Hypnerotomachia Poliphili/XII
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producesse, quali sono questi nel divo fronte affixi, di questo caelico figmento praefulgidi et amorosi, et perciò per tanti iurgii obsesso el tristo core et da tanta discrepante controversia de appetiscentia sustiniva, quale si tra essi una fronde del astante lauro del tumulo del Re de Bibria in medio collocata fusse, né unque la rixa cessare, si non reiecta, et cusì pensitava non cessabondo tanto litigio, si non da esso core tanto piacere de costei (non factibile) fusse ablato. Et per tale ragione non se potea firmamente convenire el voluptico et inexplebile desio del uno né del altro, quale homo da fame exacerbato et tra multiplici et varii eduli fremente, de tutti cupido di niuno integramente rimane dil ardente appetito contento, ma de Bulimia infecto.
LA BELLISSIMA NYMPHA AD POLIPHILO PERVENTA, CUM UNA FACOLA NELLA SINISTRA MANU GERULA, ET CUM LA SOLUTA PRESOLO, LO INVITA CUM ESSA ANDARE, ET QUIVI POLIPHILO INCOMINCIA PIÙ DA DOLCE AMORE DELLA ELEGANTE DAMIGELLA CONCALEFACTO, GLI SENTIMENTI INFLAMMARSENE.
Né più praesto l’amoroso aspecto, et gratissima praesentia delapso per ministerio de gli ochii ad le intime parte, che la recordevole memoria evigiloe excitando il core intromisso. Praesentandogli et quella offerendogli, che di lui ha facto copiosa officina, et delle sue pongente sagitte stipata pharetra, et della sua dolce effigie domestico et conservabile domicilio la riconobbe, et quella che ha prolixamente consumpto gli mei teneri anni, negli sui caldi, primi, et fortissimi amori. Perché quello già dislocato resultante, io el sentiva, et sencia inducie (quale rauco tamburo) assiduamente il pecto laeso pulsare. Et advegna che nel suo venusto et quam acceptissimo aspecto, et per le bionde trece, et nella capreolata fronte di crispuli et tremuli crini sopra ludibondi, mi apparesse quella auricoma Polia extremamente amata, et per cui unquantulo la vita mia fora delle incendiose flamme mai se ha potuto dimoverse, et fluctuante modificarse. Niente di manco el superbo et Nymphale habito insueto, et lo incognito loco me feceron diciò restare grandemente suspeso dubioso et ancipite. La quale cum el niveo brachio della sinistra, al chioneo pecto appodiata gestava una accensa et lucente facola, oltra el dorato capo alquanto eminente, la extrema graciliscente parte de quella, cum istringente pugno retinente, et porgendo accortamente el soluto brachio, candidissimo più che mai fusse quello de Pelope. Nel quale appariano la subtile cephalica et la basilica fibra quale sandaline lineature tirate sopra al mundissimo papyro. Et cum la delicata dextra morigeratamente praehendendo la mia leva, cum dilatata et splendida fronte et cum la ridente bocha cinnama fragrante et le afossate bucce, et cum la ornatissima loquela blandicula piacevolmente dixe. O Poliphile par ad me securo veni, et non haesitare unquantulo. Io allhora sentivi gli spiriti mei stupefacti, mirabondo como ella el nome mio sapesse. Et tutte le parte interiore prosternate d’una fervescente flamma amorosa circundarle, et la voce occuparsi, tra timore serata et venerabile pudore. Et cusì disavedutamente ignorava che diciò a llei condignamente respondere valesse né altramente reverire la diva virguncula. Se non che io praestamente gli offeriti la indigna et disconvenevola mano.
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Et postala nella sua, strengerla sentiva tra calda neve, et infra coagulo lacteo. Et parve ad me immo cusì era de attingere et attrectare pur altro che cosa di conditione humana. Laonde poscia che cusì facto hebbi, i’ restai tuto agitato et concusso, et suspicoso, non intendando le cose invisitate ad gli mortali. Né ancora che d’indi ne dovesse sequire, cum plebeo habito pannoso, et cum isciochi et vulgari costumi, difforme a llei istimantime inepto et dissimile di tale consortio, et illicito essere mortale et terrogenio tale delitie fruire. Per la quale cagione arrossciata la facia, tutto di verecunda admiratione reimpleto, alquanto della mia imitate condolendomi, sectario suo me exposi. Ultimamente pur non cum integro et tutto rivocato animo incominciai de riducere gli pavidi et perturbati spiriti, suadendomi meritamente beatissimo exito essere appresso tale bellissimo et divo obiecto, et in cusì facto loco. L’aspecto praestabile della quale valida virtute harebbe havuto di trahere et di transmigrare le perdute alme fora delle aeterne flamme, et de ridure gli corpi incompacti negli monumenti al suo coniuncto, et Bacho harebbe neglecto la inclyta temulentia di Gaurano, Faustiano, et Falerno, et Pucino, o vero Pictano, per havere de costei perpetua spectatione. Et retro essa sequendo cum el palpitante (et d’amore inquieto) core, più quassabondo che Sisura avicula, et non per altro modo che la timida pecora dal rapace lupo portata per la morsicata gula. Quivi fervidamente tacto di piacevoli ardori, paulatini vegetantese incominciorono di riscaldare et succendere la frigida paura et l’alterato calore ad uno amore sincero dispositivamente adaptare. Et già quasi superato et vincto non mediocremente da incentivo et interno appetito tra me taciturnulo cogitando, variamente altercava, o foelicissimo sopra qualunche amatore chi dell’amore de questa fosse se, non in tutto, almeno alquanto participevole copulato. Dopo ad gli mei improbi desii improbando opponeva dicente, o me a pena mi se darebbe ad credere, che tale Nymphe cum gli impari et terrestri, de tutte cose ad esse dissimili se dignasseron. Ma senza haesitare, questa è digna de gli stricti amplexi degli dii superni, et quelli spogliantise delle divine forme tramutati et personati trahere dagli alti coeli al suo dilectoso amore. Dall’altra parte io me consolava, che io offerentili l’alma mia amorosa (altro più digno munere non havendo) quantunque diva, forsa non la desprecerae. Quale Artaxerxe Re degli Persi, l’aqua nelle mane praesentata a bevere se inclinoe. Et per questo cum tepidi sospiri sentiv’io agitare et grandemente commovere l’intime parte del invaso pecto mio. Il quale ad tale ministerio volentieri adaptavase, et più agevole se praeparava ad accenderse, che ad gli soffianti Euri el sicco harundineto, postogli la piccola scintilla, che nel principio se comincia impetuosamente impigliarse multiplicando tutto poscia s’accende. Per questa similitudine uberrimamente experiva uno incremento d’una piacevola et domestica flammicella dilatarsene nel praeparato subiecto, cusì factamente che gli amorosi risguardi di essa mi erano hogimai perniciose et mortale percussure, come corrusco tonitro negli validi roburi cum repente impeto disserpando sfinde, et già non audeva di guardare gli sui lucidi ochii, imperoché qualunque fiata riguardantila (violentato dall’incredibile bellecia del suo gratissimo aspecto) et per aventura gli sui radiosi ochii se havesseron cum gli mei mutuamente ricontrato, per alquanta mora tutte cose ad me pariano geminate, prima che degli mei ochii el vacilante connivare, et pristino lume se ristorasse. Per la cagione di tutte queste cose, manubio et spolio et vincto totalmente era disposito allhora cum il pugno apprehendere delle fresche herbule, et ad essa offerendole supplice dire. Herbam do. Advegnia che già cum la mente tacito el confirmasse, et consignatoli libero adito et ampia apertione de l’anima mia deputata. Subito diciò el caldo pecto humilmente havendose apatorato come el rubente et maturo fructo della mordica, o vero carancia nella prima fractura ampliantise successivamente poi tutto crepa. Et ricevute in sé le solite et familiare (ma alquanto intercalate) aestuatione, immediate lo usato et frustato lare el suo fervore et foculo riconobbe, penetrando le arsibile et experte viscere, cum el virgineo aspecto decorato excessivamente de inexcogitabile elegantia. Perché già nella prima coctura degli primi amorosi incendii in la mente dolcissimo (Ma quale completo et farcito d’insidie caballo in Troia) introducto, dede primordio aeternalmente una incognita et implacabile pugna, nel tenace core et simplicissimo, di rimanere profundamente infixa. Il quale facilmente da uno dolcissimo sembiante seducto, sencia mora inconsultamente non si tardoe sfindirse, et tutto ad gli amorosi accessorii et accendimenti latamente fenestrarsene et ad gli piacevoli fochi dispositamente racenderse, et ad tanto fasce aptamente sottometerse. Diqué già in me ad gli seduli et interni ardori una domestica excitatione più se infortiva. Ad gli quali più digno et più opportuno soccorso questa al praesente singularmente reputava, che ad le cave navicule, nelle rapide et fluctuante unde del remenso pelago navante cum iniquo tempo Typhi cum el suo amplustre et percommodo registro, et la stella di Castore. Più grato ancora che quello di Mylicta al batuto Adone. Et ad Aphrodite quello de Peristera obsequiosa Nympha. Et più acceptissimo che il Dictamo Ideo, portato dalla filia di Dione, cum el purpureo fiore al vulnere del pio Aenea. Et sentendo io el già concusso pecto dall’intime asperitate, et tacitamente reimpleto et compressamente stipato, et racolti in sé gli discoli pensieri, et cum operoso amore pensando se ampliava et augevase la non più risanabile piaga. Et restricti in me gli paulatini et pusilli spiriti, quasi auso me assicurava de manifestaregli exprimendo gli mei intensi fervori et amorosi concepti. Alhora tutto perdutome in caeco desio. Il perché non valeva più io recusare ad gli invadenti accessorii, et ad gli caustici ebullimenti resistere, et vociferare cum incitata et piena voce et dire. O delicata et diva damigella qualunque sei, meno che cusì valide facole usa ad arderme, et di consumare el mio tristo core. Hora mai per tuto arde da indesinente et stimoloso incendio, et me per medio l’alma sento transfigere et penetrare uno pontuto et acutissimo et flammeo dardo. Et cusì dicendogli di volere discoprire il celato foco, et minuire alquantulo la exacerbatione che io pativa excessivamente ingravescente per stare ocultata questa (d’amore) rabiosa et terribile inflammatione, ma patientemente io restai, et per tale modo tutte queste fervide et grave agitatione, et temerarii pensieri, et lascivi et violenti appetiti, io gli reflecteva vedandome cum la mia toga sordido. La quale ancora gli harpaguli delle mordice lapule nella selva infixi retineva, et quale Pavone remirando gli foedi et vilissimi pedi depone la rotundata cauda, cusì né più né meno, io supprimeva gli irritamenti di omni voluptate, interrumpendo gli contumaci desii, et vani cogitati considerando la disconvenientia a tanto divo obiecto. Per questa cagione era fortemente disposito cum tutte mie forcie di vincere et inclaustrare el soluto et vago appetito, et la vacilante mente, et superare la immodesta voluntate, arbitrando hogi mai che altro essere che cusì non poteva. Ad l’ultimo pensiculatamente nel archano del mio infocato core ad cogitare incominciai, che sencia fallire la praesente et continua mia poena adaequare potev’io ad quella de lo improbo Tantalo che all’arida et sitiente bucca le gelide et purgatissime aque gustabile et iocunde se offeriscono, et al fremente appetito gli suavi fructi fina alla hiante bucca gratissimamente se appraesentano, rimane finalmente impasto et abstemio del uno et del altro. O me che non per altro modo una venustissima Nympha insigne di forma, di fiorente aetate, più che dire si poté decorata de angelici costumi et de praecipua honestate celebre, nel conspecto degli ochii mei eximiamente benigna praesentata, la visitatione dela quale omni exquisito et delectabile contento humano excedeva, et io allato suo, piena di omni cosa, che solatiosamente vale ad amare et appetire provocabonda, et da qualunque altra operatione lo intellecto astrahendo solo in sé cumulantilo, non succureva perciò ad lo anhelante et voluptabondo desio. Hora per tale via non extinguendo le ardente concupiscentie, quanto io valeva aquetava el languescente core oltra modo inflammato, cum ralentarlo de amorosa et solativa sperancia. Et cum tale discorso che mai si trova carbo tanto extincto, che allo ignito propinquo non parimente per la conveniente dispositione non se accenda, ma gli ochii effrenati più d’omni hora quello di qualunque potere immunito et inerme, di più insolente desiderio le sue praecipue et dive bellecie lo inflammavano. Sempre più bella, più elegante, più venusta, più appetibile, et extremamente apta et praestabile d’amare, cum mirabile incremento de dolce piacere evidentemente monstrantise. Poscia sinceramente pensitava, si per aventura gli summi Dii persentiscono me desiderare et nephariamente appetere et praesumere gli devetati dilecti, forsi in questo sancto loco, et de tale persona ragionevolmente prohibiti, nonne come prophano ad me facilmente potrebbe advenire si como ad molti altri che hanno offeso impudentemente, le frede et infracte ire iustamente usate ad Isione audace et confidentissimo? Et per el simigliante