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Hors d'oeuvre per le persone serie II


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I MORIBONDI


del


PALAZZO CARIGNANO.


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I.


Il Parlamento riepiloga la nazione. — Lo dipingo al punto di vista francese. — Sono imparziale perchè repubblicano. — Statistica della Camera. — Sua divisione. — Le farfalle. — I pretendenti della destra. — Gli agenti provocatori. — Gl’invalidi del centro. — Gli uomini di Stato abbozzati della sinistra, ed il terzo partito. — Garibaldi tentenna. — Guazzabuglio della estrema sinistra. — Gruppi per provincie, e loro carattere distintivo. — I fabbricanti ed i traffichini degli ordini del giorno. — L’addormentato. — Lo stanco. — L’indiscreto. — I legislatori. — I Grandi di Spagna. — L’amico di tutti. — Crispi e la sua posa. — L’ex-Mirabelli. — I successori di Turati e di Proto. — Fisionomia degli oratori. — I lettori di giornali ed il signor Boggio.


Torino, 15 aprile 1861 e febbraio 1862.


Io credo — fatuità d’italianismo a parte — che un abbozzo a grandi linee della fisionomia del Parlamento italiano potesse interessare i lettori francesi — e, soggiungo, tanto più gl’italiani. Una nazione che si attesta così altamente, che si alloga così francamente in mezzo alle nazioni, rovesciando trattati, dinastie, vecchio dritto internazionale, bravando minaccie e convenienze politiche.... non può essere una nazione volgare e senza portata. Vi è in essa qualche cosa di grande e di vivace che [p. 38 modifica]agisce e che crea. Ora una parte di questi elementi debbonsi naturalmente concentrarsi in questo foco dell’energia nazionale, che addimandasi Parlamento. Si deve trovar quivi il pensiero di questa nazione, il segreto del suo movimento, il meccanismo della sua vita. Ebbene, osservare questa nazione all’opera, prendere quasi i lavoratori sul fatto, esaminare le molle interiori che li muovono, specificare, classificare, disegnare i differenti centri, i differenti elementi di questa forza; vi sembra desso un proposito a negligere?

Io tratteggerò questi schizzi al punto di vista extra-nazionale, vale a dire, senza dettagli inutili, senza simpatie di campanile. Tutti i miei onorevoli colleghi sono degli uomini, relativamente, ragguardevolissimi: ma essi non lo sono mica tutti allo stesso grado al di là delle alpi ed al di là dei mari. Che io scriva due colonne sul signor Borella, sul signor Bonghi, sul signor Capone e che so altri ancora, l’Europa non ne saprà affatto più sull’Italia che la non ne sapeva ieri, che non ne saprà domani.

D’un altro lato, io credo poter giudicare gli uomini ed i partiti con imparzialità. Avendo abitato per dodici anni la Francia e l’Inghilterra, io sono straniero a molte passioni ed a tutte le rivalità. Essendo quasi il solo repubblicano della Camera che non ha idolo — nè Mazzini, nè Cavour, nè Garibaldi — che non ha alcun partito preso, come il mio amico Ferrari; non vedendo alcuna probabilità prossima al successo delle mie idee, io riguardo la lotta dei partiti con la più [p. 39 modifica]grande calma, e giudico il conte di Cavour, Mazzini, Garibaldi, Ratazzi e perfino Antonelli, come se essi non appartenessero più a questo mondo, come la posterità. Questa piccola dichiarazione fatta, alziamo il sipario.

E da prima due parole di statistica. La statistica non è mica solazzevole, ma essa è l’osteologia della società. Su questa ossatura si fabbrica sempre con solidità, con sicurezza.

Il Parlamento italiano componesi di 443 membri; ciò che sur una popolazione di circa ventitre milioni di abitanti dà quasi un deputato per sessantamila anime. La Camera ha validate 438 elezioni. Si è in via di rifare le altre. Su questi 438 deputati vi sono: 2 principi; 3 duchi; 29 conti; 23 marchesi; 26 baroni; 50 commendatori o gran croci; 117 cavalieri, di cui 3 della Legion d’onore; 135 avvocati; 25 medici; 10 preti — fra i quali Apollo Sanguinetti, uno degli stuzzicatori del Ministero, Ippolito Amicarelli, e Flaminio Valente — sacerdoti silenziosi; 21 ingegneri; 4 ammiragli; 23 generali; un prelato; 13 magistrati; 52 professori, ex-professori, o dantisi come tali; 8 commercianti o industriali; 13 colonnelli; 19 ex-ministri; 5 consiglieri di Stato; 4 letterati; un Bey nell’Impero ottomano — il signor Paternostro; 2 prodittatori; 2 dittatori; 7 dimissionari; 6 o 7 milionari; 5 morti che non contano più, ben inteso; 69 impiegati, sopra 88 che sono ammessi dallo Statuto; 5 banchieri; 6 maggiori; 25 nobili senza specifica di titolo; altri senza alcuna disegnativa di professione — e Verdi! il maestro Verdi. [p. 40 modifica]

Non si dirà per certo giammai che il nostro è un Parlamento democratico!

Vi è di tutto — il popolo eccetto. Non vi sono neppure artisti, se ne togli Verdi — e Verdi stesso darebbe bene il suo Trovatore per fare il più povero e piccolo discorso, che farebbe lo stesso Baldacchini. Il più vecchio tra i deputati è il signor Zanolini, un avvocato distintissimo, che è stato presidente di età e che riempì questa funzione con moltissima capacità. Io credo nondimeno che il conte Sanseverino, il signor Abatemarco, Avezzana, Gustavo di Cavour, Vegezzi.... siano così vecchi per lo meno che il signor Zanolini. Il più giovine è un siciliano, un tal Bruno, il quale siede.... alla destra! D’ordinario, io ho veduto in Francia, in Inghilterra, in America, i giovani — i quali sentono piuttosto che non calcolano — sedere alla sinistra. In Italia servirebbero di tabouret ai piedi di un ministro! Giovani come il Bruno, ma più modesti e più degni, seggono altresì alla destra od al centro, i signori di Sierra, Campagna, Barraceo, Serra, Mureddu... Noi abbiamo inoltre sei balbuzienti, cinque sordi, tre zoppi, un gobbo, degli uomini ad occhiali, un gran numero di calvi — quasi tutti. Non un sol muto! ciò che è una sventura. Imperocchè parlando tutti, ciascuno dimanda l’ora sua per farsi udire — non fosse che per farsi leggere dai suoi elettori.

Noi abbiamo, come in tutti i Parlamenti, la distinzione di destra, di centro, di sinistra. Ma questa distinzione non è assoluta. Vi sono parecchi deputati che seggono alla sinistra e votano [p. 41 modifica]costantemente con la destra: altri che, anche sedendo alla destra, votano talvolta con la sinistra. — Verdi, per esempio, Gallenga. Poi vi sono le farfalline. Sfido chi possa assicurare a qual nuance della destra appartengono Broglio, Alfieri, Scialoia ed oggi Minghetti — ed altri parecchi. Nelle prime settimane videsi anche qualche cosa di più curioso. Un deputato siciliano, il signor Paternostro, andarsene alla destra per attaccare qualche deputato dell’estrema sinistra, onde esser sostenuto e sedere nondimeno alla sinistra, a lato di Lafarina, suo capo di fila. Queste due altre farfalle si sono ora fissate — non è duopo dir dove. Un bey dell’Impero ottomano ed un consigliere di Stato del Regno d’Italia non poterono incanagliarsi tra gli onorevoli della sinistra.

La destra non ha tinte ben recise; se non che seggono su i suoi banchi parecchi pretendenti, parecchi rivali più o meno mascherati del conte di Cavour — o di qualunque altro ministro — cui cercano rimpiazzare. Ricasoli, Mamiani, Buoncompagni, Farini, Lanza.... sono là, spiando l’ora, l’occasione, il pretesto sia per dare addosso al Gabinetto che naufraga, sia per essere chiamati a farne parte. Essi hanno un occhio al banco dei ministri, un altro alla sinistra dove accampa il terzo partito. Essi attendono un segnale. La massa della destra vota come un sol uomo col Ministero. Su questi banchi sonovi altresì gli agenti provocatori, gli abbaiatori del conte Cavour. Trattasi di offendere qualche membro della sinistra, di gittare una parola malevola contro Garibaldi, di accusare il [p. 42 modifica]partito di azione? un uomo è presto trovato: un siciliano — o Spaventa — scatta su da questi banchi, e mugge, e morde, e bava. Ma su questi banchi siedono altresì degli uomini convinti, di una grande considerazione, di un’onoranza a tutta pruova, di una probità irreprovevole, i quali votano col Ministero, non perchè esso è il Ministero, ma perchè la loro coscienza comanda loro di sostenerlo. Io non voglio nominare che il signor Gustavo di Cavour e Menotti.

La morte del conte di Cavour non ha fatto cangiare la tattica. Gli stessi uomini, ed altri ancora, seguono le stesse evoluzioni d’incontro al barone Ricasoli. Che questi cada domani, e la stessa manovra comincia col suo successore. La strategia dei Parlamenti è invariabile.

Il centro è le radeau de la Méduse. Là sonosi aggruppati tutti i naufraghi. Tutti i frantumi, épaves, del partito del conte di Cavour, che si ruppe nell’Italia meridionale, sono venuti a posarsi su questi banchi. Questa consorteria può essere denominata il partito delle pretensioni impotenti, degli ambiziosi fulminati. — Icari di cartone imbrattato. Il centro è l’albergo degli Invalidi del presidente del Consiglio. Non vi è quivi un sol uomo che non sia sfregiato, éclopé, politicamente, o che non lo sarebbe prestissimo se lo si mettesse all’opera: imperciocchè essi sono fusi quasi nello stesso stampo, moule. Gli uomini dei centro non hanno più forza, ma essi non mancano perciò di speranza. Al centro siedono Liborio Romano, De-Vincenzi, Poerio, Piria, Conforti, Cicconi, Senegli, [p. 43 modifica]Scialoia, Pisanelli.... l’è il quartier generale dei deputati napoletani, di cui Poerio si crede il capo — il capo putativo — ma che non ha capo. Pulvis et umbra! Essi non hanno che un voto, cui cercano utilizzare.

Se il centro è l’accampamento degli uomini politici storpiati, la sinistra è la sede degli uomini di Stato in isbozzo, per il momento. Io dico per il momento, perocchè è là che si carica la mina, la quale deve fare saltare il Gabinetto attuale — l’attuale è di tutti i tempi — è là che si formano, che si aggruppano, che si concentrano, che si distribuiscono le parti coloro i quali — non passa giorno — si mostrano sulla arena per dar battaglia a qualunque presidente del Consiglio. Il capo naturale della sinistra ove tiensi il terzo partito è il signor Ratazzi. Egli è l’ammiraglio di questo naviglio minaccioso, carico di cifre, di lirismo, di libertà, di risparmi, d’entusiasmo italiano, di armi e soldati a metter su, cui vedesi spuntare all’orizzonte, e di cui capitano è Depretis, e secondo il marchese Pepoli, il quale aprirà probabilmente il fuoco. È il terzo partito che rappresenta veramente lo stato, non naturale ma amministrativo, fattizio, officiale dell’Italia di oggidì. Se questo partito arriva a costituirsi, se arriva sopra tutto ad intendersi con le grandi individualità — tal che Garibaldi, Ricasoli — esso avrà con lui il paese tutto intero, al di fuori della Camera, ed al di dentro, il centro, il quale non sa a qual santo o a qual diavolo votarsi, onde rivenire a galla — egualmente [p. 44 modifica]che la maggior parte di coloro stessi i quali seggono all’estrema sinistra. Garibaldi è per due terzi con essi — forse egli non è con noi, democratici, che per una vaga aspirazione.

Dopo l’avvenimento del barone Ricasoli agli affari, dopo il ritorno del Ratazzi da Parigi, la situazione ha subito qualche cangiamento — e ne subirà-ancora dei nuovi — ma non radicali ed inevitabili. Il Parlamento è un corpo vivo, animato da passioni forti e mobili, d’ambizioni subite e calcolate, lungamente meditate, nascoste, carezzate. Le esplosioni arrivano inattese. Così i calcoli sono avventurosi e non si può, tutto al più, che riprodurre la situazione del giorno. Spiri il vento, e queste foglie che chiamansi deputati si rimescolano in un senso diverso.

L’estrema sinistra componesi di individui isolati, i quali hanno quasi tutti un passato, un nome, una personalità morale, netta, recisa. Tutti questi elementi non si accordano tra loro. Ve ne sono anzi che risaltano, e di molto, sul colore dell’insieme. Amari, Ondes-Reggio, Ugdolena, per esempio, sono cattolici ed un tantino autonomisti, ed essi seggono a fianco di Ferrari, di Bixio, di Crispi, di Brofferio, di Mellana, di Musolino, di Ricciardi — mio vicino — di Tecchio, di Mordini, di Guerrazzi, di Sirtori, di Garibaldi, che ha preso posto in mezzo di noi, accanto a Macchi, se tuttavia Depretis non riescirà, quando il generale ritorni, ad allogarlo a fianco suo. Tutti questi signori, ed altri, rispondono sia al nome di Mazzini, sia a quello di Garibaldi, ovvero [p. 45 modifica]muovonsi nella loro propria orbita, un po’ scoraggiati, un po’ stanchi.

Ma io ritornerò su ciascun partito e su ciascun lato della Camera. Che vi basti, per il momento, questo colpo d’occhio sintetico dato rapidissimamente.

Egli è ad osservare altresì che i deputati d’una stessa provincia d’Italia tendono a ravvicinarsi, a grupparsi fra loro. Essi prediliggono certi posti particolari. Per esempio, non vi è quasi alcun toscano al centro e all’estrema sinistra — Mordini tranne. Questi banchi brulicano di Napoletani e Siciliani. I Napoletani affezionano il centro: i Piemontesi ed i Lombardi la destra o il centro sinistro.

I deputati delle differenti provincie possono classificarsi altresì, per caratteri generali, salvo numerose eccezioni, in un’altra categoria — quella dei sentimenti. I Siciliani sono ambiziosi e lottano per proprio conto. I Napoletani si mostrano più flessibili in faccia ai ministri. Essi si onorano di una stretta di mano, di una parola lusinghiera, di un sorriso, delle moine di un ministro; essi volteggiano, come farfalle, sempre intorno ai banchi dei membri del Gabinetto. I Toscani pajono indecisi; essi portano scritto sulla loro bandiera: Ne quid nimis! I Lombardi sono i più caldi partigiani del conte di Cavour — oggi del barone Ricasoli — ma non sì teneri che i Toscani — e con vedute amministrative più larghe. I deputati dell’Italia del centro sono ministeriali in genere. I Piemontesi, o funzionari o del terzo partito — [p. 46 modifica]ma conservatori sempre — anche sedendo alla sinistra. In generale il Ministero recluta i suoi uomini più tra gli aspiranti agl’impieghi ambiziosi che tra gl’impiegati e tra gl’inquilini del bilancio. E nondimeno, gl’impiegati conosciuti e sconosciuti, i funzionari ed i pensionati, sommano almeno a 120 fra noi. Ne ho veduti però votare con la sinistra ed altri alla sinistra sedere.

Tocchiamo ora le specialità.

Non si agiterà mai una quistione senza che non avessimo a sorbire un ordine del giorno di Ricciardi, o di Lanza, o di Buoncompagni. Caracciolo porta attorno degli ordini del giorno in commandita, a cui non mancano mai nè Lacarta, nè Bonghi, nè Massari, nè Baldacchino — e non ho bisogno di dirvi di quale tinta. Il dormiglione il più assiduo, il più intrepido del Parlamento, è il signor Ranieri. Bisogna domandar la chiusura? il lasso della discussione è bello e trovato — è il signor Gallenga — il quale troppo sovente, ahimè! non ha che ragione. De Blasiis è sempre pronto a chiamarsi soddisfatto. Il signor Castellano protesta sempre. L’anno scorso, quando sedeva alla destra, aveva altresì la specialità delle proposizioni indiscrete. Domandava, per esempio, un appello nominale quando i membri della sinistra credevano opportuno di andarsene per non votare, ovvero gridava: Non siamo più in numero. Ora è Ricciardi che prende questo vezzo — ma in senso più liberale — egli dice legale. Colui che parla il più fuori, il meno dentro della Camera, è il signor Ninco. Il passeggiatore il più [p. 47 modifica]dispiacevole, il ronzatore il più antipatico che crispa i nervi, è Lacarta, San-Donato parla sempre o frizza — quei della destra ben inteso. Plutino ha lo più d’enfasi provinciale. Lo più irritato ed irritante è il signor Paternostro. Lo più scipito e vuoto è Bruno.

Vi è una categoria di deputati che ha la malattia di proporre delle leggi per avere l’occasione di recitare un piccolo discorso meditato, mandato a memoria per sei settimane.

Un sol deputato siede alla Camera la testa coverta di un berrettino — il mio eccellente amico signor Rendina. Mordini provò un momento d’imitare questo Grande di Spagna della Sovranità nazionale; ma il suo fez di velluto ha soccombuto alla fine sotto l’indignazione di una coppia di begli occhi che lo fulminavano dalla tribuna delle dame, ed è scomparso. Massari è l’amico di tutto il mondo — che non sia però un semplice mortale! Crispi ha l’attitudine la più aggressiva nella Camera — quando s’indigna e rompe la monotonia. Allorquando egli si alza per parlare, si direbbe che sia per tirar fuori di tasca un paio di revolvers. Io ho udito il ministro Minghetti a dirgli, ch’egli ne aveva paura. Macchi non manca mai di parlare, quando si tratti di una protesta generosa.

L’ex-Mirabelli, giudice mascherato d’avvocato, era tutto sorriso quando si protendeva in avanti per parlare. Il suo naso terribilmente rosso — diventava un carbone infiammato per beatitudine. Non parlava mai, ben inteso — che per cantare il laudamus pueri dominum. Il lettore di discorsi [p. 48 modifica]il più intrepido era il mio dotto vicino, signor Turati. La Camera mormorava, e Turati leggeva. Il presidente faceva osservare che si era di già deliberato su quanto il signor Turati domandava, e Turati leggeva. Lo si interrompeva, lo si interpellava, si gridava, si strepitava, si chiamava all’ordine, e Turati leggeva. Gli si versava dell’acqua zuccherata, Turati non beveva, e leggeva sempre. Turati avrebbe letto perfin se la Camera avesse preso fuoco, e non vi fossero restati su i banchi che i calamai — ed il signor Poerio. Il signor Turati, infelicemente morto, i deputati che seguono il suo esempio sono numerosi — anche troppo.

Il signor Proto era, tra gli onorevoli della destra, colui il quale sorbiva con più beatitudine i discorsi del conte di Cavour. Questo deputato avendo lasciato il Parlamento, la sua parte e la sua soddisfazione di benessere è stata ereditata dal De-Blasiis — il di cui cranio lucido diviene purpureo e la pallida figura trasuda scandelle di grasso animale. Per questo deputato i ministri non hanno nome. Sono ministri — unti di Dio avendo una chiave della cassa — ed egli li ammira tutti.

Il conte di Cavour era l’oratore più logico del Parlamento. Il suo posto è ora a prendere, Buoncompagni è il più linfatico. Ferrari il più largo ed il più paradossale. Ondes-Reggio lo più dottrinario. Brofferio lo più drammatico. Massari il più cortese, il più verboso, e sovente il più vuoto. Mamiani il più amplificatore. Chiaves il meno avvocato fra gli avvocati. De-Blasiis il più [p. 49 modifica]ristucchevole. Mancini lo più monotono per dispiacenza di voce. Pisanelli e Conforti li più teatrali. Il Minghetti il più elegante nella forma italiana. Lo più scorretto, ma il più aggressivo e il più pieno di fatti, il mio vicino Mellana. Lo più bisbetico è Boggio, cui annoiano molto i lettori ed i scrittori di giornali. Boggio parla, e chi scrive di qua, chi legge di là a oltranza, come se volessero protestare, come gente che si annoia. Susani e Valerio li mettono in fuga. E nondimeno Boggio e Susani dicono spessissimo delle cose molto sensate.

Io termino qui questo colpo d’occhio generale, il quale, ne ho paura, è di già troppo esteso.

Ecco i tratti generici del nostro Parlamento. Comincio adesso a delineare in dettaglio le fisonomie le più interessanti, e principio dal presentarvi il conte di Cavour e il Ministero.