I Salmi di David (Diodati)/SALMO LXXVIII

SALMO LXXVIII.

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SALMO LXXVIII.

1          Ascolta, o popol mio, l’alma dottrina,
     Che di spiegarti in alti modi intendo:

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     Ed al mio ragionar l’orecchio inchina,
     Con che narrarti cose antiche imprendo:
     Onde i maggiori ci contàr l’istoria,
     E servata n’abbiam fida memoria.
2          Nè le terrem a’ posteri nascose,
     Che faran conte a la futura etate
     Le meraviglie del Signor famose,
     Da lui, con braccio poderoso, oprate.
     Del suo patto in Iacob piantò la sede,
     E ’n Israel stanza a sua Legge diede.
3          Ancor impose a’ nostri padri vegli,
     Che le fesser a’ figli lor savere.
     E a nipoti di mano in mano quegli
     Ne seguissero a dar notizie vere:
     Perchè ponesser loro speme in Dio,
     N’affondasser di lui l’opre in oblìo.
4          E fosser a servar sempre leali
     Le leggi sue, nè mai premesser l’orme
     De’ padri lor perversi e disleali,
     Il cui cor non piegossi unque a le norme
     Del suo voler, e ’l cui spirto fallace
     A servir Dio non si recò verace.
5          I figli d’Efraim, arcieri armati,
     Al dì de la tenzon voltar le spalle:
     Però ch’avean i patti violati
     Di Dio, schifando di sua Legge il calle:
     E lasciaro smarrir la ricordanza
     De’ chiari effetti de la sua possanza.
6          Egli su gli occhi degli antichi loro
     Segni e prodigi ne l’Egitto fece,
     E di Soan ne l’ampio tenitoro.
     E fesso il mar per quel di strada in vece
     Diè varco al popol suo, fermando l’onde,
     In due recise, ed ammucchiate sponde.
7          Di giorno gli guidò di loco in loco,
     D’alzata nube col segnale certo:

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     E tutta notte con acceso foco.
     Il macigno schiantò dentro al diserto,
     E diè lor copia, in quelle secche arene,
     Di fresco umor, come fra guazzi e vene.
8          Fuor de la selce fè scoppiar ruscelli
     E correr d’acque traboccati fiumi.
     Ma quelli non restar d’esser ribelli,
     Per li nefandi lor empi costumi:
     E senza fin ne l’ermo provocaro
     L’Alto Signor ad un dispetto amaro.
9          E d’esso fero temeraria prova,
     Pensier maligni dentro al cor volvendo:
     E ad ogni voglia lor vivanda nuova
     Con protervo parlar da lui chiedendo.
     Potrebbe in queste Dio piagge romite,
     Le mense apparecchiar laute e fornite?
10          Da la rupe di ver, da lui percossa,
     Egli fè scaturir acque e fiumane.
     Ma sarebb’egli ancor di tanta possa,
     Di farci di presente aver del pane?
     O proveder la sua diletta gente
     A grado suo di carni largamente?
11          Ma sentite il Signor lor voci felle,
     Fiamma di cruccio nel suo petto accese
     Contra Iacob, e fè che ’n Israelle
     Un incendio mortal tosto s’apprese.
     Perchè la fede avea smossa da lui,
     Nè sperar volle ne’ soccorsi sui.
12          Benchè dinanzi, al suo cenno divino,
     De l’alto ciel le cateratte aperte,
     E piovendo la Manna ogni mattino,
     Fosser d’etereo pan piagge coverte.
     Sì che si satollò l’uomo mortale
     De l’angelico pan celestïale.
13          Ma pur, per appagar il lor desire,
     Il vento fe’ poggiar da l’Oriente,

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     E per la sua virtù l’Austro venire:
     E piover carne sopra lor repente
     D’uccelli in copia, come trita polve,
     O la rena che ’l mar al lido volve.
14          Di quelli cadde un infinito stuolo,
     Stivati a monte a monte in mezzo a l’oste:
     E d’ogni intorno ricoperse il suolo,
     Ove le tende avean drizzate e poste.
     Essi mangiàr e ne cacciàr la fame,
     E ’l Signor contentò lor ansie brame.
15          L’ingorda cupidigia ancor ardea,
     Ancor fra’ denti avean l’esca bramata,
     Quando ’l Signor, in quella gente rea,
     Le saette lanciò d’ira infocata:
     Ed i più grassi e’ più potenti uccise,
     E tutto ’l fiore d’Israel conquise.
16          Ma non però quella schiatta profana
     Da l’innato peccar unque si stolse:
     N’a le sue tante meraviglie insana
     Prestò la fè, sì ch’egli il freno sciolse
     A l’ira, e consumò lor vita ed anni
     In ispaventi ed in mortali affanni.
17          Se dava lor la meritata morte,
     Tosto si rivolgean a lui pentiti:
     E con preghiere a sua mercede porte,
     Ricercavan i suoi lumi smarriti.
     Ricordarsi esser lui la lor fortezza,
     Ed il sovran lor unica salvezza.
18          Ma la lor bocca, falsa e lusinghiera,
     Nel raddolcirlo sempre fu mendace:
     Nè mai la lingua alcuna voce vera
     Sciolse dal petto perfido e fallace.
     Perchè n’a lui ned al suo Patto santo
     Ebber giammai d’esser fedeli il vanto.
19          Ma pur anche da lui dolce e pietoso
     Furo le lor iniquità purgate:

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     Nè gli distrusse, e ’l suo cruccio focoso
     Spense o in parte allentò molte fiate.
     E ricordossi ch’eran carne frale,
     Fiato che passa e ritornar non vale.
20          Oh, quante volte nel diserto e quante
     Lo provocaro ad ire e sdegni acerbi?
     Quante il suo queto e placido sembiante
     Intorbidàr co’ lor fatti superbi?
     Spesso il tentàr, ed a l’opre divine
     Del santo d’Israel poser confine.
21          Nè servar quell’eccelsa mano a mente,
     Con che scampogli da lo sforzo ostìle:
     E’ prodigi che fe’ l’Onnipotente
     In Egitto e Soan, tenner a vile:
     Quando in sangue cangiò lor fiumi e rivi,
     E d’umor fegli e di bevanda privi.
22          E contr’essi mandò nuvoli folti
     Di bestiuole voraci e sozze rane,
     Da tenergli in affanni e morte involti.
     A’ bruchi e grilli diè mangiar lor pane:
     Le viti lor, con le gragnuole infeste,
     Ed i fichi guastò con le tempeste.
23          E disertò le lor gregge ed armenti,
     Dal ciel piovendo un nembo grandinoso,
     Misto di lampi e fulmini roventi.
     Contra loro avventò foco angoscioso
     D’ira, sdegno e furor, con doglie estreme:
     Spirti maligni a gran caterve insieme.
24          E quell’atroce traboccata piena
     Trascorrer fe’ senza ritegno o schermo:
     Nè gli scampò da l’ordinata pena
     Di morte, e fulle ogni ripar infermo.
     E fra i loro vibrò sparsi animali,
     Di peste e morbi avvelenati strali.
25          E percosse d’Egitto i primi figli,
     Nati nel fior de la paterna etade.

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     E trasse di prigion e lunghi esigli
     L’eletta gente in alma libertade.
     E qual greggia d’agnelli pianamente
     Ei la guidò per lo diserto ardente.
26          A salvamento pel cammin gli scorse
     E gli affidò d’assalti e di spaventi,
     E ’l mar ne l’onde i lor nemici assorse.
     E quindi, appresso molti errori e stenti,
     Nel monte e ne’ confin die’ lor riposo,
     Ch’ei conquistò col braccio valoroso.
27          E dal cospetto lor in fuga e bando
     Mise le genti abbominande e felle:
     Ed Israel in pace trionfando,
     Rendè signor di lor contrade belle:
     E ne le natìe lor antiche stanze
     Fecegli aver posate dimoranze.
28          Ma pur ancor l’alto Signor a sdegno,
     Con tentarlo incitò l’infida schiatta:
     Nè volle star de le sue leggi al segno,
     E ’ndietro s’è da lui ribella tratta:
     Per seguitar con atti iniqui ed empi,
     De’ suo’ maggiori gli esecrandi esempi.
29          Come l’arco talor, sconcio e fallace
     Sbieca e schernisce de l’arcier la mira;
     Quella a la prova non uscì verace.
     A geloso furor lo mosse ed ira;
     Celle ed altari ergendo a creature,
     Ed adorando gl’idoli e sculture.
30          Queste cose il Signor vide ed udìo,
     Ond’egli fu sì fieramente irato,
     Che sdegnoso Israel da se sbandìo:
     Abandonando il Padiglion sagrato,
     La Tenda che ’n Silo piantata avea,
     Ove abitar fra gli uomini solea.
31          E nel poter del fier nemico insano
     Diede il suo soglio ed Arca gloriosa,

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     Per condurla in trionfo in suolo strano.
     Del popol suo fe’ strage sanguinosa:
     E ne la sua già cara ereditade
     Iraconda sfogò severitade.
32          Di guerra divorò fiamma funesta
     De la sua scelta gioventute il fiore.
     Restar fanciulle senza carmi o festa,
     Od alcun altro nuzial onore.
     Cadder trafitti i sacerdoti santi,
     Le vedove affrenar lagrime e pianti.
33          Ma ’l Signor si destò dal sonno fiso,
     Qual s’oppresso dal vin forte guerriero
     Si riscote talor sclama improviso.
     E per eterno scherno e vitupero,
     Ei da tergo percosse i suo’ ribelli,
     Di piaghe infami e sordidi flagelli.
34          E quindi avendo di Iosef a schivo
     L’antica stanza e d’Efraim la gente
     Non degnando onorar del seggio divo,
     Solo Iuda s’elesse, e caramente
     La negletta dinanzi amò Sione,
     U’ volle stabilir la sua magione.
35          E quivi ancor del venerando Tempio,
     Qual d’eccelso palazzo alzò la mole:
     Che de la terra l’agguagliato esempio,
     In perpetuo restar immota vuole.
     E ’l servo suo fedel David s’elesse,
     Tolto da’ greggi ch’egli innanzi resse.
36          Di dietro a pregne ed a lattanti agnelle,
     Egli del popol suo lo fè rettore:
     E lo condusse a pascer Israelle
     Retaggio suo: ed egli, con dritto core,
     Lo governò, e d’esso fu scorta destra,
     Per lo valor de la sua saggia destra.