Guerino detto il Meschino/Capitolo XXXVIII

Capitolo XXXVIII

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CAPITOLO XXXVIII.


Il Meschino ed Alessandro vanno per la Grecia, e loro avventure per arrivare a Persepoli dalla bella Antinisca.


D
opo che Alessandro, il Meschino e Girardo e molti altri baroni di Grecia e signori, furono ritornati a Costantinopoli, si fece una grande allegrezza, e tutti i cittadini correvano a veder il Meschino, e ognuno diceva com’egli aveva ritrovato suo padre, e delle gran fatiche che aveva sostenute. Girardo fece apparecchiare una galera, e subito con volontà del Meschino mandò ambasciatori al padre di lui significando la riportata vittoria contra il re Astiladoro, e che essi avevano tanto in mano da cacciar i Turchi di là dallo stretto di Ellesponto, e di là dal Danubio e di tutto il reame di Bossina. Per questa novella si fece gran festa per tutta Puglia, Calabria e per molte parti d’Italia, e per tutta la Turchia il contrario per la gran rotta ricevuta.

Avendo per molti giorni fatto festa, il Meschino con Alessandro si partirono da Costantinopoli, e in capo di un mese andarono per tutta la Grecia, pigliando molte città e castelli, i quali tutti si accordarono con Alessandro; e poi andarono alla città di Monsabiar, presero il re della Bossina che giurò di dar omaggio ad Alessandro, e non passarono più oltre che il Danubio e tornarono in Grecia. Essendo tornati in Polonia, giunse al Meschino un secreto messo per parte di Antinisca, e diedegli una lettera. Quando l’ebbe letta sospirò, e disse a Girardo che [p. 292 modifica]ritornasse verso la Macedonia e verso Durazzo, ch’ei voleva rimanere con Alessandro per certe cose, e lo pregò che suo padre Milone gli fosse raccomandato tanto che ritornasse; ma Girardo si partì mal volentieri, e per la Romania e Grecia se ne ritornò a Durazzo con la sua gente. Il Meschino rimase con Alessandro per due mesi, ed un’altra lettera gli venne da parte di Antinisca da Persepoli: per questa lettera, disse il Meschino ad Alessandro, come gli conveniva ad andare in Persia e mostrandogliela gli disse la promessa ch’egli avea fatta ad Antinisca. Alessandro ne fu molto dolente, e disse ch’ei farebbe tutto quello sforzo che potesse; ma il Meschino se ne rise dicendo: Caro mio fratello Alessandro, tutta Europa non potrebbe per forza di gente andare a Persepoli, imperocchè volendo andar a Persepoli sono circa mille miglia, però voglio andare io solamente. Rispose Alessandro: Per l’Onnipotente Dio, che senza me tu non andrai! e per gran preghiere, che gli facesse il Meschino, Alessandro non volle rimanersi, e fece fare molti vestimenti al modo turchesco e soriano, ed ordinò un luogotenente alla città di Costantinopoli, e armata una galera con due scudieri si partirono per il mar maggiore, e andarono in Trabisonda, dove smontarono, e dissero al padrone della galera che non si partisse di Trabisonda, e che mai non dicesse a persona chi fossero. E così si partirono, cavalcarono verso Magna, e passarono le montagne di Amascina, e giunsero in Armenia magna ad una città chiamata Salem, poi andarono per molti deserti, e dopo molti giorni giunsero alla città detta Curgicar; ivi stettero quattro giorni e tolsero guida, che li menasse in Darmandria e passarono il gran fiume Eufrate, e dopo molte giornate andarono ad una città detta Mefar e nelle montagne di Soria.

Con molte fatiche passarono la Soria. Fu detto a loro che la via non era sicura per la quantità di ladroni che vi erano, e per i gran boschi ripieni di fiere selvatiche. Essi si raccomandarono a Dio, e arrivati in una valle appresso il fiume Tigris furono assaliti da venti ladroni, i quali avean due padiglioni nella pianura tesi. Quando il Meschino vide venire questi ladroni verso di loro, disse ad Alessandro: «Questi vorranno delle nostre robe, e noi ne daremo a loro». E avendo l’elmo in testa salutarono questi malandrini in [p. 293 modifica]lingua turchesca, e uno di loro disse: «Smontate in terra se no voi sarete morti. — Rispose il Meschino: Perchè ci volete voi far oltraggio?» Ma uno di loro non istette a dire più parole, e diede al Meschino una gran bastonata; non potè più comportare il Meschino, ma imbrandì la spada, e al primo colpo gli fece due parti del capo. Alessandro avea la lancia sotto mano, e passò un altro fino di dietro. Allora si cominciò tra loro la battaglia per modo che i loro scudieri furono morti ambidue; ma il Meschino ed Alessandro gli uccisero tutti sì che solo due ne camparono di questi venti. Allora si mossero da’ loro padiglioni due altri a piedi molto grandi. Il Meschino arrestò la lancia contro uno di quelli, e gli fece una piaga, ma si ruppe la lancia e a lui fu ucciso il cavallo sotto. Il Meschino saltò in piedi con la spada in mano, ed Alessandro ch’era andato contra l’altro, fu abbattuto per il colpo del bastone, e quel gigante tartaro lo prese, e lo portava verso il padiglione. Il Meschino fece molti colpi con l’altro Tartaro, alla fine gli tagliò la man dritta, che poco più lo potè offendere, onde, volendo per la ferita della mano fuggire, il Guerino gli tagliò la gamba dritta, poi diede soccorso ad Alessandro, e quel Tartaro, credendo che Alessandro fosse morto, lo gittò in terra e si rivolse contra il Meschino menandogli del bastone; schivò il colpo, ed egli lo ferì in su la testa, e il Tartaro pieno d’ira contra lui si mosse con furia. Alessandro si drizzò in piedi, e tutta la spada giunse al Tartaro di dietro, il quale a due mani menava il bastone contro Guerino e percosselo. Alessandro gli dette un colpo nella coscia dritta ed a traverso gliela tagliò, e il Tartaro cadde morto, onde il Meschino rimproverò molto Alessandro perchè avea tagliata la coscia al gigante mentre combatteva con lui. E morti i due Tartari ebbero gran dispiacere de’ loro scudieri che aveano perduti, e fecero una fossa e li sotterrarono. Il Meschino avea gran dolore del suo cavallo, e tolse il migliore di quelli ch’erano di questi Turchi, e tolse il fornimento del suo. Quindi andarono ai loro padiglioni, e ivi trovarono alcuni legati, i quali liberarono, ch’erano ventidue prigioni, e poi si rinfrescarono e dimandarono a questi prigioni la via di andar a Persepoli. Risposero: «Voi avete ancora a fare un gran cammino, ed avete a trovar molte città di mala gente; da qui a Persepoli vi sono ancora quindici giorni; per certo noi [p. 294 modifica]crediamo la città sia assediata da quelli di Persia, perchè è una gentildonna la qual è di Persepoli molto bella che un figliuolo del Soldano di Babilonia vuol per moglie, ed ella non vuole acconsentire insino che non passano quattro mesi, perchè dice che ha fatto voto, poi lo torrà per marito; vi è ancora un mese da passare di questi quattro mesi; e il figliuolo del soldano la vuole per forza, ed ha giurato di farla strascinare per tutto il campo vituperosamente. — «Guerino disse come sai tu questo? — rispose: Io ed altri quattro compagni venendo dal perdono di Lamech1 capitammo in quella città, ed abbiamo inteso a dire queste cose. Seguitando la via, questi due che voi avete morti con i lor compagni, ci presero e ci hanno tenuti trenta giorni prigioni». Il Meschino ed Alessandro diedero loro licenza d’andarsene, ed essi li ringraziarono.

Partite queste genti, il Meschino ed Alessandro cavalcarono per istrani paesi, e molte volte albergavano nei boschi onde le fiere loro diedero molto da fare, e uccisero due mostri, un leone, due serpenti, due giganti grandissimi, e passarono il fiume detto Capoa, e arrivati in Comopoli ad un’osteria per albergare in questa città, due ch’erano campati dal bosco de’ venti malandrini, subito se n’andarono dal signore della città, ch’avea nome Baranif il crudele, dicendogli come due cavalieri, i quali aveano uccisi i suoi servitori, eranci venuti ed erano nella sua città nel tal albergo. Subito montò a cavallo Baranif e venne con cinquanta a cavallo a quell’albergo, facendo vista di andare a sollazzo per suo gusto. Smontato, l’oste gli fece riverenza. Il Meschino dimandò all’oste chi egli era, e quando lo seppe se gl’inchinò. Baranif dimandò chi essi erano, uno rispose che erano due Turchi di una città posta nel reame di Sanzia chiamata Antiochia. Ei gli prese per mano, fece loro gran festa e invitolli seco alla sua corte, dicendo: «Per rispetto del paese d’onde siete, io voglio che veniate alla mia corte, perchè in Sanzia erami fatto onore». Il Meschino non volea, ma tante furono le sue preghiere che vi andarono, e giunti alla corte fu data loro una stanza secondo l’usanza del paese, mostrandogli Baranif un [p. 295 modifica]grande affetto; la sera cenarono insieme, ed essendo con loro a cena, certi Turchi, che stavano in corte, riconobbero Alessandro, e quando furono andati a dormire, i primi due tornarono a Baranif e gli dimandarono se li voleva pigliare e farli uccidere». Disse Baranif: — «Questi sono due valenti cavalieri difensori della legge di Maometto contra i Cristiani, e se uccisero i miei servitori, fecero come valenti cavalieri, perchè voi li volevate rubare». — Ed essendo in questo ragionamento giunsero i due Turchi in casa di Baranif, e gli dissero come uno di quelli era Alessandro di Costantinopoli; «e l’altro crediamo che sia il Meschino, e vanno vedendo questi paesi per tornare poi tra i Cristiani e far gran gente e venire a pigliare tutti questi paesi; voi sapete che hanno riacquistato tutta la Grecia, ed hanno ucciso il vostro amico e parente Astiladoro e i suoi figliuoli, e quanto onore vi sarà se voi ne fate vendetta!» Quando Baranif intese questo, fu molto allegro; la notte fece armare quattrocento persone, e venne alla camera del Meschino con gran lumi e gittato l’uscio in terra entrarono dentro. Il Guerino con la spada in mano ne uccise cinque, ma egli era nudo e fu alquanto ferito e furono presi ambidue, ed essendo menati su la sala fu dimandato da Baranif come aveano nome, e quelli due ch’erano campati da’ ladroni, diceano loro villania, dicendo: «Voi uccideste i nostri compagni e noi v’impiccheremo con le nostre mani». Disse il Meschino: — «Egli è ben ragione che il ladro appicchi il giusto e in questi cattivi e ladri paesi; che questa legge pare che voi abbiate». Poi disse verso Baranif: — «Noi abbiamo detto chi noi siamo». Allora quei Turchi gridando dissero: — «Tu sei il Meschino, e questi è Alessandro figliuolo dell’imperatore di Costantinopoli». Furono messi in fondo d’una torre, e appena fu dato loro tanti panni da vestire e Baranif tolse tutte le loro armi e cavalli. I due ladri che gli avevano prima insegnati a Baranif, dimandarono grazia di giustiziarli loro stessi per vendetta de’ loro compagni che loro aveano morti e due de’ loro campioni. Fece loro Baranif la grazia e nel seguente dì fece scrivere per tutta Soria e per l’Arabia e a tutti i signori d’Asia, significando quello che era di ragione per far di loro quello che loro piacesse. Tutti risposero di farli morire, e molti signori turchi dimandarono certi membri del Meschino. [p. 296 modifica]

Ricevuto Baranif la risposta di tutti i signori di far morire il Meschino ed Alessandro, diede ordine di farli appiccare prima, e poi a membro a membro farli tagliare, e mandare a donare a chi la testa, a chi le mani. Fe’ fare le forche ed era per tutto una grande allegrezza.

Ora ritorno al valentissimo cavaliere Artibano, che si rendette per i prieghi che gli fece il Meschino, e lo mandò in Italia a Milone suo padre, che l’accettò come se fosse stato il suo proprio figliuolo, e diedegli cento cavalieri in compagnia e oro e molti vestimenti e lo mandò a Roma al Sommo Pontefice a farlo battezzare di sua mano, e gli pose nome Fidelfranco. Egli, dopo andato e tornato, volle andare in Grecia in ajuto del Meschino; ma vennero lettere della sconfitta del re Astiladoro, e come Girardo doveva subito ritornare. Per questo aspettò tanto che Girardo giunse a Taranto; e quando Milone seppe che il figliuolo non si trovava, n’ebbe gran dolore, e così Fenisia madre di Guerino che molto piangeva. Fidelfranco se n’avvide ed ebbe gran compassione di Milone, e gli giurò nelle sue mani lagrimando d’andare per Guerino, il quale insino alla morte fedelmente seguirebbe. Partito da Taranto con una galera, venne in Costantinopoli, dove gli fu fatto grand’onore, conoscendo chi era; e quando Fidelfranco seppe l’andata di Guerino dal vicerè, si partì con la galera, e navigando tornò indietro insino alla volta de’ Turchi, e verso Rodi insino a Bairuti, e lì smontò con due famigli dalla galera, e montò a cavallo, andò avanti e giunse in quella parte, dove avevano uccisi quei diciotto ladroni e i due giganti tartari, che ancora vi era molto sangue sparso per terra, e la campagna era piena d’armi rotte, vi erano teste di morti e alcuni panni stracciati e aste rotte da fiere selvatiche, e pensò che quivi fosse stata battaglia.

Artibano di Liconia, il quale fu chiamato al battesimo Fidelfranco, cavalcando verso Comopoli, e incontrati molti del paese, lor domandava dell’armi che avea trovate rotte nella campagna non sapendo che ivi fosse stata battaglia, e arrivando certi messaggieri del Soldano a Baranif, che venivano d’Asia, si accompagnò con loro, andarono a Comopoli, e cominciarono a dire verso Artibano, perchè essi conoscevano ch’egli era turco, come i [p. T37 modifica]Il Meschino intorno a Persepoli. [p. 297 modifica]traditori del Meschino ed Alessandro erano stati presi a Comopoli, e ch’essi erano stati ventidue giorni in prigione, e si aspettava il loro arrivo per farli morire. Artibano ebbe voglia di ucciderli, ma pensò che sarebbe stato peggio, e però si ritenne e venne con loro insino alla città. Quando Baranif lo vide, dimandò chi si fosse, e quando seppe esser turco gli fece grand’onore. Disse come egli era stato preso in Macedonia in una battaglia contro il Meschino e, mandato in Italia, se ne era fuggito per virtù di Macometto, e che era qui venuto perchè aveva sentito dire come egli aveva preso il Meschino ed Alessandro, i quali uccisero i suoi fratelli. E per questo Baranif gli fece maggior onore, fidandosi di lui ed alloggiandolo nel palazzo. Era in corte quando le forche furono piantate sul lago detto Agone, fuori della città due balestrate, essendo ordinato di farli morire; ma Artibano cercava di farli campare per l’opere ricevute da Milone, ed essendo Artibano nella città di Comopoli, andava procurando in che modo potesse fare a campare i due cavalieri, e prese grande amistà con Baranif il crudele; e come Artibano era un valente cavaliere, Baranif per questo avea volontà di servizio per tenerlo seco a far guerra a’ suoi vicini. Ed essendo in amistà, un giorno dissegli Artibano: «Signore, quando mi darete voi tanta allegrezza, che io veda vendetta de’ miei fratelli?» Rispose Baranif: — «Da qui a tre giorni, imperciocchè aspetto novelle di Caldea per i miei ambasciatori che ho mandati». — Allora disse Artibano: — «Fatemi tanta grazia ch’io veda questi due cristiani in vostra presenza, e Baranif li fece menare in sala dinanzi a sè. Allora Artibano disse verso il Meschino: «O Macometto vendicatore de’ Turchi, che ci hai dato nelle mani il nostro nemico, il quale per i nostri peccati non potevamo vincere, tu sia laudato!» Poi soggiunge verso il Meschino: Mi riconosci tu? «Rispose il Meschino: Sì; ma se io ti avessi ucciso quando ti tolsi prigione, tu non mi diresti ora queste parole! — Artibano lo prese per il naso, e tirandolo forte gli disse: — Se io non guardassi al mio signor Baranif, ti mangierei questo naso, levandotelo dalla faccia per vendetta di Calabi e Falach miei fratelli. E mi mandasti al traditore Milone tuo padre, che maledetti sieno i due albanesi Napar e Madar che lo tennero tanto vivo! Tuo padre mi fece mettere in prigione, e mi volea mandare nelle prigioni del Papa vostro; ma la mercè di [p. 298 modifica]Macometto mi ha liberato, me ne fuggii e son venuto per vederti tutto smembrato a membro a membro». Intanto Alessandro lagrimava, e furono ritornati in prigione. Per queste parole molto più fede gli prestò Baranif, e il dì seguente avendo dato ordine di farli morire, Baranif mostrò tutte le sue armi ad Artibano, il quale avea queste tre notti e tre giorni dormito con Baranif, e la sera disse Artibano: «Fatemi una grazia, signore, di costoro, che questa notte sieno dati alla maggior guardia, imperocchè mi par sempre vederli fuggire». — Baranif ne rise, fecegli ancora la grazia, e mise molta gente armata alla prigione che li guardassero, e poi tolse le chiavi in sua balìa.

Gran lamento facea il Meschino con Alessandro della gran fortuna e disgrazia loro, e l’uno piangeva dell’altro. E quando fu l’ora della mezzanotte, Artibano sentendo dormire Baranif, prese la sua spada, e gli tagliò la testa, dopo uccise i di lui camerieri, e vi lasciò in guardia uno de’ suoi famigli, l’altro mandando alla stalla a far sellare i cavalli. Fece legare Alessandro e il Meschino, e così legati li menarono alla camera di Baranif, frustandoli, battendoli e minacciandoli. Li mise nella camera, e mandò via gli armati dicendo: «Per domattina siate apparecchiati che noi andiamo a impiccar questi ladroni!» ed essi partirono, l’uno dicendo all’altro: Il nostro signore li vorrà far tormentare questa notte. Altri dicevano: Vorrà campar il figliuolo dell’Imperatore di Costantinopoli, s’egli vorrà dargli il suo reame. Altri dicevano: Egli vorrà donare ad Artibano qualche membro; ognun diceva la sua, e tornarono ai loro alloggiamenti. Artibano come fu nella camera, che altra persona tranne i suoi scudieri non v’era, si gittò al collo al Meschino, e così piangendo disse: «O nobilissimo e valente cavaliero, quanto dolore avrebbe il tuo antico padre Milone, s’egli sapesse il grandissimo pericolo nel quale tu sei? O signor mio onoratissimo, ei mi fece tanto onore, che per me non potrebbe rimeritarsi. Pure gli sia accetto il servizio, che ora gli rendo di campare la tua vita». In questo disciolse loro le mani, mostrò Baranif morto ed anche il suo cameriere, quindi li menò dove erano le loro armi, e feceli prestamente armare. Il Meschino molto si maravigliò della fedeltà d’Artibano e disse: — «Ora quanto debbo essere obbligato ad Artibano!» Tosto che furono armati [p. 299 modifica]andarono alla stalla e tolsero i cavalli che vi erano. Artibano tolse le chiavi della porta della città che metteva verso Persepoli, ed andarono alla porta ove non si faceva guardia, ed apertala presero il cammino verso Rampa. Quando furono appresso all’alba, la gente cominciò a suonare corni, buccini e tamburini per la città, aspettando vendetta chi del padre, chi del fratello, e molti baroni andarono nella camera di Baranif, dicendo: O signore, alzatevi che è giorno» — e niuno rispondeva, ed era già mezza terza, onde deliberarono di entrar dentro, ed aperta la porta vi ritrovarono il loro signore morto. Fu grande il rumore, molti montarono a cavallo ed avendo trovata la porta della città aperta, seguitarono la strada più di mille cavalieri, e verso Rampa n’andarono correndo. Il Meschino, perchè era bene armato e bene a cavallo, non volle troppo affannare la bestia, e trovato in una campagna un alloggio di pastori ivi riposarono, e la mattina confortati tutti montarono a cavallo, ed essendo il giorno verso vespro, un’altra volta si riposarono, poscia montarono a cavallo di nuovo. Uno dei servitori di Artibano vide venire gente verso Comopoli e subito lo disse al Meschino. Ognuno si levò l’elmo di testa, presero le lancie in mano, e fermatisi bene a cavallo si partirono dal villaggio, e poco si dilungarono che udirono a gridare: O traditori, voi non potete scampare! Allora, disse il Meschino ai due scudieri: Cavalcate oltre, che voi non siate morti e lasciate combattere a noi. — Ed essi così fecero.

Alessandro, il Meschino e Fildefranco si volsero con le lancie in mano, e percossero furiosamente i nemici, uccidendoli e battendoli per la campagna. Dopo la battaglia giunsero alla detta città di Rampa, dove erano sicuri perchè quelli della città erano nemici di Baranif. Nel seguente giorno cavalcarono in verso Pinta, poi presero il cammino verso la città di Darbana, poi andarono verso la città di Persepoli, e udirono dire come il campo del Signore di Persia, cioè il Soldano, era a Persepoli, perchè suo figlio voleva per moglie Antinisca, ed essa non lo voleva per infino che non erano passati quattro mesi, ed ella aveva tolto questo termine perchè passavano i dieci anni che aveva promesso al Meschino di aspettare. Essendo passati i quattro mesi che gli aveva dato di termine, ne tolse ancora due altri, e per questo il figliuolo del [p. 300 modifica]gran Soldano era avversiato contro lei, e non la voleva se non morta. Quando il Meschino intese queste parole, disse ai compagni: — Studiamo di cavalcare, e così fecero per due cagioni: l’una perchè la novella di Comopoli non venisse alle orecchie di molti, prima che essi entrassero in Persepoli; la seconda perchè la bella Antinisca non si arrendesse. E domandando il Meschino come avea nome il figliuolo del Soldano, gli fu detto Lionetto; il Meschino ed Alessandro se ne risero di compagnia dicendo: Se noi andiamo dentro a salvamento, la cosa andrà bene da Meschino a Meschino. Questo proverbio avevano inventato que’ di Persia, per la guerra che fece contro i Turchi per i Persiani, quando rinfrancò Persepoli ad Antinisca. Essendo essi appresso alla città di Persepoli una giornata, alloggiarono a un castello chiamato Siro, il quale era molto bello, e quivi seppero il grande assedio che vi era, e come vi erano cento mila Persiani con l’oste e molti grandi signori, tra i quali vi era Lionetto, Nabucarin da Tunisi, i re di Carabucia e di Perchiano, e il grande Aspirante del regno di Tabiade, e questo era fierissimo in battaglia. Il Meschino avea ucciso un suo zio alla città di Scala, dove gli fu dato moglie per forza, e, poichè non volle acconsentire al vizio della sodomia, fu messo in prigione.



Note

  1. Intende del perdono che i Maomettani vanno prendere alla Mecca.