscirono dall’ombra e attraversata la spiaggia si spinsero fino alla base del vulcanetto.
Quel mostricciattolo eruttava allora con qualche violenza lanciando a tre o quattro metri una bella fiamma, dalla luce biancastra, la quale s’apriva talora in forma di ventaglio. Uno scoppiettìo incessante accompagnava l’eruzione.
Le sabbie che circondavano quel cumulo di macigni, parevano anch’esse sature di gaz, perchè si udivano pure scoppiettare sotto la semplice pressione dei piedi spandendo all’intorno un odore acuto d’idrogeno.
Il dottore accese un cerino e lo gettò a terra. Tosto delle fiammelle serpeggiarono fra le sabbie descrivendo dei capricciosi zig-zag.
— Vi è un vero gazometro qui sotto — disse. — Una vera fortuna se si potesse utilizzarlo.
— Non vi è pericolo che scoppi, e che ci mandi a gambe levate semiarrostiti? — chiese padron Vincenzo.
— Non temete — rispose il signor Bandi. — Penso però che la fiamma la potremo utilizzare.
— Per cosa farne?
— Per far bollire la nostra pentola, Vincenzo. Prima di riprendere l’inseguimento faremo colazione.
— Prenderemo più vigore — disse Roberto.
— Facciamo il giro di questo vulcanetto — disse Vincenzo. — Mi sembra impossibile che non si trovino le tracce dell’accampamento di quegli uomini.
Avevano già quasi compiuto il giro del vulcanetto, quando Roberto si precipitò dietro un masso chinandosi al suolo.
— Cos’hai veduto? — chiese padron Vincenzo, impugnando la rivoltella. — Forse che qualcuno si è nascosto là dietro?
— No, qui si sono accampati quegli uomini e hanno dimenticato anche qualche cosa — rispose Roberto.
— Qualche pollo arrostito? Lo mangerei volentieri.
— Una cintura — disse Roberto mostrando una fascia di lana rossa, un po’ smunta.
Padron Vincenzo l’aveva presa, esaminandola attentamente per vedere se v’era qualche cifra o qualche segno.
— Niente — disse con dispetto. — È una fascia da marinaio però.
Guardò dietro al macigno, e vide, sparse al suolo, delle briciole di biscotto, una crosta di formaggio e la pinna d’un pesce. Senza dubbio quegli sconosciuti esploratori si erano fermati colà per pranzare.
— Cosa dite dottore? — chiese.
— Che ne sappiamo quanto prima.
— Aspettate, signor Bandi. Vedo che laggiù, il terreno è umido e sabbioso.
— E cosa vuol dire?
— Può aver serbata qualche orma. Quegli uomini devono averlo attraversato per rimbarcarsi.
I due pescatori ed il dottore si diressero verso la spiaggia e sostarono presso un torrentello il quale si perdeva fra un banco di sabbia.
— Non m’ero ingannato! — esclamò padron Vincenzo, con aria trionfante. — Ecco qua le loro orme.
— Sì e... per Bacco? Sono le tracce di tre paia di piedi! — esclamò il dottore.
— Quegli sconosciuti non sono adunque due soli.
— Sono di piedi nudi — osservò Roberto.
— E due sono così grandi che mi fanno pensare a quel birbante di Simone — disse padron Vincenzo. — Dove saranno fuggiti quei mariuoli?
— Avranno imboccato il canale — rispose il dottore.
— Sarei ansioso di sapere se hanno una scialuppa più leggera o più grande della nostra — disse Roberto.
— Bah! Li raggiungeremo egualmente — disse padron Vincenzo. — Mangiamo un boccone, poi in caccia!...
Tornarono alla scialuppa, ed approfittando d’un piccolo getto di gaz che avvampava alla base del vulcanetto, misero a bollire la pentola.
Il pasto fu fatto lestamente, poi i quattro esploratori s’imbarcarono, decisi a raggiungere quei misteriosi individui che prendevano tante precauzioni per non farsi inseguire.
Imboccato il tunnel, spinsero gli sguardi sotto quelle vôlte tenebrose, sperando di scorgere in lontananza qualche punto luminoso, ma invano. La grande galleria era nera come la gola d’una miniera di carbone.
— Per centomila merluzzi! — esclamò padron Vincenzo, con ira. — Dove si sono cacciati quei furfanti?
— Che si siano arrestati in qualche luogo? — chiese Michele. — È impossibile che navighino senza una lampada.
— E chi ti dice che non abbiano qualche lanterna accesa? — disse il dottore.
— Cosa volete dire? — chiese padron Vincenzo.
— Che possono aver coperta la parte posteriore della lampada, onde impedire a noi di poterla scorgere.
— Per mille pescicani!... Non ci avevo pensato!... Ah!... I furbi!...
— E noi non potremo far nulla per ingannarli? — chiese Michele.
— Assolutamente nulla, avendo bisogno di vedere dinanzi a noi, per non urtare contro qualche imprevisto ostacolo.
— Allora ci vedranno, dottore.
— Lo so, ma non possiamo fare diversamente.
— Non importa — disse padron Vincenzo. — Tutti ai remi e avanti a gran lena!... Vivaddio!... Siamo in quattro, tutti robusti!...
La scialuppa, sotto lo sforzo poderoso dei quattro remi, procedeva rapidamente, inoltrandosi sotto le tenebrose vôlte del tunnel.
Essendo impossibile non farsi scorgere, il dottore aveva accesa una torcia e l’aveva piantata a prora per poter meglio osservare quella seconda parte del canale.
Le sue dimensioni erano eguali al primo tronco che andava a sboccare nella laguna veneta. Le vôlte e le pareti erano però meglio lavorate, fors’anche in causa della buona qualità della roccia, una specie di traversino grigiastro e quasi poroso, quindi facilissimo a traforarsi.
Anche la profondità dell’acqua era pressochè eguale e del pari l’altezza delle vôlte. Pareva che quel valente ingegnere che l’aveva ideato avesse anche pensato alle future dimensioni delle navi, dimensioni molto maggiori di quelle d’una volta.
Le grandi corazzate moderne non dovevano avere alcuna difficoltà a percorrere quel mirabile tunnel, bastando togliere l’alberatura, già ormai di ben poca utilità.
— Quale meraviglioso lavoro! — esclamava di tratto in tratto il dottore, pur non cessando di arrancare. — E dire che nessuno dei nostri moderni ingegneri ha mai pensato all’immenso vantaggio che ricaverebbe l’Italia da un simile canale!
— È vero, dottore — rispondeva padron Vincenzo. — Vi è però una cosa che mi sorprende.
— E quale?
— Perchè il capitano Gottardi ha preferito scavare un canale sotterraneo, anzichè aprirlo sopra? Mi sembra che la cosa potesse riuscire più facile.
— Forse v’ingannate, padron Vincenzo.
— E per quale motivo?
— Innanzi a tutto il capitano Gottardi mirava a sorprendere la Regina dell’Adriatico, ciò che non avrebbe certamente potuto fare aprendo un canale visibile a tutti.
— Questo è vero.
— Poi credete che non avrebbe trovato dei grandi ostacoli? Quanti uomini e quali enormi somme avrebbe costato il taglio degli Appennini? Da Spezia a Sassuolo il terreno è quasi tutto montagnoso.
— Ne convengo, dottore.
— E poi un canale sotterraneo ha il vantaggio di non poter venire ostruito senza affrontare immense difficoltà.
— Mentre se fosse stato scavato sopra suolo, con poche torpedini sarebbe stato facilmente chiuso alle navi — disse padron Vincenzo.
— Precisamente, amico mio. Il nemico che potesse impadronirsi d’un punto qualunque del canale, non si troverebbe imbarazzato a renderlo inadatto alla navigazione. Basterebbero anche poche mine per rovinarlo.
— Ah! Dottore! Noi ci siamo dimenticati una cosa — disse Michele, che ascoltava attentamente i loro discorsi.
— Cosa vuoi dire?
— Che non abbiamo ancora dato un nome a questo canale.
— Per Bacco!... Hai ragione, Michele — disse padron Vincenzo. — Bisogna battezzarlo.
— Gli daremo un nome che ricordi qualche vittoria delle squadre navali della repubblica genovese — disse il dottore.
— Quale?
— A voi: canale della Meloria.
— Vada per la Meloria! — dissero i due pescatori.
— Ed a quando il battesimo?
— Alla prima fermata, Vincenzo — rispose il dottore, ridendo, sapendo già dove mirava il bravo lupo di mare. — Ci rimangono ancora due vecchie bottiglie di Valpolicella ed un buon salame all’aglio di Verona.
Ad un tratto lo si vide abbassarsi bruscamente sulla prora, prendere la torcia ed immergerla in acqua.
Una profonda oscurità piombò intorno a loro.
— Spegni la pipa! — gridò a Roberto. — Presto, cacciala in acqua.
— Cosa succede, dottore? — chiesero i pescatori stupiti.
— Il grisou!...
— Il grisou!... Cosa significa ciò? — chiese padron Vincenzo.
— Non avete osservato che la fiamma della torcia si allargava e che diventava azzurrognola?
— Sì.
— Ciò indicava la presenza del gaz infiammabile. Un istante di ritardo e forse noi scatenavamo un torrente di fuoco e forse facevamo crollare le vôlte della galleria.
— Per centomila merluzzi!
In quell’istante in lontananza si udì una tremenda detonazione, poi sotto le oscure vôlte si vide irrompere un uragano di fuoco, ma che quasi subito si dileguò perdendosi in direzione del mar Tirreno.
— Mille fulmini! Cos’è avvenuto? — chiese padron Vincenzo, impallidendo.
— È scoppiato il grisou — rispose il dottore.
— Chi lo ha acceso?
— Certamente gli uomini che ci precedono.
— E saranno morti?
— È probabile.
— Accorriamo, dottore.
— Un momento: datemi una lanterna di sicurezza. Sento che il gas tuonante ci circonda. Che nessuno accenda un zolfanello, o siamo perduti!