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salmo lxxviii. 149

     E per la sua virtù l’Austro venire:
     E piover carne sopra lor repente
     D’uccelli in copia, come trita polve,
     O la rena che ’l mar al lido volve.
14          Di quelli cadde un infinito stuolo,
     Stivati a monte a monte in mezzo a l’oste:
     E d’ogni intorno ricoperse il suolo,
     Ove le tende avean drizzate e poste.
     Essi mangiàr e ne cacciàr la fame,
     E ’l Signor contentò lor ansie brame.
15          L’ingorda cupidigia ancor ardea,
     Ancor fra’ denti avean l’esca bramata,
     Quando ’l Signor, in quella gente rea,
     Le saette lanciò d’ira infocata:
     Ed i più grassi e’ più potenti uccise,
     E tutto ’l fiore d’Israel conquise.
16          Ma non però quella schiatta profana
     Da l’innato peccar unque si stolse:
     N’a le sue tante meraviglie insana
     Prestò la fè, sì ch’egli il freno sciolse
     A l’ira, e consumò lor vita ed anni
     In ispaventi ed in mortali affanni.
17          Se dava lor la meritata morte,
     Tosto si rivolgean a lui pentiti:
     E con preghiere a sua mercede porte,
     Ricercavan i suoi lumi smarriti.
     Ricordarsi esser lui la lor fortezza,
     Ed il sovran lor unica salvezza.
18          Ma la lor bocca, falsa e lusinghiera,
     Nel raddolcirlo sempre fu mendace:
     Nè mai la lingua alcuna voce vera
     Sciolse dal petto perfido e fallace.
     Perchè n’a lui ned al suo Patto santo
     Ebber giammai d’esser fedeli il vanto.
19          Ma pur anche da lui dolce e pietoso
     Furo le lor iniquità purgate: