Giro del mondo del dottor d. Gio. Francesco Gemelli Careri - Vol. VI/Libro III/X
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CAPITOLO DECIMO.
Descrizione dell’Isola, e Città di Cadiz, e narrazione
di ciò che vide l’Autore durante il suo
soggiorno nella medesima.
Ha un picciol Castello ad Oriente, detto di S. Catalina; e due Forti detti los puntales nella Baja; uno posto sopra l’Isola de la matta gorda; l’altro presso porto Reale, amendue circondati d’acqua. La baja mentovata terrà otto leghe di circuito, e bastante fondo da per tutto; però vaghissima la rendono le famose abitazioni, che la circondano, e la quantità de’ vascelli, mercè de’ quali d’ogni tempo sembra una selva.
Giovedi 5. per esser Ottava del Corpus, il Governatore, e’ Regidori della Città, preceduti da molti officiali, e mazzieri, furono nella Chiesa Vescovale, ad assistere al Vespro; finito il quale ballarono dentro la stessa Chiesa otto pastori, e si fece la processione intorno la medesima. Precedeva una quadriglia di demonj, o un’altra di donne (oltre i suddetti pastori) e quindi sei altissime statue di giganti, tutti ballando, e dando una dispiacevole occupazione all’occhio.
Andai il Venerdi 6. a prendere alcune robe, che mi bisognavano, dal galeone Governo; e nel ritorno, avendo incontrate molte guardie, fu d’uopo regalarle, per evitar qualche molestia; avvegnache vedessero, che non portava nè oro, nè argento.
Il Sabato 7. partirono due vascelli, per andare all’incontro all’Almirante, e servirgli di scorta, acciò non s’abbattesse ne’ corsali, ch’indettavano il Capo di S. Viçente.
La Domenica 8. udii rappresentare nel Teatro il Giannizzero d’Ungaria; e’l Lunedi 9. la commedia de las Amazones.
Il Padre Nicolas Mirabal Gesuita, Procuratore della Provincia di Lima, (col quale avea io contratta amicizia nell’Avana) mi fece sapere, che il Signor D. Francesco Guttierez de los Rios, y Cordua Conte di Fernan Nuñez, avrebbe avuto caro di parlar meco, tratto dalla fama della mia lunga peregrinazione; onde sulle 24. ore, andai nel suo Palagio a trovarlo. Mi ricevette egli molto onorevolmente, mostrando segni non ordinarj di allegrezza, per avermi conosciuto. Volle per tutti i versi, che cenassi seco; e quindi trattenutici sino a mezza notte in varj ragionamenti del mio viaggio, presi da lui congedo; colla promessa però di avere a desinar seco la mattina seguente; e in fine d’avere a goder della sua tavola, durante la mia dimora in Cadiz. Egli si è questo Cavaliere molto intendente in varie scienze, particolarmente nella Geografia, e in molte lingue straniere. Le ben chiare doti del suo animo han fatto sì, che da’ teneri anni il Rè N. S. l’abbia tenuto occupato in rilevanti cariche; nelle quali si è portato in guisa tale, che di presente è Commendatore di Monte Alegre dell’Ordine d’Alcantara, Gentiluomo della Camera di S. M. e del suo Consiglio di guerra, e Governadore generale dell’Armata Reale: le sue ragguardevoli qualità nondimeno, e i servigj prestati alla Corona, lo condurranno certamente a quei gradi di sommo onore, che si convengono alla nobiltà del suo sangue.
Il Martedi 10. mentre eravamo insieme a tavola, sapemmo esser giunto il Petacchio de’ galeoni, colla novella, d’essersi perduto l’Almirante, cinque leghe lontano dall’Avana: e ciò per colpa del Piloto (di già rifugiato) il quale, presso la Costa, s’era rimaso ad aspettar lo schifo, restato in porto, e innavvedutamente avea dato in 4. o 5. braccia di fondo. Questa novella convertì in pianto il giubilo degli abitanti di Cadiz, che vi aveano interesse di 12. milioni: si sperava di potersi ricuperare l’argento in si poco sondo, però le mercatanzie erano già guaste. Dopo la difficultà incontrata nel Nazareno, avea io procurato, con molti mezzi, d’imbarcarmi su questo vascello, per compiacere il Padre la Fuente, che mi volea seco; ma non ne potei venire a capo, così disponendo il Signore, per mio maggior beneficio.
Il Mercordi 11. volendo io tor la mia cassa dal galeone, il Signor Conte mi diede la sua filuca, e venne l’Auditor Generale, con un’Ajutante; acciò da sua parte pregassero il Presidente del Commercio di Siviglia, a concederlami. Costuli però rispose, che tra dieci giorni, me l’arebbe permesso; per non aprir la strada ad altri di chieder lo stesso.
Il Giovedi 12. dopo Vespro, invitommi il medesimo Signor Conte, ad andar seco passeggiando in carrozza. Nel passare, così per le sue guardie, come per quelle della Città, i soldati presero le arme, e batterono bandiera, come a Governador Generale dell’Armata.
Il Venerdi 13. per esser dedicato a S. Antonio da Padova, andai in S. Francesco, a udir la Messa, e’l sermone. Si celebrò la festa, con gran pompa, per esser questo Convento uno de’ migliori di Cadiz.
Entrarono il Sabato 14. i vascelli Germano, e S. Rosa, che venivano da Lisboa, per passare a Genova. Si rappresentarono la Domenica 15. nel teatro las missas de S. Vinçente Ferrier; e dal Convento di S. Diego de’ PP. Riformati uscì una solenne processione, con più statue di Santi, adorne di gemme.
Il Lunedi 16. sentii rappresentare nel teatro la commedia intitolata Muger llora, y vinceras.
Entrarono il Martedi 17. tre navi da guerra Francesi, della squadra del Signor d Etrè, venute da Tolon. Colla sua solita gentilezza, invitommi il Mercordi 18. il Signor Conte, ad andar seco in filuca nel Porto di S. Maria, due sole leghe quindi distante. Quivi giunti, andammo nel palagio del Signor Duca di Medina-Celi, a visitare il Signor Duca d’Alburquerque, che ivi abitava; essendo Capitan Generale delle Corte d’Andaluçia. Hebbe gran piacere il Duca di udirmi ragionare; e volle, che gli promettessi di tornarvi un’altro dì, perche la Sig. Duchessa sua moglie, era curiosa anch’ella di sentirmi. Ben tardi si licenziò il Signor Conte, dopo i soliti complimenti di cose dolci, e cioccolata.
La Terra di S. Maria appartiene di presente al Signor Duca di Medina-celi. Ella è ben grande, e forse più di Cadiz; ed ha migliori strade, e palagi. Come che è posta ad Occidente della Baja di Cadiz, presso un canale, che si stende due leghe dentro terra, sino al Monistero de’ Certosini, o Cartuja de Xeres; vi abitano ricchissimi mercatanti.
Il Giovedì 19. entrarono in porto sei vascelli da guerra Francesi, della squadra di Monsieur Tourville. Vidi quel giorno nella Baja da cento, e più navi, venute a riscuotere il danajo delle merci mandate in India; perocchè la maggior parte dell’argento, che viene sopra i galeoni, entra nella borsa delle nazioni straniere.
Dopo desinare il Venerdì 20. andai col Sig. Conte, e tutti gli uficiali dell’Armata Reale (in tre filuche) a visitare Mr. Cologon Comandante d’una squadra di dieci vascelli Francesi nell’Oceano; ch’era entrato in porto la mattina, con 6. delle sue navi. Giunti a bordo della Comandante, Mr. Cologon, ne ricevè tutti, con gran cortesia, nel Portalò, mentre i soldati stavano in arme. Entrati nella camera, il Signor Conte gli diede notizia di me; onde egli, che molto curioso si era, fecemi diverse dimande intorno al mio viaggio. In fine fece venir Caffè, ed erba Tè, iscusandosi, che non si costumava appresso di loro cioccolata, nè cose dolci. Queste bevande furono riputate strane dagli Spagnuoli; io però bevei dell’una, e dell’altra.
Nel licenziarci ne accompagnarono tutti gli uficiali, sino al medesimo Portalò; e poscia udimmo un saluto di undici pezzi. L’Auditor Generale se ne andò ben presto a terra, per temenza della marea, ma io andai col Signor Conte sino a los Puntales, per riconoscere un vascello venuto dall’Indie. Ebbi gran piacere, in vedendo, ch’era la Spagnoletta di Giovanni de la Vachia (che si stimava perduto) col valsente di mezzo milione; avendovi io qualche interesse. Dal medesimo sapemmo, essere anche giunto in S. Lucar un’altro petacchio, detto il Sivigliano, col quale era stato 31. giorni nell’Isola del Fayal, per lo tempo contrario.
Entrarono in porto due altri vascelli da guerra il Sabato 21.: la Domenica 22. andai nella Casa de’ Padri della Compagnia, et udii Messa in una Chiesa ben’ornata, con sette altari. Quanto alla Casa ella era molto capace, e di buona fabbrica, abbellita di marmi di Genova.
Fummo coll’Auditor Generale, e D. Giuseppe Avillaneda il Lunedi 23. sulla Capitana de’ galeoni, e sul Governo, portati dalla filuca del Signor Conte, per richiedere il Presidente, che mi facesse tor le mie casse, siccome avea promesso. In S. Domenico si celebrò quel giorno la festa di S. Giovanni e la sera si vide tutta la Città illuminata da fuochi festivi, mentre in Mare i vascelli facevano altrettanto. Il Martedì 24. l’Armata di Francia si fece in alto mare, per gire (come diceano) in traccia de’ corsali di Salè, che aveano prese alcune barche Francesi.
Ritornai il Mercordi 25. dal Presidente, per farmi consegnare una cassa, che avea rimasa sul Galeone. Dopo averla riconosciuta sin sotto il fondo, mi permise egli, che la portassi a terra; ma non mi fece togliere l’altra di Buccari, acciò avessi l’incomodo di ritornar da lui un’altro dì.
Il Giovedì 26. avendo D. Tomaso Eminente vedute le cosette da me portate, mi fece presente d’una pietra minerale, con un grosso smeraldo dentro, acciò la ponessi fra le altre mie rarità; gentilezza che non cosi allo spesso si sperimenta in altri al dì d’oggi; onde mi confesso molto obbligato alla di lui generosità.
Il Venerdi 27. andai accommiatandomi da alcuni amici, perocchè pensava di partirmi in brieve; e lo stesso feci il Sabato 28. particolarmente col Padre Fra Giovanni Francesco di Milan Cappuccino, e con D. Salvatore Locci, Auditore nell’Armata Reale, persona d’amabili qualità.
La Domenica 29. entrarono in porto trentadue vascelli Olandesi, parte da guerra, parte mercantili, per prender da’ galeoni l’argento, appartenente alla loro nazione. Il Lunedi ultimo mi licenziai da D. Giacomo Pavia, Consolo di Genova, che molte volte s’era compiacciuto di visitarmi. Il Martedi primo di Luglio, dopo aver ben desinato col medesimo Consolo, andai sulla Capitana, colla filuca dell’Armata, e un’Ajutante andato dal Sig. Conte, per farmi dare la mia carta di Buccari, lasciata in potere del Presidente; il quale, per riguardo del Signor Conte, non l’aprì: parzialità da estimarsi molto, per lo rigore, che s’usa a tutti gli altri. Nel ritorno fummi amareggiata ogni allegrezza, leggendo nelle lettere, che mi venivano d’Italia, la morte della buon. mem. del Dott. Abate Giovanni Battista Gemelli mio fratello; il quale per darmi saggio del suo affetto sino alla morte, mi avea istituito erede. La sera, giusta il solito, cenai col Sig. Conte; e in fine tolsi da lui congedo, non senza tenerezza; vedendolo così appassionato in favorirmi, che voleami trattenessi due altri mesi in sua casa. Il simigliante feci col Sig. D. Giuseppe de los Rios, y Cordua, suo ben degno figliuolo, il di cui senno, e sapere supera di gran lunga la tenera età.