I monumenti e le opere d'arte della città di Benevento/Prefazione
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Dice l’illustre Pietro Selvatico1 »Mi son domandato più volte il perchè si mostrassero così informati delle arti nostre e della storia loro i tanti forestieri che scendono ogni anno in Italia a pellegrinaggio di piacere o di istruzione, e, invece, sì male, e talvolta punto, noi Italiani, a cui quelle arti furono e dovrebbero essere tuttavia argomento di solida gloria,» Le ragioni sono molte e molteplici; ne rileverò alcune fra le più importanti. Io stimo che la causa prima del male, giustamente lamentato dal Selvatico e da altri illustri italiani, risieda nelle nostre scuole. Innanzi tutto in esse manca o vi è scarso l’insegnamento del disegno, che educa il gusto e suscita il sentimento dell’arte. Nei ginnasii, nei licei non lo s’insegna affatto; eppure da queste scuole dovrebbe uscire la parte più intelligente degli studenti di Architettura. Oltre a ciò il disegno, come giustamente osserva Camillo Boito2, può servire all’Avvocato, e al medico e ad altre classi sociali, primieramente per conoscere le parti e le proporzioni del nostro corpo, e poi per saper rappresentare qualsiasi forma nelle manifestazioni scritte o parlate del nostro pensiere.
Nelle scuole e negli istituti tecnici è studiato male.
Vi sono città di provincia, dove l’insegnamento del disegno non pure è trascurato, ma vi è affatto ignorato.
Con questi prodromi, è inutile osservare che pochissimi son quei fortunati che possono intendere le manifestazioni dell’arte. La più parte non l’intende perchè non ebbe educato il gusto. E potente educatore del gusto presso i Greci fu il disegno, che, secondo Aristotile, oltre ad essere utile in cento altre circostanze della vita quotidiana, «facilitava anche la conoscenza delle forme costituenti la bellezza.»3
E questa del disegno è la parte elementare, dirò così; ma poi vien l’altra dello studio dell’arte nelle sue produzioni antiche e moderne, nella sua storia. Vi ha in Italia scuola d’Architettura, Accademia di Belle Arti, ove sien curati seriamente questi studii? Certo non si può affermare sul serio che le cose sin’ora sieno andate bene.
Oggi, un giovane che esca da una scuola di Architetti è tanto digiuno di nozioni della storia dell’arte, quanto è povero di conoscenze del disegno; laddove il più serio studio dell’Architettura dovrebbe risiedere nello esame dei monumenti e dei capolavori dell’arte, che educarono tutti gli artisti del nostro glorioso rinascimento. Il solo Vignola non forma un Architetto, come il disegno d’un fiore, d’un viso non forma un Pittore.
Ma questo è per sè solo sì vasto argomento che non mette conto trattarlo più diffusamente qui, dove di passaggio lo si è accennato. Valga solo come documento che essendo sì scarsa l’educazione artistica fra noi, non è a meravigliare se rari sieno pure i serii cultori della storia e della critica dell’arte nostra.
E questi rari cultori dovettero lottare contro difficoltà non poche, nè lievi. Io non saprei meglio esprimerle che con le parole dell’illustre e autorevole Camillo Boito, cui dobbiamo non solo le stupende creazioni architettoniche, rigenerazione dello stile Lombardo, sparse nel Veneto e nella Lombardia, ma anche i profondi studii sui principali monumenti nazionali, scritti con entusiasmo e sentimento di grande artista. Egli dice:4 «Ad apprestare i materiali per la sicura storia dell’arte potrebbero adoperarsi con frutto le Consulte Archeologiche, le Commissioni per la conservazione o per il restauro dei monumenti, le Società di Storici, d’Antiquarii, e via via. Hanno più mezzi materiali che non i privati: e certo i mezzi materiali sono in cotesto genere di fatiche un aiuto prezioso, spesso necessario. In Francia, in Inghilterra, in Germania, per non dire degli altri paesi, gl’Istituti Archeologici, Storici ed Artistici cooperano appunto, col mezzo di pubblicazioni periodiche, di libri, qualche volta di concorsi e di sussidii, al fine accennato; e già i vantaggi che ne ha tratta la storia sono molto considerevoli. Alcuni libri usciti in questi ultimi anni fuori d’Italia si piantano sulle solide ricerche delle Commissioni provinciali, diocesane o centrali, le quali, assumendo differenti nomi, convergono tutte al nobile ufficio. Pensate, se gli stranieri ci hanno regalato delle cose italiane tante ricche monografie, ciò che fanno essi per i monumenti dei loro proprii paesi. Ma in Italia le fatiche modeste, dotte, pazienti, lunghissime di preparazione sono poco gradite. Le nostre Società e Commissioni e Consulte e Giunte Archeologiche o non fanno un bel nulla, o ciarlano vanamente, o raccolgono con molta spesa pochi pezzi di roba vecchia, preziosa certo e utilissima, ma non bastevole a recare un vero progredimento nelle ricerche sull’arte. Qua e là vediamo tuttavia dei buoni esempii, tanto più lodevoli quanto più sono rari; e non di meno, sino a che ciascuno degli edificii importanti alla storia — e tanti ne abbiamo in Italia! — non sarà parzialmente studiato e illustrato, le considerazioni generali arrischieranno sempre di riescire parole senza sugo.»
Poi aggiunge:5 »Ora accade che coteste Commissioni (le Archeologiche) vengano, di solito, formate assai male. I tre corpi che le devono eleggere non si accordano in prevenzione fra loro; il Prefetto, più che all’equilibrio delle varie attitudini dei Commissarii, bada a contentare gli uomini, come si dice, influenti… V’è ancora in ogni cittaduzza l’Ispettore delle Antichità e degli Scavi… è un signore, od un povero diavolo dominato dall’ambizione; e sopra due che sanno qualcosa di Archeologia, e attendono sul serio al loro ufficio, ve ne son dieci che non sanno nulla e non fanno nulla.»
Parole d’oro, che i nostri governanti, troppo dominati dalla foga delle cricche politiche, avrebbero dovuto applicare, senza indugio, al miglioramento e riordinamento di certe barocche Commissioni, per il supremo e onesto fine dell’interesse della sorte dei nostri monumenti. Ma nè l’autorità di Boito, ne di altri sommi varrà per ora a sbarbicare un male che ha messo sì salde radici.
Ora, tutte queste cose mi si affacciarono alla mente, ogni qualvolta, aprendo un libro d’arte, invano cercai qualche notizia sui monumenti di questa illustre città, o ne trovai monche e imperfette, o ne riscontrai affatto erronee. E come di giorno in giorno io ne ammiravo sempre più i pregi e la importanza, si andò in me educando il pensiero di dirne qualche cosa.
Non devo qui trasandare di dire che parecchi scrittori patrii vanta Benevento, i quali pure se ne sono occupati; ma costoro, se ebbero largo intelletto d’erudito, non ebbero amore di artista. Per la qualcosa non riuscirono noti ed accetti che alla classe limitata dei dotti; per nulla a quella degli artisti.
Ma lo studio dei monumenti, secondo me, non va inteso compiutamente, se alla erudizione non si accoppi la critica artistica, se alla storia non si unisca un esame dell’insieme del monumento e delle sue più pregevoli parti, se ogni singolo monumento non si riferisca ad una epoca della storia dell’arte, con peculiari raffronti di altri simiglianti, ove esistano, e, finalmente, se il libro non sia ricco di disegni; »imperocchè in fatto di storia dell’arte l’illustrazione figurata è ausiliare indispensabile della trattazione storica: col disegno davanti la lettura riesce oltremodo utile, talchè un libro d’arte tanto più corrisponde allo scopo, quanto è più ricco di incisioni.»6
Ecco, dunque, come mi si venne sviluppando l’idea di scrivere intorno ai monumenti di questa città: e ne crebbe l’amore quando potei in me formare il profondo convincimento che, a parità di condizioni, meglio riesca a scriverne chi sta sul sito e di frequente li può osservare.
Per riuscire nell’intento mi proposi da prima di studiare tutti gli autori patrii e la maggior parte, che mi è potuta venire fra mano, degli scrittori stranieri i quali trattano dei monumenti in parola. Poscia mi sono occupato del disegno dal vero di questi e dei loro particolari, e mi son giovato del sussidio della fotografia, sempre che il rilievo a mano sarebbe riuscito più difficoltoso e incompiuto. E su i disegni e le fotografie ho fatto eseguire in Milano dal rinomato incisore Vittorio Turati splendidi clichés per le incisioni della illustrazione figurata con i nuovi sistemi della tipofotografia e della fotozincotipia.
Non ho mancato di praticare qualche scavo, come quello dell’antico teatro, all’oggetto di rilevarne le esatte misure.
Con questo corredo mi sono accinto all’opera, fiducioso che l’onesto intendimento di tentare cosa buona mi sarà di compatimento presso i concittadini, innanzi tutto, ove da me non sia pienamente raggiunto.
Se altro bene non arrecherà il mio lavoro, quello vi sarà certo di fornire altro materiale a persone più competenti in simiglianti studii, e di far un po’ meglio conoscere alla classe degli artisti i monumenti di questa illustre città.
Per molteplici circostanze, quest’opera che avrebbe dovuto incominciare a veder la luce da più mesi, è stata ritardata; per la quale ragione e per le altre nascenti dalle difficoltà inerenti a lavori di siffatta natura, io ho divisato di darla alle stampe a fascicoli, che si succederanno di mese in mese.
Tratterò dei singoli monumenti in ordine storico, per quanto è possibile, e aggiungerò quanto v’ha di più importante in materia di bassorilievi e altri avanzi d’opere d’arte sparsi per la città.
Ove questo lavoro incontrerà il favore degli studiosi ed amatori delle arti belle, penso di farlo seguire da una rapida, illustrazione delle cose più pregevoli che si conservano nel Museo Sacro di questa Cattedrale.
Benevento maggio 1889.
L’Ingegnere Architetto |
Note
- ↑ Le arti del disegno in Italia, storia e critica, Milano, casa edit. Vallardi, pag.ª III.ª
- ↑ I principii del disegno e gli stili dell’ornamento, Lettere di Camillo Boito, Ulrico Hoepli, Milano 1882.
- ↑ Paolo Trombetta, Donatello, Loescher, Roma 1887, pagina 118.
- ↑ Camillo Boito, Architettura del Medio Evo in Italia, Milano, Ulrico Hoepli, 1880, Introduzione, pag. XLV.
- ↑ Opera ultima citata, pag. 236.
- ↑ Alfredo Melani, giornale Lettere e Arti, Bologna, anno i,° N.° 4 — 1889.