I Robinson Italiani/Capitolo XXV
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Capitolo XXV
L’uragano
La situazione dei Robinson stava per diventare grave assai, essendo ormai cosa certa che i pirati, resi furiosi per la morte di quattro compagni, dovevano essere decisi a vendicarli e a tutto tentare pur di avere in mano gli abitanti dell’isola.
Essendo numerosi, armati di fucili e anche di spingarde e di due piccoli pezzi d’artiglieria, non vi era da fare molto assegnamento sulla resistenza che avrebbe potuto opporre quell’ammasso di macigni che ostruiva la galleria. Pure i tre bravi superstiti della Liguria, non sembravano molto inquieti.
Invece di perdere tempo a discutere sui migliori mezzi di difesa, continuavano a lavorare con accanimento.
Non contenti di aver chiusa la prima galleria, accumularono altri ostacoli presso la seconda che conduceva nell’ultima caverna. Essendo quella assai più stretta e tortuosa della prima, si prestava meglio alla difesa, non permettendo agli assalitori che d’inoltrarsi uno alla volta.
Terminati quei preparativi, tornarono nella prima caverna per udire che cosa facevano i pirati.
L’attacco pareva non fosse ancora cominciato, poichè le pietre formavano una massa compatta. Udivano però i pirati parlare e di quando in quando percuotere la barricata coi calci dei fucili.
Pareva che si consigliassero prima d’intraprendere qualcosa o che attendessero dei soccorsi.
— Aspetteranno che sorga li sole, — disse Albani. — Forse spereranno di trovare qualche altra entrata.
— Perderanno il tempo inutilmente, — disse il marinaio.
— Ma v’è la finestra, — osservò il mozzo.
— È tanto piccola che un uomo non vi può passare, — rispose Albani. — E poi è alta più di quindici piedi e la roccia è tagliata a picco. —
In quell’istante uno sparo rimbombò destando tutti gli echi delle caverne, e facendo balzare bruscamente in piedi gli animali e strepitare gli uccelli. Un pirata, trovato un buco aperto fra i macigni, aveva introdotto la canna del fucile, ma senz’altro effetto che quello di produrre un baccano indiavolato, poichè la palla doveva essersi schiacciata contro gli altri massi.
— Sprecano la loro polvere, — disse Enrico ridendo.
— E perdono il loro tempo, — aggiunse Piccolo Tonno. — Mi rincresce solamente pei nostri animali, che si spaventeranno assai, udendo questa musica per loro nuova. —
Gli spari si succedettero con grande frequenza, formando un baccano assordante, ma senza miglior successo, poichè tutte le palle s’arrestavano in mezzo a quell’ostacolo che aveva uno spessore di quattro metri.
Solamente un po’ di fumo entrava nella caverna attraverso alle fessure, dileguandosi nella seconda e quindi uscendo dalla piccola finestra.
Ben presto però i pirati dovettero convincersi dell’inutilità delle loro fucilate, poichè cessarono il fuoco. Si udivano però invece picchiare furiosamente contro la solida barricata, come se cercassero di aprire dei fori per introdurre le loro armi e aprire un fuoco più efficace.
Essendo però la galleria ad imbuto, i sassi tenevano duro e riusciva difficile il tirarli fuori. Sarebbe stato necessario un ariete per demolire quell’ammasso enorme o per lo meno un pezzo d’artiglieria.
L’alba era già spuntata senza che i pirati fossero riusciti a forzare il passo. Già i Robinson si rallegravano di quel primo successo, quando al di fuori scoppiarono urla di gioia.
— Terremoti e lampi!... — esclamò il marinaio, diventato bruscamente inquieto. — Che cosa sta per succedere?
— Che abbiano scoperto un’altra apertura? — chiese il mozzo, girando gli sguardi intorno.
— Saranno giunti altri uomini, forse quelli che ieri perlustravano la montagna, — disse Albani. — Bah!... Dieci o trenta è tutt’uno. Se poi.... —
Una formidabile detonazione, che fece tremare il suolo della caverna, gli troncò la parola.
— Una mina! — esclamò il mozzo.
— No, è una spingarda, — rispose il marinaio. — Io conosco quelle armi.
— Non sarà certo con delle palle da una libbra che sfonderanno l’ostacolo, — disse Albani, che conservava una calma ammirabile. — A vostro comodo, signori schiumatori del mare, e tu, intanto, mio Piccolo Tonno, va a prepararci qualche cosa da porre sotto i denti. —
I pirati, dopo quel primo colpo, si erano arrestati, forse per constatare gli effetti di quella prima scarica, ma ben presto ripresero il fuoco.
Il marinaio e il signor Albani udivano le palle fracassare i macigni, ma la massa che ingombrava la galleria era tale, che ci sarebbero volute cento libbre di polvere per aprire una breccia.
Tuttavia, al decimo colpo una palla, essendo scivolata attraverso a qualche fessura, entrò nella caverna e andò a conficcarsi sulla parete opposta.
— Oh!... Oh!... — esclamò il marinaio. — La cosa diventa seria, signor Albani.
— C’è del tempo, — rispose il veneziano.
— Ma se continuano questa musica, finiranno coll’aprire un foro.
— E noi risponderemo colle frecce.
— Ma se riescono a entrare!...
— Ne avranno il tempo?...
— Cosa volete dire?...
— Ascolta, — disse il veneziano. —
In lontananza si era udito come un sordo rullìo.
— Il tuono?... — chiese Enrico.
— Un uragano che si avanza e che viene in nostro aiuto, — rispose Albani. — È un’ora che il tuono brontola e che odo le onde sfasciarsi con crescente impeto contro la base della rupe.
— Voi dunque contavate su questo alleato?...
— Sì, Enrico. Fra poco il vento comincerà a soffiare, il mare diventerà burrascoso e non avendo l’isola delle baie riparate, i pirati saranno costretti a riprendere il largo o il loro tia-kau-ting si frantumerà contro la costa. Ecco perchè io ero tranquillo e fidente dell’inutilità degli sforzi degli assedianti. Odi?...
— Sì, il tuono rumoreggia ancora. —
Intanto i pirati continuavano a sparare contro la galleria con crescente furia. Dovevano essersi accorti del pericolo che poteva correre il loro tia-kau-ting e raddoppiavano i loro sforzi per demolire quell’ostacolo che opponeva una resistenza incredibile.
Di tratto in tratto sospendevano il fuoco e percuotevano l’ammasso con dei grossi rami o con dei tronchi d’albero e quegli urti cagionavano maggiori danni delle palle, poichè sconquassavano i macigni semi-infranti.
I tre Robinson che cominciavano ad inquietarsi, tardando l’uragano a scoppiare, si erano collocati dietro i due angoli della caverna, per non farsi fracassare dai grossi proiettili della spingarda e spiavano il momento opportuno per lanciare sugli assalitori le loro frecce mortali. Anche Sciancatello si era unito a loro, tenendo in mano un grosso bastone, arma formidabile nelle sue robuste mani.
Al di fuori il tuono brontolava sempre e si udivano le onde a infrangersi con crescente furore contro la base della rupe, ma il vento non si era ancora scatenato. Solamente delle raffiche si rovesciavano, a lunghi intervalli, sull’isola.
A un tratto i macigni, frantumati e sconnessi dalle palle, cedettero sotto un ultimo e più vigoroso urto, operato forse con un tronco d’albero di gran mole, spinto a tutta forza dagli assalitori che dovevano essere numerosi.
Una breccia s’aprì presso la vôlta della galleria, proiettando nella oscura caverna un getto di luce. Alcuni fucili furono introdotti e fecero una scarica, scrostando la parete opposta.
Il marinaio e Albani, pronti come il lampo, appena videro ritirarsi le armi, puntarono le cerbottane, lanciando attraverso a quella breccia due frecce.
Un urlo acuto li avvertì, che i loro proiettili non erano andati perduti.
— Ecco uno che non ci seccherà più, — disse il marinaio, lieto di quel primo successo. — Avanti a chi tocca! —
I pirati, sorpresi da quella resistenza e resi guardinghi da quelle frecce che sapevano ormai essere avvelenate, avevano sgombrato rapidamente l’entrata della galleria.
— Occupiamo il posto, — disse Enrico.
— No, — rispose Albani. — Non commettiamo imprudenze.
— Ma si sono ritirati, signore. La luce entra liberamente attraverso la breccia.
— Possono spiarci. —
Un urto formidabile scosse la massa di macigni, facendone cadere altri. Albani, Enrico e il mozzo risposero con tre frecce.
Un altro grido echeggiò al di fuori, seguìto da un clamore spaventevole e dallo scoppio di parecchi fucili. Quasi nel medesimo istante una luce vivida si proiettò dentro la seconda caverna accompagnata da una scarica elettrica così fragorosa, che parve che l’intera rupe dovesse crollare sul capo degli assediati.
— L’uragano!... — esclamò Albani, con voce lieta. — Finalmente saremo liberati da quei furfanti! Tenete duro, amici miei e non economizzate le frecce. —
I due marinai non facevano davvero economia. Tenendosi nascosti dietro gli angoli della galleria, continuavano a scagliare i loro dardi avvelenati attraverso alla breccia.
I pirati, non potendo avvicinarsi senza venire colpiti, si sfogavano scaricando attraverso la galleria i loro moschettoni, ma senza recare danni.
Furiosi però di essere tenuti in scacco da quei pochi difensori, ripresero la loro catapulta e scagliandola impetuosamente innanzi, riuscirono ad allargare il foro, facendo diroccare la barricata.
Un uomo, il più audace, si cacciò nella galleria e irruppe nell’interno prima che i Robinson potessero scorgerlo, essendo l’oscurità diventata profonda in causa delle folte nubi che si addensavano rapidamente in cielo, ma Sciancatello gli appioppò una legnata così potente, da farlo fuggire urlando di dolore.
— In ritirata! — comandò Albani, vedendo altri nemici affollarsi confusamente sotto la galleria.
I tre Robinson e Sciancatello si slanciarono nella seconda caverna, accumulando nella seconda galleria sassi, colli di viveri, recipienti d’acqua e dietro la carretta.
L’uragano allora scoppiava con rabbia estrema. I lampi si succedevano ai lampi, i tuoni scrosciavano con estrema intensità, toccando tutta la gamma in meno di un minuto, e sul mare si udiva il vento a fischiare ed a ruggire, mentre le onde schizzavano la spuma perfino dentro la piccola finestra della caverna.
I pirati avevano fatto irruzione dentro la galleria emettendo urla di vittoria, ma si erano subito arrestati dinanzi alla seconda, la quale pareva dovesse presentare una resistenza non minore.
Le loro grida di vittoria si cambiarono ben presto in urla di rabbia, di delusione. Pure, decisi a vendicare i loro compagni, l’avevano assalita percuotendola col tronco d’un albero, quando in lontananza si udì a tuonare un colpo di cannone, seguìto poco dopo da un secondo sparo.
L’assalto cessò bruscamente. Si udirono ancora delle grida, ma pareva che diventassero rapidamente più fioche.
— Se ne sono andati, — disse Albani che ascoltava, rattenendo il respiro.
— Sì, — disse Enrico. — Quegli spari erano segnali di pericolo.
— Amici miei, ringraziate quest’uragano.
— Alla finestra, signore, — gridò Piccolo Tonno. — Potremo vedere la nave a uscire dalla piccola rada. —
Il veneziano si diresse verso la finestra e guardò fuori. Il mare aveva preso un aspetto pauroso. Immense ondate, d’una tinta verde cupa, correvano all’impazzata verso le spiagge dell’isola, frangendovisi contro con indescrivibile violenza, mentre un vento impetuoso sconvolgeva le nere masse di vapori e le folgori descrivevano i loro pericolosi angoli.
Si vedevano le alte piante, che rizzavansi sulla cima delle rupi, torcersi come fuscelli di paglia sotto le sferzate dell’uragano, mentre le foglie e i rami strappati volteggiavano in tutti i sensi.
— È un vero ciclone, — disse il marinaio. — Non vorrei essere sul tia-kau-ting.
— Non abbandonerà la cala di certo, — rispose Piccolo Tonno.
— E allora le onde lo frangeranno contro le scogliere, — disse Albani. — La cala non ha alcun riparo e saranno costretti a prendere il largo.
— Speriamo che si affoghino tutti, — disse Enrico. — Ecco che doppia quel capo!... Guardate, signor Albani! —
Il veneziano volse gli sguardi verso il nord e vide infatti il tia-kau-ting fuggire verso l’est, con le sole vele basse terzaruolate. Balzava disperatamente sulle onde, ora apparendo sulle creste spumanti ed ora scomparendo nei baratri mobili.
— Che il mare v’inghiotta tutti!... — gridò il marinaio. — Ecco il mio augurio! —
Pochi minuti dopo la piccola nave scompariva nel fosco orizzonte, mentre la bufera si scatenava con estrema violenza.