Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
170 | Capitolo venticinquesimo |
furono introdotti e fecero una scarica, scrostando la parete opposta.
Il marinaio e Albani, pronti come il lampo, appena videro ritirarsi le armi, puntarono le cerbottane, lanciando attraverso a quella breccia due frecce.
Un urlo acuto li avvertì, che i loro proiettili non erano andati perduti.
— Ecco uno che non ci seccherà più, — disse il marinaio, lieto di quel primo successo. — Avanti a chi tocca! —
I pirati, sorpresi da quella resistenza e resi guardinghi da quelle frecce che sapevano ormai essere avvelenate, avevano sgombrato rapidamente l’entrata della galleria.
— Occupiamo il posto, — disse Enrico.
— No, — rispose Albani. — Non commettiamo imprudenze.
— Ma si sono ritirati, signore. La luce entra liberamente attraverso la breccia.
— Possono spiarci. —
Un urto formidabile scosse la massa di macigni, facendone cadere altri. Albani, Enrico e il mozzo risposero con tre frecce.
Un altro grido echeggiò al di fuori, seguìto da un clamore spaventevole e dallo scoppio di parecchi fucili. Quasi nel medesimo istante una luce vivida si proiettò dentro la seconda caverna accompagnata da una scarica elettrica così fragorosa, che parve che l’intera rupe dovesse crollare sul capo degli assediati.
— L’uragano!... — esclamò Albani, con voce lieta. — Finalmente saremo liberati da quei furfanti! Tenete duro, amici miei e non economizzate le frecce. —
I due marinai non facevano davvero economia. Tenendosi nascosti dietro gli angoli della galleria, continuavano a scagliare i loro dardi avvelenati attraverso alla breccia.
I pirati, non potendo avvicinarsi senza venire colpiti, si sfogavano scaricando attraverso la galleria i loro moschettoni, ma senza recare danni.
Furiosi però di essere tenuti in scacco da quei pochi difen-