Guerra dei topi e delle rane/Canto secondo
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I
Leccapiatti, ch’allor sedea sul lido,
Fu spettator de l’infelice evento.
S’accapricciò, mise in vederlo un grido,
Corse, ridisse il caso; e in un momento,
Di corruccio magnanimo e di sdegno
Tutto quanto avvampò de’ topi il regno.
II
Banditori correan per ogni parte
Chiamando i sorci a general consiglio.
Già concorde s’udia grido di Marte
Pria che di Rodipan l’estinto figlio,
Ch’in mezzo del pantan giacea supino,
Cacciasser l’onde a i margini vicino.
III
Il giorno appresso, tutti di buon’ora
A casa si adunar di Rodipane.
Stavano intenti, ad udir presti. Allora
Rizzossi il vecchio e disse: ahi triste rane,
Che siete causa a me d’immenso affanno,
A noi tutti in comun, d’onta e di danno!
IV
Ahi sfortunato me! tre figli miei
Sul più bello involò morte immatura.
Per gli artigli del gatto un ne perdei:
Lo si aggraffò ch’uscia d’una fessura.
Quel mal ordigno onde crudele e scaltro
L’uom fa strage di noi, men tolse un altro.
V
Restava il terzo, quel sì prode e vago,
A me sì caro ed a la moglie mia.
Questo le rane ad affogar nel lago
M’han tratto. Amici, orsù: prego: non sia
Tanta frode impunita: armiamci in fretta:
Peran tutte, ché giusta è la vendetta.
VI
Taciuto ch’ebbe il venerando topo,
Fer plauso i circostanti al suo discorso;
Armi, gridaro, a l’armi: e pronto a l’uopo
Venne di Marte il solito soccorso,
Che le persone a far vie più sicure
L’esercito fornì de l’armature.
VII
Di cortecce di fava aperte e rotte
Prestamente si fer gli stivaletti
(Rósa appunto l’avean quell’altra notte);
Di canne s’aiutar pe’ corsaletti,
Di pelle per legarle, e fu d’un gatto
Che scorticato avean da lungo tratto.
VIII
Gli scudi fur de le novelle schiere
Unti coperchi di lucerne antiche;
Gusci di noce furo elmi e visiere;
Aghi fur lance. Alfin d’aste e loriche
E d’elmi e di tutt’altro apparecchiata,
In campo uscì la poderosa armata.
IX
A l’udir la novella, si riscosse
Il popol de’ ranocchi. Usciro in terra;
E mentre consultavano qual fosse
L’occasion de l’improvvisa guerra,
Ecco apparir Montapignatte il saggio,
Figlio del semideo Scavaformaggio.
X
Piantossi infra la calca, e la cagione
Di sua venuta espose in questi accenti:
Uditori, l’eccelsa nazione
De’ topi splendidissimi e potenti
Nunzio di guerra a le ranocchie invia,
E le disfida per la bocca mia.
XI
Rubabriciole han visto co i lor occhi
Giacer sul lago, ove l’ha tratto a morte
Gonfiagote il re vostro. Or de’ ranocchi
Quale ha più saldo cor, braccio più forte,
Armisi e venga a battagliar con noi.
Disse, si volse e ritornò tra’ suoi.
XII
Qui ne’ ranocchi un murmure si desta,
Un garbuglio, un romor. Questo si dole
Di Gonfiagote e trema per la testa,
Quello a la sfida acconsentir non vuole.
Ma de la molestissima novella
Per consolargli il re così favella:
XIII
Zitto, ranocchie mie, non più romori:
Io, come tutti voi, sono innocente.
Non date fede a i topi mentitori:
So ben che certo sorcio impertinente,
Navigar presumendo al vostro modo,
Altro gli riuscì ch’andar nel brodo.
XIV
Né per questo il vid’io quando annegossi,
Non ch’i’ sia la cagion de la sua morte.
Ma di color ch’a nocerci son mossi
Non è la schiatta nostra assai più forte?
Corriamo a l’armi; e di suo cieco ardire
Vi so dir che ’l nemico hassi a pentire.
XV
Udite attentamente il pensier mio.
Ben armati porremci su la riva
Là, dove ripidissimo è ’l pendio:
Aspetteremo i topi; e quando arriva
Quella marmaglia, la farem da l’alto
Far giù ne l’acqua allegramente un salto.
XVI
Così, fuor d’ogni rischio, in poca d’ora
Tutto quanto l’esercito nemico
Manderem senza sangue a la malora.
Date orecchio per tanto a quel ch’io dico,
Fornitevi a la pugna, e fate core,
Ché non siam per averne altro che onore."
XVII
Rendonsi a questi detti; e con le foglie
De le malve si fanno gli schinieri;
Bieta da far corazze ognun raccoglie,
Cavoli ognun disveste a far brocchieri;
Di chiocciola ciascun s’arma la testa,
E a far da mezza picca un giunco appresta.
XVIII
Già tutta armata, e minacciosa in volto
Sta la gente in sul lido, e i topi attende;
Quando al coro de’ numi in cielo accolto
Giove in questa sentenza a parlar prende:
Vedete colaggiù quei tanti e tanti
Guerrieri, anzi Centauri, anzi Giganti?
XIX
Verran presto a le botte. Or chi di voi
Per li topi sarà? chi per le rane?
Palla, tu stai da’ topi: e’ son de’ tuoi;
Chè presso a l’are tue si fan le tane,
Usano a i sacrifizi esser presenti
E col naso t’onorano e co’ denti.
XX
Rispose quella: o padre, assai t’inganni:
Vadan, per conto mio, tutti a Plutone;
Ché ne’ miei tempii fanno mille danni,
Si mangian l’orzo, guastan le corone,
Mi succian l’olio, onde m’è spento il lume;
Talor anco lordato hanno il mio nume.
XXI
Ma quel che più mi scotta (e per insino
Che non me l’han pagata io non la inghiotto)
È che il vestito bianco, quel più fino,
Ch’io stessa avea tessuto, me l’han rotto,
Rotto e guasto così, che mel ritrovo
Trasformato in un cencio; ed era novo.
XXII
Il peggio è poi che mi sta sempre attorno
Il sarto pel di più de la mercede:
Ben sa ch’io non ho soldi; e tutto il giorno
Mi s’arruota a le coste e me ne chiede.
La trama, ch’una tal m’avea prestata,
Non ho renduto ancor né l’ho pagata.
XXIII
Ma non resta perciò ch’anco le rane
Non abbian vizi e pecche pur assai.
Una sera di queste settimane
Pur troppo a le mie spese io lo provai.
Sudato s’era in campo tra le botte
Dal far del giorno insino a tarda notte.
XXIV
Postami per dormire un pocolino,
Ecco un crocchiare eterno di ranocchi
M’introna in guisa tal, ch’era il mattino
Già chiaro quando prima io chiusi gli occhi.
Or quanto a questa guerra, il mio parere
È lasciar fare e starcela a vedere.
XXV
Non saria fuor di rischio in quella stretta
Un nume ancor. Credete a me: la gente
Quand’è stizzita e calda, non rispetta
Più noi ch’un becco, un can che sia presente.
Disse Palla: a gli Dei piacque il consiglio.
Così piegaro a la gran lite il ciglio.