Hypnerotomachia Poliphili/XI
Questo testo è incompleto. |
◄ | X | XII | ► |
Forme praeexcellente, habiti incentivi, moventie puellare, risguardi mordenti, exornato mundissimo. Niuna parte simulata, ma tutto dalla natura perfecto, cum exquisita politione, niente difforme ma tutto harmonia concinnissima, capi flavi cum le trece biondissime et crini insolari, tante tanto bellissime complicate, cum cordicelle, o vero nextruli di seta et di fili d’oro intorte, quanto che in tutto la operatione humana excedevano, circa la testa cum egregio componimento invilupate et cum achi crinali detente, et la fronte di cincinni capreoli silvata, cum lascivula inconstantia praependenti. Et cum elegante vestiture di multiplice invento di piacere, tutte olide, moscose, inexperta fragrantia spirante. Il parlare suapte da furare et violentare ciascuna reluctantia et durecia di qualunque silvatico et indisposito core, et di pravare omni sanctimonia, da ligare omni soluto, et omni inepta rusticitate coaptare, et omni silicea duritudine friare. Per le quale cose l’alma mia essendose, di nova cupiditate totalmente inflammata, et già nel extremo incendio di concupiscentia proscripta, et excitato omni mio praecipite et lubrico appetito ad amore et in libidine immerso, subito me vidi invaso et infecto da Empyrivitico contagio, et di tale incensione infervefacto, et in me vegetatose, le amabile damigelle sencia advederme solo me lassorono, cusì accenso in una amoenissima pianura.
UNA ELEGANTISSIMA NYMPHA IN QUESTO LOCO SOLO RELICTO ET DALLE LASCIVE PUERE DESERTO GLI VENE ALL'INCONTRO,
LA SUA BELLECIA ET INDUMENTO POLIPHILO
AMOROSAMENTE DESCRIVE.
i iii
spirante diceva, che ’l risonavano per sotto quella virdura gli amorosi sospiri, informati dentro il riservabile et acceso core. Né più praesto in questa angonia agitato, et per questo modo absorto essendo, che inadvertente al fine di quella floribonda copertura perveni, et riguardando una innumerosa turba di iuventude promiscua celebremente festigiante mi apparve, cum sonore voce, et cum melodie di varii soni, cum venusti et ludibondi tripudii et plausi, et cum molta et iocundissima laetitia, in una amplissima planitie agminatamente solatiantise. Diqué per questa tale et grata novitate invaso sopra sedendo admirativo, di più oltra procedere, trapensoso io steti.
Et ecco una come insigne et festiva Nympha d’indi cum la sua ardente facola in mano despartitosi da quelli, verso me dirigendo tendeva gli virginei passi, onde manifestamente vedendo, che lei era una vera et reale puella non me mossi, ma laeto l’aspectai. Et quivi cum puellare promptitudine, et cum modesto accesso, et cum stellante volto, pur obvio ad me già mai approximata, et surridendo vene, cum tale praesentia et venusta elegantia, quale per aventura non apparve al belligero Marte la amorosa Idalia, né ad essa il formoso pastore Adone, né il delicato Ganymede al summo et inflammato Iove, né lla bellissima Psyche all’ardente Cupidine. Per la quale cosa si questa tra le tre discorde Dee, quarta viduto havess’io, et dal superno Iove iudice fusse stato constituito, quale nelle umbrante selve di Mesanlone el Phrygio pastore, sencia dubio molto più di admiranda forma, et sencia aequivalentia più degna del scripto pomo, et sencia rispecto alcuno che le altre costei iustamente harei iudicato. La quale nel primo obiecto sospicai che Polia lei per certo se fusse, ma la conditione del insueto habito et loco me dissuase. Et per questa iuridica cognitione supersedendo ancipite, et cum veneranda suspensione me conservai. Vestiva dunque questa Elioida Nympha el virgineo et divo corpusculo di subtilissimo panno di verde seta textile et di ordimento d’oro (Quale iocundissimo coloramento delle pinnule del collo Anatico) commixto, sopra una bombicina interula candida et crispula, la nitidissima et delicatula carne et la lactea cute tegendo, quale unque prima sapé texere la inventrice Pamphila figliola di Platis ne la insula Coo. La quale camisia gratiosamente simulava bianchissime et incarneate rose coprire, ma la veste sopra di questa, cum parvissime plicule, o vero rugule elegantemente induta, adhaerente, et sopra gli ampii fianchi appresso le mammillule strictissimamente di cordicella d’oro cincta, retinendo soppresse le plicature del tenuissimo panno sopra el delicatamente tumidulo pecto, sopra di questa prima cinctura, era subtracto la superfluitate del longo vestimento, restata la liciniata fimbria aequalmente fina ad gli carnosi tali. Poscia ancora questo sublevato indumento succinctulo era alla prima cordicella d’oro, cum il sacrato Cesto della sancta Cytherea. Il quale ingrummato sublevamento et circunsinuato et elegantemente composito intorniava supra el pudico alvo, cum grato tumento, et di sopra alle resistente et tremule nate, et al rotundo et piccolo ventre, il residuo del vestire demesso velava cum minutissime rugature al reflato delle suave aure instabillule, et per il moto corporeo, fina alle lactee suffragine cadente. Alcuna fiata dagli temperati spirari di ventuli, il leve indumento impulso, accusava la pudica et scitula formula, la quale ad quella faceva prompto contempto. Diqué non temerariamente sospicai quasi lei non essere compositione spermale. Da poscia le distese bracce, cum le longe mane, ornate di subtili et tornatili digiti, cum longiuscule, surrubicundule, et i iiii lucide ungue, quale mai simigliante ad la Agelia Minerva furono dicate, le quale bracce per la lympitudine delle maniche, poco meno che nude appariano, et lo exito dell’uno et l’altro brachio, appresso ad gli candidi armi, circuiva bellissime uno phrygio di oro obrizo texuto, et copiosamente decorato di lucenti gioielli. Per questo modo medesimo erano tutte le fimbrie del vestire, cum minutissimi stralleti di bractea d’oro, instabili pendenti in molti lochi venustissimamente dispensati. Sopra l’uno et l’altro Hypocondrio, era la vesta dissuta, o vero dissecta, et in tre lochi coniuncta da tre pilluli che erano tre crassissime perle innextrulate di seta Cyanea, quale Cleopatra non hebbe ad risolvere in potione, et cum tale ordine era invinculata quella separatione, indicando el su camisio, tra la distantia d’una margarita ad l’altra. D’antorno el drito et gallateo collo, uno artificioso soprafilo d’oro violentato ambiva. Il quale discrepavase sopra el Nympheo pecto angustiantisi poscia acutamente al suo transverso conveniva, intexto vermiculariamente, et di pretiose gemme copiosamente ornato. Di sotto a questo indumento come di sopra è dicto, copriva el suo tenuissimo Suparo incrispulato, di seta candida di minutissimo lavorio, il quale tegeva quella pretiosa carne, quale purpurante rose, nel discrime del suo spatioso et delitioso pecto. Agli ochii mei più grato che al fesso et profugato cervo gli freschi rivi, più delectevole che ad Cynthia la pisculenta navicula di Endimione, et la suave Cithara ad Orpheo. Le maniche del quale Camisio conveniente late, ad vicino della compraehensa delle Fucilie delle mane invinculate, circundava stringendo una fimbrieta aurea inpillulate da due crasse unione per singula cum orientale candore. Da poscia oltra tutte queste gratissime cose, dava pertinace opera, cum furatrini et seduli risguardi in vagegiare volupticamente le contumace et tumidule papille impatiente al suppresso del tenuissimo vestito. Quelle dunque non importunamente iudicai, che tanta dignitate di spectatissima opera, l’artifice solamente per sé et per suo extremo oblectamento, cum omni diligentia haverle bellissime formate, et coadunato quivi omni violentia di amore. Forsa tale le quatro Alite d’oro alligate ad la Basilica regia di Babylone, chiamate lingua degli Dei, non erano violente allo amore del Re, gli animi conciliare, quale in queste sentiva. Heumè che apena hariano impleto la Vola della mano, cum il più bello intervallo che la natura della vita el potesse fingere. Alla bianchissima gola più candida che la Scythica neve, uno monile pretioso cingeva, non quale della Cerva Caesarea, che dubitarei ancora tale fusse stato, quello della scelerosa Eriphile, di manifestare el caelato Amphiarao contaminantila. Il quale una infilatura di gemme et di orbissime perle per questo exquisito ordine se dimonstrava. Nel pendente verso la furcula del candidante pecto, in medio tra due grosse margarite infilato era uno corruscante rubino rotundissimo, ultra le perle collaterali seguivano dui fulgoranti Saphiri, et poscia ancora due orientale perle. Ultra le quale de qui et de lì seguivano dui lampegianti Smaragdi, et ancora due perle, et poscia dui praelucentissimi Iacynthi. Tutte queste gemme de pillulacea forma iustissime et di crassitudine di bacca cum optima et amicale partitione. La biondissima testa cum explicata et soluta capillatura sopra el gratioso collo effusi, di tortuli et renidenti crinuli copiosa appareva, vedendose non altramente che subtilissimi fili d’oro, inconstantemente rutilanti. El calveo capillamento discreto, da uno serto de olente et amethistine viole soppresso, alquanto sopra la festevole fronte pendendo, una voluptica discrepantia componeva triangulare, quale unque ad Genio fusse votata. Et de soto la strophiola compositamente uscivano gli pampinulati capegli, parte tremulabondi delle belle tempore umbregianti, tutte le parvissime aurechie non occultando, più belle che mai alla Mimoria fusseron dicate. D’indi poscia el residuo del flavo capillamento, da drieto el micante collo explicato, et dalle rotunde spalle dependuli effusi inquietamente per sopra el formoso dorso oltra gli vertibili ginochii extendentise, et moderatamente in undule ventilantese, che cusì vagamente non explica l’ugiello de Iunone le oculate poene, che tali crini non votoe Berenice per el suo Ptholemaeo nel venereo tempio. Né Cono Mathematico tale vide nel triangulo collocate. Nella fronte laeta ancora sotto ad due subtile, nigerrime, hemicycle et disiuncte ciglie (Quale mai per adventura se hano vidute in Aethiopia delle Abbacsine. Né tale unque in tutela hebbe Iunione) lucevano dui festevoli et radiosi ochii. Da fundere Iove in piogia d’oro, de chiara luce prompti, cum la fusca uvea coperta della lactea cornea, vicino ad gli quali le purpurante guance, cum le rotunde, et de due lacunule ridente bucce cum eximia gratia venustamente decorate. Spiravano colore de fresche rose, alla surgente Aurora collecte. Et dopoi tra vasi di mundissimo crystallo de Cypri locate, non altramente transparendo, cum vermigliante diaphinitate cusì sencia fallo cum tale nitentia iudicai. Sotto similmente al disteso Naso una lepidissima vallecula alla piciola bucca di cortese formula confine seguiva, gli labelli della quale non tumidi, ma madefacti, et depicti de Muricea tinctura, tegevano la uniforme continuatione degli piccioli et Elephantici denti, uno non sopra eminente all’altro, ma in ordine aequalmente dispositi. Tra gli quali Amore una spirabile ridolentia indesinente componeva. Perché io pensiculatamente praesumeva, che negli labri gratiosi, altro non fusse, se non per gli lactei denti lucente perle, et per el fragrante anhelito calidissimo mosco, et per la suave voce, Thespis cum le nove figliole. Per le quale tutte cose summamente illecto, tra gli mei infocati sentimenti, et tra il disordinato et succenso appetito, grande seditione et amaricabile contentione di proximo naque, quale già non fue nelle ante narrate praesentie, et delle amplissime et varie opulentie. Imperoché gli discoli et furatrini ochii una parte commendavano de l’altre molto più bella. Ma lo appetito in altra parte del divo corpusculo raptato, praeferiva altercando quella ad l’altre. Et diciò omni male exordio de tanta perturbativa et contentiosa commotione furono gli insaturi et infestissimi ochii mei, gli quali io sentiva de tanta et tale noxia lite nel tristo et vulnerato core interseminarii et siscitanti. Per la contumacia di quali allhora quello io al tutto el perdeti, et niente di manco sencia quelli in niuna cosa io gli poteva alquanto satisfare. Il fremente appetito poscia el summe delitioso pecto sencia aequivalentia extolleva. Gli ochii voluptabondi consentiendo dicevano, si almeno tutto el potesiamo discoprire. Diqué quelli mobili d’indi poscia violentemente dal venustissimo sembiante sublati, omni extrema voluptate in quello comparavano. Et quivi corroborato lo appetito et disconciamente protervo summurmurilava, chi facilmente mi suaderebbe, che alcuna fiata né unque si fusse uno capo copioso, cusì de geniale cesarie et voluptuoso ornato di textura, et di capilli intortili di egregio cumulo, et di iocundo circumvoluto decorare sì bela et sì nitente fronte. Quali ramenti Abiegni sempre in pampinulati orbiculi, merentise. Che mai tale et cusì spectanda Hesperia ad Esacho gli capilli comente non piaque né apparve, cum dui chiarissimi poscia et sagittanti ochii, come stelle matutine nel depurato coelo perlucide, più bellamente decorata fronte et capo, che unque se vide il Belliger Neco dagli Acintani ornato de splendenti radii, nel mio core come demisso dardo da irato Cupidine profundamente vulnerabondo. Dunque concludendo quasi auso potrei dire. Che Dello stabilita, ad gli mortali sì gratiosi, sì lucidi, sì decorissimi lumi non