I naufraghi dello Spitzberg/4. I primi ghiacci
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CAPITOLO IV.
I primi ghiacci.
Quelle due correnti d’aria non dovevano tardare a produrre un grave perturbamento, che il baleniere aveva già previsto. Da qualche giorno dei nuvoloni si formavano ora al nord-ovest ed ora al sud-ovest, tendendo a riunirsi, e delle nebbie calavano sul mare, specialmente verso sera.
Anche la temperatura diventava rapidamente fredda di miglio in miglio che la Torpa si allontanava dalle coste norvegiane. Il termometro aveva già segnato due volte – 2° centigradi verso le prime ore del mattino, e quel brusco abbassamento doveva indicare la vicinanza dei primi ghiacci.
Fu il 3 ottobre che lo schooner fece l’incontro del primo ghiaccio. Era una specie di zattera di forma allungata, un palk come vengono chiamati dai naviganti artici, di trenta a quaranta metri di estensione. Alcuni uccelli marini, delle strolaghe (colimbus articus), bei volatili col becco ed il petto nero, il dorso pure nero, le ali macchiate di bianco e le parti inferiori candidissime, lo montavano, lasciandosi tranquillamente portare verso il sud.
Lo stesso giorno altri palks furono segnalati, poi degli hummoks, monticelli formati da frammenti di ghiacci e qualche streams, ghiacci di forma circolare.
Su uno di quei piccoli banchi furono vedute anche due foche, ma appena s’accorsero della presenza della nave, s’affrettarono a inabissarsi.
Durante la notte altri ghiacci continuarono a sfilare, dirigendosi verso il sud-est. Di tratto in tratto si cozzavano fra di loro, e capitombolavano, sollevando piccole ondate.
Quegli hummoks, quei palks e quegli streams non erano pericolosi e cedevano facilmente sotto lo sperone della Torpa, ma indicavano la vicinanza degli ice-bergs, ossia delle montagne di ghiaccio e dei campi di ghiaccio e fors’anche degli ice-fields, ossia i grandi campi.
Il capitano, vedendo aumentare d’ora in ora quei massi diventava sempre più inquieto. Quell’uomo che aveva passato lunghi anni in quelle regioni dei geli, prevedeva un inverno molto precoce e assai freddo.
Ad avvalorare i suoi timori concorreva la ritirata precipitosa degli uccelli marini, verso le regioni del sud. Ad ogni istante grandi bande di volatili apparivano sull’orizzonte settentrionale e filavano rapidamente, come se avessero paura di venire sorprese dagli uragani di neve. Erano stormi di gabbiani dalle candide ali, di urie dalle penne nere ma le ali biancastre, di strolaghe, di oche bernicle, di labbi dal volo potente e fulmineo, di procellarie e di eider dalle penne preziose.
Il 5 ottobre, a circa duecento miglia dall’isola degli Orsi, la Torpa incontrava il primo ice-berg. Era una montagna di ghiaccio in forma di piramide, con una base di quattrocento metri e un’altezza di ottanta o novanta, un vero colosso che con un solo urto avrebbe schiacciato la più potente nave del mondo. S’avanzava superbamente, senza scuotersi sotto gli assalti delle onde, scintillante come un enorme diamante verso la cima, rosso come se fosse infuocato al centro, e candido verso la base. Il sole, che lo colpiva in pieno, faceva sprizzare, dagli angoli, fasci di luce che si tingevano dei colori dell’arcobaleno.
— Brutto segno — disse Tompson — gettando uno sguardo corrucciato sul gigante polare. — Temo, professore, che avremo molto da fare per approdare alle Spitzberg.
— Verremo arrestati prima di giungervi? — chiese Oscar.
— Se i ghiacci si mostrano qui, chissà quanti ne troveremo al di là dell’isola degli Orsi.
— Che siamo costretti a ritornare?
— Ritornare!... Oh no, professore! — esclamò il baleniere, con vivacità. — Tompson non ritorna e dovessi aprirmi il passo a colpi di sperone o colle mine, io andrò alle Spitzberg. Ho promesso al signor Foyn di salvare gli equipaggi delle sue due navi, ed io non cesserò di lottare finchè non li avrò raccolti.
— Ma se i ghiacci imprigionassero la Torpa!
— Avanzeremo colle nostre gambe, professore. Se Parry ha potuto spingersi fino all’82° 45 di latitudine, procedendo attraverso i campi di ghiaccio, si potrà più facilmente avanzare fino alle isole.
– Ma credete che siano tutti vivi, i naufraghi?
– Se non tutti, spero che alcuni saranno riusciti a salvarsi.
– Quale isola esploreremo prima?
– Tutto dipende dai ghiacci. Dove troverò un passaggio, lancerò la Torpa.
– Ma contate di svernare fra le isole?
– Vi sarò forzato, poichè non potrò di certo ritrovare la via libera per ritornare.
– E dove contate di svernare?
– Possibilmente nell’Eis-fiord. Se riesco a cacciare là dentro la Torpa, non avremo da temere l’urto dei grandi banchi scendenti dal nord, e poi so che laggiù si radunano ordinariamente numerosissime foche e conto di non rimanere inoperoso durante lo svernamento.
– Signor Tompson, non vi sembra che si prepari una burrasca?
– Sì, professore. Il vento del nord-ovest ha sopraffatto quello del sud-est e avremo delle raffiche e delle forti ondate. Sarà bene prendere le nostre precauzioni per tempo.
Il baleniere non s’ingannava. Poco dopo il mezzodì, mentre la Torpa navigava fra due lunghissime file di hummoks che parevano si fossero staccati dai ghiacciai o dagli ice-bergs dell’isola degli Orsi, il tempo, che fino allora si era mantenuto abbastanza buono, cambiò bruscamente.
Il vento del nord-ovest spingeva innanzi le pesanti e fosche nebbie polari, stendendole sull’oceano artico con rapidità straordinaria, fantastica. In meno di un quarto d’ora tutto l’orizzonte settentrionale erasi già coperto e da quei vapori, gravidi di neve, irrompevano violenti raffiche, le quali cominciavano a sollevare delle ondate spumeggianti.
Il baleniere si era però affrettato a prendere le sue precauzioni. Aveva fatto raddoppiare le funi delle scialuppe e assicurare maggiormente le grue; rinforzare paterazzi e sartie; tendere funi lungo le murate per impedire alle onde di travolgere fuori dai bordi i marinai; imbrogliare il pappafico e il contropappafico e terzaruolare il trinchetto, il parrochetto e la randa.
Aveva inoltre fatti portare in coperta i buttafuori, per poter respingere i ghiacci che le onde potevano scagliare attraverso la prora del veliero.
Il cielo intanto continuava ad oscurarsi ed il nebbione, che il vento travolgeva, sbatteva in tutti i sensi e lacerava, minacciava di abbassarsi, rendendo pericolosa la marcia della Torpa. Grandi ondate si formavano qua e là e correvano verso il sud-est, accavallandosi le une colle altre e sfasciandosi con dei lunghi ed assordanti muggiti.
Numerosi ghiacci, ma fortunatamente di piccole dimensioni, oscillavano sulle creste spumeggianti o scendevano precipitosamente negli avallamenti. Di tratto in tratto s’incontravano e allora si frantumavano, come se nel loro centro scoppiasse una mina di grande potenza.
La Torpa, colle sue vele terzaruolate, affrontava coraggiosamente il mare, pareva anzi che si ridesse delle onde e dei ghiacci. Sormontava, agile come un delfino, i marosi, scendeva, quasi senza inclinarsi, negli abissi mobili e quando qualche ghiaccio si trovava dinanzi al suo solido sperone, lo frantumava senza subire alcun contraccolpo.
– Buona veliera – ripeteva Tompson, che teneva la ribolla del timone. – Con questa nave mi sentirei capace di lanciarmi sulla via che conduce al polo.
Alle quattro del pomeriggio, il nebbione calò bruscamente sull’oceano, mentre il vento trasportava alcuni .... si trovarono avvolti in un nembo di schiuma. (Pag. 34). fiocchi di neve. L’oscurità divenne profonda e la navigazione difficile, in causa dei ghiacci che aumentavano sempre.
Il baleniere non indugiò a far imbrogliare anche il parrochetto ed a far prendere un’altra mano di terzaruoli sulle altre vele, per diminuire la velocità del veliero. Un urto poteva accadere da un istante all’altro e se la Torpa avesse investito con quella foga, avrebbe potuto subire delle avarie gravi e forse irreparabili.
– A posto l’ice-master!1 gridò Tompson. Marinai a prora sul bompresso!... Ai bracci delle vele, gli altri!...
– Potranno scorgere a tempo i ghiacci? gli chiese Oscar, che gli stava presso.
– Gli ice-bergs di certo, se la nebbia non diventa più fitta. Ordinariamente si scorge attorno a quelle montagne un po’ d’ice-blink2, rispose il baleniere.
– Allora un urto non è probabile.
– Tutt’altro, professore. Possiamo venire presi fra tre o quattro ice-bergs e nel virare di bordo andare addosso a qualcuno. Ma non sono i ghiacci che pel momento mi preoccupano.
– E cosa?... Le onde forse?
– No, l’isola degli Orsi. Temo di trovarmi, da un’ora all’altra, addosso alle scogliere che la circondano e che questa nebbia del malanno m’impedirà di scorgere.
– Diavolo!... Siamo già così vicini?
– Sì, professore, ma se gli occhi non potranno vedere, i miei orecchi sono ancora buoni e li tenderò per bene onde raccogliere i fragori della risacca.
– Un po’ difficile a distinguersi però, fra i muggiti delle onde ed i fischi del vento.
– Per voi, ma non per un marinaio. Tenetevi saldo, professore!...
Un’onda gigantesca, assalendo la Torpa di traverso, aveva superata la murata di babordo e si era scagliata attraverso la tolda, correndo verso poppa. Il baleniere ed il professore si trovarono avvolti in un nembo di spuma e si sentirono sollevare e trascinare verso il bordo, ma ebbero il tempo d’aggrapparsi alla ribolla del timone.
– Questo si chiama un vero colpo di mare — disse Tompson, scuotendosi di dosso l’acqua. — Fortunatamente non gela ancora.
– Ma minacciava di fracassarci le costole, capitano — rispose Oscar.
– Bah!... Cercheremo di evitare gli urti e prenderemo le onde di prora — disse il baleniere, cacciando all’orza la ribolla. È vero che...
Si era arrestato di colpo, udendo in alto la voce dell’ice-master a gridare:
– Ohe!... L’ice-blink a babordo!...
– Tuoni di Vardò!... — esclamò Tompson. — Ecco un incontro che non mi aspettavo così presto. Ehi, master, a quante miglia?
– È impossibile saperlo, con questa nebbia, capitano.
– Non puoi scorgere i ghiacci?
– Non vedo che l’ice-blink.
– Sta bene, ci terremo in guardia.
– Indica i grandi campi, capitano? — chiese Oscar.
– Gli ice-fields, professore, e ciò mi fa supporre che l’isola degli Orsi non sia molto lontana. Speriamo di trovare un passaggio fra la costa ed i campi di ghiaccio. Ohe!... Sul bompresso i gabbieri e voi altri, pronti a virare e che nessuno lasci le braccia delle manovre.
In quell’istante la Torpa subì un urto violento che si ripercosse nella stiva, seguìto da un lungo stridío.
– Banco a fior d’acqua – gridò una voce a prora.
– Sperono – rispose semplicemente il baleniere – mantenendo ferma la ribolla del timone.
La Torpa si era arrestata un istante, ma un’onda la sollevò e la spinse innanzi. Il banco, stritolato dall’enorme peso di quella massa che cadeva, fu spaccato e la nave passò oltre, speronando i frammenti.
Oscar guardava fisso il baleniere, ma questi era tranquillo e nemmeno le sue sopracciglia si erano aggrottate, nel momento in cui la Torpa cadeva sul banco.
– Vi ammiro, capitano – diss’egli.
– E perchè, professore? – chiese il baleniere, sorridendo.
– Perchè voi siete un uomo adatto per una spedizione così pericolosa.
– Bah!... Io ed i ghiacci siamo vecchi conoscenti e poi qualunque altro baleniere avrebbe fatto altrettanto e avrebbe accettato l’incarico. Signor professore, vi avverto che stiamo per passare una brutta notte e vi consiglierei di ritirarvi nella vostra cabina.
– No, capitano.
– Ebbene, professore, lasciate che dica anch’io a voi che vi ammiro. Volete tenermi compagnia?... Sta bene: vi mostrerò uno spettacolo che forse mai dimenticherete!...
Poi rizzando l’alta statura tuonò:
– Ai buttafuori gli uomini di prora!... I campi ci stanno vicini!...