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168 Capitolo venticinquesimo

lustravano la montagna, — disse Albani. — Bah!... Dieci o trenta è tutt’uno. Se poi.... —

Una formidabile detonazione, che fece tremare il suolo della caverna, gli troncò la parola.

— Una mina! — esclamò il mozzo.

— No, è una spingarda, — rispose il marinaio. — Io conosco quelle armi.

— Non sarà certo con delle palle da una libbra che sfonderanno l’ostacolo, — disse Albani, che conservava una calma ammirabile. — A vostro comodo, signori schiumatori del mare, e tu, intanto, mio Piccolo Tonno, va a prepararci qualche cosa da porre sotto i denti. —

I pirati, dopo quel primo colpo, si erano arrestati, forse per constatare gli effetti di quella prima scarica, ma ben presto ripresero il fuoco.

Il marinaio e il signor Albani udivano le palle fracassare i macigni, ma la massa che ingombrava la galleria era tale, che ci sarebbero volute cento libbre di polvere per aprire una breccia.

Tuttavia, al decimo colpo una palla, essendo scivolata attraverso a qualche fessura, entrò nella caverna e andò a conficcarsi sulla parete opposta.

— Oh!... Oh!... — esclamò il marinaio. — La cosa diventa seria, signor Albani.

— C’è del tempo, — rispose il veneziano.

— Ma se continuano questa musica, finiranno coll’aprire un foro.

— E noi risponderemo colle frecce.

— Ma se riescono a entrare!...

— Ne avranno il tempo?...

— Cosa volete dire?...

— Ascolta, — disse il veneziano. —

In lontananza si era udito come un sordo rullìo.

— Il tuono?... — chiese Enrico.

— Un uragano che si avanza e che viene in nostro aiuto, — rispose Albani. — È un’ora che il tuono brontola e che odo