Guerino detto il Meschino/Capitolo XXXIX
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CAPITOLO XXXIX.
Come il Meschino libera Persepoli, e s’incontra colla bella Antinisca.
Volle il Meschino farsi beffe in questa forma, che essendo fuori del padiglione, uno scudiero di loro gli teneva la staffa, e fece quattro punture per salire a cavallo, facendo vista di non esser uso nell’arme; e que’ Saraceni risero grandemente tanto, che Lionetto corse a vedere, e Alessandro lo aiutò a spingere il cavallo, col maggior riso del mondo. Lionetto disse verso Artibano: «Dove hai tu pescato questo tuo compagno, che non debbe saper cavalcare i balduini cioè gli asini?» Ognuno se ne ridea, e quando Guerino si mosse, fece parecchi atti che tutti diceano: adesso cadrà da cavallo, e portava la lancia a traverso sulle spalle, e non sapevano il proverbio, che, chi tal crede dileggiare, rimane dileggiato. Lionetto si faceva beffe di loro, e dispregiavali tanto, che per gente perduta li mandò alla terra. E partiti dal padiglione andarono verso Persepoli essi con gli scudieri e Nabucarin. Giunti che furono alla porla gli dissero che stessero addietro; ma Artibano, ch’era forestiero parlò, e disse che volevano soldo, e che perciò parlassero con Antinisca. Le guardie andarono al palazzo a dire che erano giunti a cavallo cinque che volevano entrar dentro, e quando Guerino ebbe licenza d’entrare nella città disse a Nabucarin: «Direte al nostro signore, che faccia miglior guardia che non suole, imperocchè la guardia di Antinisca andrà da Meschino». Il Saracino non lo intese, ma quando la porta cominciò ad aprirsi venivano dal campo de’ Persiani due a cavallo, correndo a tutta briglia, e gridando a Nabucarin, che li rimenasse al padiglione di Lionetto. E questo fu che giunsero due cavalieri, che venivano da Comopoli, e dissero della morte di Baranif e come il Meschino era fuggito e la battaglia che aveva fatto, e ne diede i segni. E per questo voleva Lionetto ch’essi ritornassero al padiglione, secondo che dopo la guerra ad essi fu detto. E tornato Nabucarin che aveva detto Meschino, entrò grande paura nel campo de’ Persiani.
Quando furono entrati dentro, andarono al palazzo reale, incontrarono l’oste a cui li raccomandò Antinisca, ma non conobbe il Meschino. Dimandando se potevano alloggiare nel palazzo, ei disse di sì, e comandò che i loro cavalli fosser governati, e così fu fatto, e fece dare loro una camera. Poco stette che tornò questo medesimo per loro, e che andassero a parlare ad Antinisca. Giunti dinanzi a lei s’inginocchiarono, ed ella gli dimandò de’ loro affari; e già fra loro avevano ordinato, che Artibano rispondesse, il quale cominciò a dire che i Turchi erano stati cacciati di Grecia, e la morte del re Astiladoro, e come aveva detto a Lionetto, così disse a lei, come aveva pensato Lionetto di tor le loro armi, e li aveva mandati nella città. Disse Antinisca verso loro: «Se voi siete usati nelle battaglie in Romania, certo voi dovete conoscere un cavaliero chiamato Guerino, il quale è allevato in Costantinopoli, ed è andato sino agli Alberi del Sole di Levante, che una volta capitò in questi paesi, e rendettemi questa città, che me l’avevano tolta i Turchi. Ne udiste voi mai ragionare? e saprestemi voi dire se egli è vivo o morto?» Rispose Artibano e disse. «Per mia fè, madonna, che certo vi so dire che è vivo». Disse Antinisca: «Dunque egli sarà prigione, perchè egli era sì leale cavaliero che m’avrebbe soccorsa in questa mia tribolazione, nella quale, se la fortuna non mi aiuta, io non mi posso più difendere. Lionetto non mi vuole più per moglie, ma dice che mi farà strascinare, perchè non mi contentai il primo giorno di torlo per marito». Mentre che essa diceva queste parole, faceva grandissimo pianto. Disse Artibano: «Madonna, non abbiate paura, ma diteci, se Dio vi salvi, se quello il quale voi dite venisse alla vostra terra, come lo ricevereste, poich’egli è cristiano e inimico della vostra fede saracena». — Allora rispose un gentiluomo che gli era da lato, e disse: «Noi sapevamo che egli era cristiano, e ch’egli ha un altro Ed Ella venne dove mangiano. nome ch’è Guerino, e sappiamo come egli trovato suo padre prigione in Durazzo; e per questo temiamo che non verrà; ma perchè avete detto, o cavaliere, come lo riceveremo noi, perch’egli è cristiano? — Vi so dire, che tutta questa città e tutti questi paesi lo seguiterebbero, perchè tutti si ricordano ch’egli liberò il reame dalle mani de’ Turchi. Or pur venisse, volesse Iddio», e dette queste parole cominciò a piangere. In questo giunse un cavaliero, e disse verso quel barone: «O Parvidas! tutti i nostri nemici hanno prese le loro arme, e vengono contro alla città, e tutta la terra corre all’arme». Il gentiluomo disse: «Oh! Macometto ci aiuti, ora ci fosse Guerino!» così disse pure la bella Antinisca e volgendosi a loro dicendo: «O cavaliero, non piglierete voi l’arme per mio amore in difensione della mia città e delle nostre persone e delle vostre minacciate armi?» Essi risposero di sì, ma il Meschino non si dimostrava e stava celato a tutti, e armatosi egli con gli altri se ne andarono in piazza!
Già era sulla piazza Parvidas armato con molta gente, e la novella giunse che i nemici da tre parti con molti ordini assalivano la terra. Allora il Meschino e i compagni andarono fuori alla battaglia, e quando si mossero diceva a Parvidas: «Non temete — e francamente confortarono tutta la gente, dicendo: «Noi faremo oggi tremare i nostri nemici». Spronarono i loro cavalli, e verso la porta donde erano entrati andarono, la quale fu aperta ed uscirono fuori con loro duecento cavalieri. Quando il Meschino fu di fuori, molti che lo avevano veduto al padiglione di Lionetto diceano: «Ecco il villano!» E Guerino arrestò la sua lancia, e corse contra loro spronando il cavallo, ed un Persiano volenteroso d’aver le arme del Meschino si mosse, e venne contra lui. Guerino lo passò con la lancia, e passogliela nel petto, che più di mezza l’aveva dietro le spalle, e prese la spada ed entrò nella gente persiana, facendo tante smisurate prove, che subito fu conosciuto non esser quello che aveva al padiglione finto di essere. Artibano entrò nella battaglia e così Alessandro, ed allora que’ cavalieri presero tant’animo ed ardire che entrarono nella battaglia per forza d’arme. In fine i Persiani si misero in fuga da quella parte; eglino presero molti Persiani e molti ne uccisero. Il Meschino corse insino ai padiglioni del campo, e rivolti indietro tornarono fino alla porta e per questo assalto tutte le schiere de’ Persiani abbandonarono la battaglia. Già era appresso delle bandiere del campo, e Guerino dubitò non essere da loro tolto in mezzo, per il che se ne tornò dentro della città, e i Persiani tornarono nel loro campo con gran paura di questo assalto.
La città di Persepoli era piena di allegrezza; e l’uno diceva altro: «Sono valenti questi tre cavalieri!» E tutti si maravigliavano del grande ardire del Meschino, non sapendo però che egli fosse, e tornati al palazzo nelle loro camere e disarmati, la notte era già venuta. Parvidas, governatore della città, andò alla camera e fece portare ciò che facea loro bisogno, e la sera non si uscirono di camera. Parvidas andò a cena con loro, fu messo in capo di tavola, e l’oste fece portare le vivande. Come furono a tavola, a uno a uno li andava guardando, e se questo oste avesse veduto a sedere a tavola il Meschino dove sedeva Artibano, avrebbe detto che quello fosse stato il Meschino, ma perchè Artibano sedeva di sopra più appresso Parvidas, non potea credere che fosse desso, eppur alla vista gli pareva desso. Si partì, andò per suo figliuolo, il qual Guerino aveva fatto cavaliero, e dissegli: «Guarda quel cavaliero ch’è di sotto a quelli tre, mi pare conoscerlo». Ogni uomo levò gli occhi; e il giovane Trifalo s’inginocchiò dinanzi a Guerino, dicendo: «O signor mio, voi non potete negare che non siate il mio signore»! e baciogli i piedi. Allora si levò Parvidas, ed accorse ad abbracciarlo. Per questo andò la novella ad Antinisca, ed ella con molte damigelle venne dove mangiavano e gittossi inginocchioni ai piedi del Meschino abbracciandolo e baciandolo. Fu l’allegrezza grande, e rilevata ritta se gli gettò al collo, dicendo: «Ormai ti lascio la mia signoria e tutta la guardia della città, poichè ti ho riveduto, signor mio!» e quasi d’allegrezza rimase tramortita. Poi che fu levata cenarono insieme di compagnia. Diceva Antinisca: «Come ti celavi a me, signor mio? — Allora disse il Meschino: «Gioia mia, allegrezza mia, anima del corpo mio, ogni cosa faceva io per conoscere la chiarezza di tutto». — Allora fu palese chi era Alessandro e chi era Artibano, e per queste novità si fece gran festa per tutta la città di Persepoli cacciando la paura che avevano di Lionetto figliuolo dell’Almansore Soldano di Persia.