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via appia da benevento a brindisi 295

pane; colà l’amico Vario accomiatossi piangente da lui e dagli altri compagni di viaggio:

Quattuor hinc rapimur viginti et millia rhedis,
Mansuri oppidulo, quod versu dicere non est,
Signis perfacile est: venit vilissima rerum
Hic aqua; sed panis longe pulcherrimus, ultra
Callidus ut soleat humeris portare viator:
Nam Canusii lapidosus; aquae non ditior urna.
(Qui locus a forti Diomede est conditus olim).
Flentibus hic Varius discedit mestus amicis.
Inde Rubos fessi pervenimus;…

Non sono stati pochi gli scrittori, ed io non annoierò il lettore a noverarli, i quali hanno creduto falsamente che quel villaggio taciuto da Orazio sia stato Equotutico; ma, dopo che d’Anville1, contro il vaticinio di Gargallo2, ebbe scoverto che questa città fu tra Castelfranco in Miscano ed Ariano, in sito tanto lontano dal cammino percorso dal sommo poeta, non può dubitarsi che quel villaggio sia stato invece l’attuale Ascoli Satriano3, il quale si trova sul cammino da Echino e Canosa, a ventiquattro miglia, secondo Orazio, da Trevico.

Siccome da quest’ultima città a Brindisi indubiamente Orazio percorse la via Egnazia per Bari, io stimo che egli ed i compagni abbiano preferito la via da Eclano a Canosa, invece che proseguir per l’Appia, o perchè Orazio non volle passare per Venosa, sua patria, memore del nemo propheta in patria, o perchè tutti desiderarono accompagnare sino ad Ascoli l’amico Vario.

  1. Vedi pag. 258 di quest’opera.
  2. Tommaso Gargallo, traduz. di Q. Orazio Fiacco, Venezia, MDCCCXLV, in fine della nota 3. alla Sat. V « . . . . se come in Grecia i paesi rammentati da Omero ne traean gloria grandissima, così avvenisse in Italia dei rammentati da Orazio; la mia difesa del non versificabile Equotuzio me ne renderebbe benemerito. L’Italia poi è assai tenera della sua gloria!» È la solita accademia; e frattanto sono gli stranieri che le vengono a studiare le nostre glorie e le nostre memorie!
  3. Corcia, op. cit. tom. 2. pag. 531.