I misteri del processo Monti e Tognetti/Capitolo VI
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VI
Giuseppe Monti.
Giuseppe Monti era un uomo di belle forme. I capelli e la barba, bruni gli uni e l’altra, contornavano il suo volto virile, espressivo, leggermente abbronzito dalle abitudini del lavoro; si leggeva ne’ suoi lineamenti la bontà del carattere, accoppiata a quell’energia che ispira le forti risoluzioni. Lo sguardo de’ suoi occhi neri, blando e amoroso nella calma, diveniva terribile se lo animava lo sdegno.
Monti era un bravo operaio; la naturale intelligenza e l’amore indefesso del lavoro avevano supplito in lui al difetto dello studio. Nella sua qualità di capo maestro muratore egli aveva condotto a termine dei lavori che avrebbero fatto onore ad un architetto. Eppure, modesto per natura, egli si era mantenuto nell’umiltà della sua condizione. Non essendo ingordo di danaro, non si era mai lanciato in quelle temerarie speculazioni di appalti, che spesso arrichiscono in breve ora i capi maestri. Erasi sempre contentato di quell’onesto guadagno che bastava al sostentamento della sua famigliuola. Amantissimo della moglie e dei figli, passava con essi tutto il tempo che gli avanzava dal lavoro, e che altri operai consacrano alla gozzoviglia e al vizio.
Monti entrò in casa tutto animato di quell’intima soddisfazione, che investe l’uomo che ha lavorato quanto deve. Egli stava allora dirigendo una nuova fabbrica nelle vicinanze della Longara.
Portava seco alcuni utensili della sua professione; li depose entrando; si avanzò verso Lucia, le strinse affettuosamente le mani, e:
— Presto, presto! esclamò. Ho una fame indiavolata; metti in tavola, Lucia. E i ragazzi dove sono?
— Eccoci babbo; rispose la voce argentina di una fanciulla.
Era Paolina che veniva dal babbo, tenendo per mano un ragazzo più piccolo, d’uno o due anni.
Monti li abbracciò, e baciò l’uno poi l’altro, li prese sulle ginocchia, li fece giocherellare, e diceva fra sè:
— Che piacere quando si ritorna dal lavoro accarezzare i propri figliuoli!
Poi chiese a Lucia, che attendeva con Teresa a far cuocere la minestra:
— Il piccino?
— È nella sua culla che dorme, rispose la moglie.
— E la minestra è cotta?
— Manca poco; aspetta.
— Oh don Omobono! riprese Monti, salutando il prete di vettura. Perdonate, non vi aveva veduto. E tu non parli quest’oggi, Teresa? Che cos’è? Ve ne state tutti ingrugnati? Cosa è avvenuto? Che cosa c’è di nuovo?
— Niente, proprio niente, rispose Lucia.
— No, v’è qualche cosa. Non mi ricevete mai così, quando ritorno a casa dal lavoro. Sentiamo, Teresa tu che sei la bocca della verità. Che cosa è accaduto?
— Abbiamo ricevuto una visita di malaugurio, rispose Teresa.
— Taci! disse piano Lucia.
Oh lascia che glielo dica! esclamò l’altra. Infin dei conti; è meglio che lo sappia.
― Ma che è stato dunque? sentiamo.
― Sappi che c’è stato qui un nottolone di sagrestia, che ha voluto parlare con Lucia, e ha incominciato a infinocchiare tante e poi tante bubbole, con qual fine poi... lo saprà qui don Omobono, che l’ha introdotto.
― Don Omobono! esclamò Monti guardandolo.
― Io! non è vero! soggiunse il povero prete, facendosi piccin piccino.
― Ah! se arrivavo prima! se lo trovavo qui! E come è finita?
È finita, rispose Teresa, che lo abbiamo cacciato via.
― Brave! esclamò Monti.
E don Omobono:
― Sì, andate là, che avete fatta una bella cosa. Monsignore Pagni è capace..
― Di che cosa?
― Di farvi arrestare.
― Farmi arrestare! gridò il capo-mastro: poi prese per mano il pretuccolo tutto tremante, e gli disse con voce vibrante:
― Ma non sapete, don Omobono, che è finito il tempo delle ingiustizie, delle violenze, dei soprusi? Non sapete che non passeranno ventiquattro ore che Garibaldi sará entrato in Roma?
― Che! davvero? esclamarono le donne.
Don Omobono corse a raccattare la coccarda nell’angolo, dove l’aveva gettata poco prima.
Frattanto Lucia aveva portata la minestra in tavola, e Teresa metteva i bimbi a sedere nelle loro seggioline.
Monti sedette a mensa in mezzo alla sua famiglia, e mentre la moglie scodellava la minestra, egli seguitava a dire:
― Ma sì! Abbiamo finito di stare sotto il governo della perfidia e della ipocrisia. Non più preti sovrani! non più farisei, che benedicono e uccidono colla medesima mano!
Don Omobono, che non sapeva ormai più che contegno tenere, li salutò con un:
― Prosit!
E se ne andò, passando nella sua camera.
― Qua, miei cari figliuoli, proseguiva Monti. Voi crescerete in un’epoca migliore!... Mangia, Paolina.. E tu Tonino, che vuoi?... Lucia, dàgli da bere. Avremo finito di dipendere dai birri e delle spie, tremare continuamente per la nostra vita, per la nostra libertà, per l’onore delle nostre donne!... Santo Iddio! che non debba venire il momento della giustizia anche per Roma, per Roma che è la nostra capitale, la capitale d’Italia!... Mangia, Tonino. Lucia, non aver paura, ormai non abbiamo più nulla a temere. Teresa, vedi un poco chi è.
Avevano bussato alla porta di strada. Teresa andò ad aprire.
Un lieto sorriso apparve sulle labbra della bella romana: il suo sguardo si era incontrato nella simpatica figura del giovane Tognetti.
— Oh, ben venuto! Avanti! esclamarono tutti,
Tognetti si arrestò un poco confuso, e disse:
— Mi dispiace di trovarvi a tavola.
— Avanti, avanti, replicò Lucia. Tra noi non si fanno complimenti.
— Vieni, vieni, Gaetano, soggiunse Monti. Vieni a mangiare un boccone con noi.
— No, no, disse il giovane visibilmente imbarazzato. Avrei bisogno di parlarti.
— Parla pure.
— Guarda che bell’innamorato! disse Teresa con un cenno burlesco di sdegno. Non dice nemmeno una parola alla sua sposa! Meriterebbe che lo lasciassi in piedi.
E cosí dicendo avvicinava una sedia. Ma Tognetti rimase in piedi.
— Scusami, Teta, disse, ho un affare di grande premura. Senti, Peppe.
— E con un cenno chiamò Monti in disparte.
— Che, non dobbiamo sentire noi? esclamò la vivace Teresa. Che usanze sono queste?
Monti si alzò in fretta, si ritrasse in un canto della stanza coll’amico.
Lucia lo seguì con un guardo inquieto.
— Non c’è tempo da perdere, disse Tognetti a bassa voce; abbiamo bisogno di te. Stiamo per fare un gran colpo, capisci?
— Sì, rispose Monti. Vengo subito con te.
— No, no, partirò prima io, per non dare sospetto alle tue donne.
— Va bene io verrò fra un momento.
— Ti aspetto.
— Dove?
— Ponte Rotto.
— Va bene.
Monti tornò alla tavola, e sedette. Era tranquilissimo in vista, ma pure aveva sulla fronte un’ombra tenuissima il pensiero, che non isfuggì all’occhio intento della moglie.
— Dunque siamo intesi, disse forte Tognetti. A rivederci, Peppe. Sora Lucia, vi saluto. Teresa!...
— Aspettate, soggiunse Lucia, Bevete almeno un bicchiere di vino.
— Grazie tante ho un affare... sono aspettato.
Intanto il giovane si avviava.
— E a me, non si stringe nemmeno la mano? disse Teresa.
— Hai ragione, Teta.
E tornando indietro, Tognetti strinse con forza la mano alla sua fidanzata.
— Ahi! Ahi! gridò essa. E adesso per ricompensa mi fai male! Uh! che sgarbataccio!
— Addio!
— Che brutta parola! si dice: A rivederci!
— Ebbene a rivederci!
— A rivederci, Gaetano, ripetè anch’essa la piccola Paolina colla sua grazia infantile.
Tognetti rispose con un ultimo saluto, e partì.
Tutti rimasero in silenzio. Monti era pensoso: quell’ombra leggera della sua fronte si era fatta oscura e profonda.
— Peppe, che hai? chiese Lucia con subito grido.
— Nulla.
— Tu non mangi più.
— Ma sì; vedi pure che mangio. Non ho nulla.
— La visita di Gaetano ti ha turbato, disse Teresa.
— Che cosa è venuto a dirti? domandò Lucia.
— Niente! È venuto ad annunziarmi... così... che c’è un lavoro nuovo da intraprendere.
— Perchè dunque ti ha chiamato da parte? perchè ti ha parlato con tanto mistero?
— Non so davvero! È proprio matto quel Gaetano!
— No, tu m’inganni; mi nascondi qualche cosa.
— Sei pazza! or via, bando a queste follie. Bisogna ch’io vada...
— Dov’è?
— Sai pure, al mio lavoro consueto. Ti par cosa strana? Devo ben ritornare dopo il desinare: non faccio così ogni giorno?... ho indugiato anche troppo quest’oggi.
Monti, così dicendo si levò, Lucia fece lo stesso. Ormai il sospetto si era inoltrato addentro nel suo cuore.
— Monti, lo ripeto, tu mi nascondi qualche cosa.
— Nulla, te ne assicuro. Ma via, calmati. Non vedi come io stesso sono tranquillo? Che cosa ti metti in mente?
Prese il cappello, e allontanando dolcemente la moglie, si avviava.
— No, non partirai, esclamò a un tratto Lucia con accento risoluto. Tu vai ed esporti a qualche pericolo. Ne son certa.
— Perchè pensare a queste cose? Lasciami Lucia. Addio Teresa!
Con queste parole Monti si sciolse con forza da Lucia, e s’incammino frettolosamente: ma giunto sul limitare della porta, un improvviso pensiero lo assalse, si arrestò, tornò indietro con impeto, e corse ad abbracciare i suoi bambini.
— Figli miei! esclamò, e li coperse di baci,
Per quanto un uomo sia fermo, egli s’intenerisce sempre quando bacia i suoi figli. Monti sapeva che andava incontro a un pericolo mortale; gli balenò in mente l’idea: Se non dovessi rivederli più!
E a’ suoi baci si mescolarono alcune lagrime.
— Babbo, perchè piangi? chiese Paolina.
— Io? non è vero!
— Egli piange! gridò Lucia. Ma dunque è vero: io non m’inganno: egli vuol lasciarci per sempre.
— Addio, miei cari.
— No, trattenetelo, figliuoli. Egli va a morire
— Lucia!
— Fermati.
Invano la moglie cercò trattenerlo invano i bambini si aggrapparono alle sue ginocchia. Monti si staccò rapidamente da quelle braccia affettuose, e gridando un’altra volta: «Addio!» partì.
Lucia si gettò fra le braccia di Teresa, dicendo:
— Oh Dio! un fatale presentimento mi stringe il cuore.
— Calmati, soggiunse Teresa. Non sarà nulla; finalmente poi, ti spaventi senza ragione.
— Ma perchè a pianto nel baciare i suoi figli?
— Chi sa? si danno certi momenti di commozione senza motivo.
— Ah no! qualche cosa di terribile deve accadere, me lo dice il cuore.
E la povera Lucia, piangendo, si strinse al seno i suoi figliuoletti.