Giro del mondo del dottor d. Gio. Francesco Gemelli Careri/Libro I/IX

Libro I - Cap. IX

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CAPITOLO NONO

Ritorno in Alessandria per lo stesso

cammino.


P
Rima che fusse giorno, ritornai nella Chiesa del Salvatore, ove il R. Padre Guardiano, vestito degli abiti Patriarcali, mi benedisse: poi venne nella mia stanza ad augurarmi il buon viaggio, con grandissime espressioni di sincero affetto, in compagnia del P. Proccurator Generale; regalandomi amendue [p. 170 modifica]di cioccolata, e picciole divozioni: e per compimento di loro bontà, fecero celebrare due Messe, una nel Santo Sepolcro, e l’altra nel Calvario, per lo felice adempimento del mio viaggio.

Postomi adunque a cavallo fuori della porta di Bettelemme, con la scorta del mio vetturale (che ivi chiamano Muccaro) presi la strada di S. Geremia, fin dove non ebbi alcuno intoppo; ma giunto a quella montagna, due villani, che mi osservarono da lontano, volevano, ch’io ne andassi a loro. Io mi ristetti col cavallo, fin’attanto, che sopragiugnesse il Muccaro, ch’era rimaso a mangiar fichi (de’ quali, siccome di uve, olive, melagrane, ed altre frutta abbondano le montagne circonvicine) il quale essendo venuto ebbe un quarto d’ora di disputa co’ villani. Eglino vedendomi indosso un sciamberlucco di color rosso, credevano che fussi un qualche mercante carico d’albulchelb, ed avrian voluto rubarmi; siccome io, quantunque ignorante della lingua, avea conghietturato da’ loro gesti: onde non fu picciol’opra del Muccaro far credere loro, che io non portava danajo; nel mentre io mi struggeva di rabbia, vedendomi in un paese, [p. 171 modifica]dove due nudi mi usavano soperchieria.

Peggio fu quel, che mi succedette nel Casale del Buon Ladrone, dove un miserabile scalzo mi corse dietro, sgridandonmi, che mi fermassi, sino a tanto che venisse il Cafarriere (o esattore dei tributo) Arabo suo padrone. Ubbidii, ed essendo questi sopraggiunto, cominciò per segni a chiedermi danari, con tutto che il Muccaro lo avesse di già soddisfatto del Cafarro; perocché egli altresì all’abito mi giudicava mercatante. Avendo io risposto, che non ne avea addosso, per avergli lasciati in Rama; prese il buon’uomo a cercarmi, cominciando primamente da’ calzoni; come pratichissimo nel mettere di ladroneccio: e conoscendo per prova, che non ne avea, volle, che promettessi di pagargli una piastra in Rama; altrimente m’avria menato preso nella vicina montagna. Per iscampar da sì fatto pericolo, gli promisi ciò che non doveva, ed egli ben per tempo venne a riscuoterla; ma io la feci pagare dal Cafarriere, che per 28. piastre s’era obbligato liberarmi da tai furberie, e condurmi in Jaffa a sue spese.

Da questo accidente potrassi comprendere, quanto poca giustizia [p. 172 modifica]s’amministri in que’ paesi, mentre l’istesso Gabelliere ruba così impune, e sfacciatamente. Ne ciò dee recar maraviglia, perocché gli uomini di quella nazione sono di lor natura, o per la mala consuetudine pigri, ed amano perciò di vivere di rapine, senza pigliar la briga di coltivare i campi. Dall’altro canto, se alcuno ve ne fusse applicato a lavorargli, non sarebbe poscia padrone del frutto; e perciò si veggono continue zuffe fra i contadini, gli Arabi, che vanno sempremai furando loro le biade. Un giorno prima del mio arrivo in Bettelemme, erano in una fazione rimasi feriti sette Arabi, e tre contadini. Fra gli Arabi stessi sono odii mortalissimi; altri essendo della bandiera rossa, altri della bianca: onde giornalmente così dall’una, corno dall’altra parte ne rimangono uccisi. Passano con tutto ciò miserabilmente lor vita, così gli Arabi, come i contadini; dormendo nudi sul terreno, e sostenendosi con un poco di pane, senz’altro companatico, perché non sempre, ponno trovar Franchi, per rubbargli. Quindi dopo che fui lasciato dal gabelliere, tolsi una veste nera mal concia del muccaro, e me la posi indosso, per non [p. 173 modifica]allettare i ladri con la mia; e camminai sempre di buon passo alla volta di Rama. Ivi giunto vi dimorai a bada tutto il Mercordì 9. per attendere qualche comodità di caravana per Jaffa.

Il Giovedì 10. andai a render la visita ad alcuni principali Cristiani Maroniti, ch’erano venuti a vedermi. Venerdì 11. fui con alcuni Frati per gli Santuarj d’intorno Rama, non volendo lasciare di visitargli prima di partire.

Comparve una cavalcata dì Arabi il Sabato 12. che a suono di flauti conducevano due fanciulli ad esser circoncisi: cerimonia, che fu accompagnata da un lauto banchetto, con famosi piatti di pilao.

Domenica 13. dopo aver desinato, mi partii con una caravana di Arabi per Jaffa, dove giunsi al cader del Sole. Voleva il muccaro, che io gli dassi altra mercede apparte, oltre quella, che avea avuta dal Cafarriere, ma io non volli saperne nulla. Mi costò in tutto la visita de’ Santi Luoghi 70. scudi della nostra moneta. I pellegrini però poveri, o impediti, che non ponno passare in Gerusalemme, guadagnano in Jaffa tutte le Indulgenze di Terra Santa, come se l’avessero [p. 174 modifica]visitata, e da Jaffa se ne ritornano poi in Europa.

Imbarcati il Lunedì 14. con buon vento, seguitammo tutta la notte il cammino, e giugnemmo il Martedì 15. nell’antica Tolemaide (oggidì detta S.Giovanni d’Acri) distrutta in gran parte, e vuota di abitatori. Andai nel Convento de’ Padri Francescani, dove mi provvidero del bisognevole, per passare in Nazaret. Mi posi per via il Mercordì 16. accompagnato da un turcimanno, ed entrai in Nazaret verso la sera, a fine di 25. miglia. Fecivi le mie divozioni Giovedì 17. adorando il santo luogo, dove l’Angelo annunciò la Madre Santissima, tenuto da’ Padri Riformati di San Francesco, da’ quali fui ricevuto con molta amorevolezza, e cortesia. Il Venerdì 18. visitate altre divote Chiese vicine, me ne ritornai in S. Giovanni d’Acri; non potendosi per timore degli Arabi, che ingrombano le campagne, allontanarsi il pellegrino a vedere la Galilea, et altri Santuarj.

Non vi fu comodità di barche il Sabato 19. onde mi partii la Domenica 20. dopo mezzodì. Avemmo calma la notte: ma il Lunedì 21. si fece buon [p. 175 modifica]cammino, senza poter nondimeno terminare il viaggio; e così giugnemmo in Jaffa il Martedì 22. Il Mercordì 23. patteggiai il passaggio in Damiata su d’una saica, che vi ritornava; e cosi m’imbarcai il Giovedì 24. per ritornare ad Alessandria, dove avea lasciate le mie robe.

Avemmo buon vento il Venerdì 25, che continuò sin’a mezzanotte, ma divenne quali contrario ii Sabato 26. La Domenica 27. fu gagliardo, e favorevole; sicchè il Lunedi 28. giugnemmo nel Bogasi, o bocca del fiume di Damiata; in vicinanza del quale S. Luiggi Re di Francia, dopo aver presa quella Città, fece fabbricare un Forte, che oggidì vi si vede. Pigliai io una barca per andare in Città, e volendo sfuggire le furberie del Moro d’Hisba, non potei evitare quelle del Giannizzero, che volle mezza piastra per lasciarmi passare, e poscia usò diligenza nella mia valige, per gli diritti della dogana.

Credeva di riposare bene la notte, in casa del Cristiano Maronita Proccuratore de’ Religiosi di Gerusalemme; ma per mia sventura, l’ebbi assai peggiore delle quattro passate in Mare, a cagione di alcuni animaletti notturni, ch’erano [p. 176 modifica]nella stanza; e d’una Mora, che partorendo, vicino alla medesima, tutta la notte fece urli, e strepiti da spiritata.

Risolsi la mattina del Martedì 29. lamentarmi col doganiere, di Selim, il Moro, il quale s’avea tolte fuor di ragione le due piastre. Egli mi rispose che non avea giurisdizione sopra colui, ma che avria potuto dirlo al Bassà del Cairo. Intanto avendosi a partire la barca, convenne, per non perder la comodità, montarvi su, in compagnia del doganiere, che dovea fare l’istesso viaggio.

Attendemmo dunque il Mercordì ultimo del mese, a navigare, con buon vento, sul medesimo braccio del Nilo; e’l Giovedì primo di Ottobre con l’istessa prosperità sormontammo il fiume. Il doganiere si contentò di star due giorni senza mangiar carne, per non esservi alcun Giudeo, che tenendo coltello senza macchie, potesse nel luogo dalla superstiziosa maomettana legge stabilito, ferire qualche castrato, gallina, o altro uccello, che avevamo in barca.

Arrivammo a’ 2. d’Ottobre in Bulac, ed essendo giorno di Venerdì, in cui partiva la barca per Roseto, non feci altro, che imbarcarmi di nuovo, scendendo [p. 177 modifica]seconda del Nilo, che tutto il paese teneva inondato. Io dissi, e dirò ora di bel nuovo, che bisogna armarsi di gran pazienza, e far del sordo, camminando per l’Egitto, e Terra Santa; dove i Cristiani sono ugualmente abborriti da’ Turchi, e dagli Arabi, e dagli uni, e dagli altri bisogna soffrire ingiurie, e scherni senza fine: vedendosi il più delle volte un nudo miserabile, che non ha cenci da ricoprirsi, dar con incredibile superbia la baja alle oneste persone. L’altro male si è, che stimano tutti i Franchi esser medici; onde benche sani, vogliono si tocchi loro il polso: ciò che mi bisognò fare anche a me, per non ricevere qualche grave dispiacere nella persona, sapendo di certo, non averne nè anche ad essere ringraziato.

Sabato 3. spirò vento contrario, onde si fece poco cammino; come anche la Domenica 4. Per la trascuratezza degli ignoranti marinari, la barca diede in secco; e per tirarla fuori, fu necessario scaricarla, e poi caricarla di nuovo, in che si consumò buona parte del giorno: ma venendo poscia buon vento, giugnemmo al cader del Sole in Roseto.

Lunedì 5. m’imbarcai per [p. 178 modifica]Alessandria, e vi smontai prima di notte. Ritrovai in quel porto un vascello Francese, pronto a partire per Livorno, col quale, se avessi voluto ritornare in Cristianità, sarei venuto a fare un sì bel viaggio nello spazio di soli tre mesi, e mezzo: ma avendo determinato di continuarlo per Oriente, non ne feci alcun caso. All’incontro avendo avuto contezza, che a Bichier erano alcune londre preste a partire per Costantinopoli, proccurai di prendervi imbarco; al che contribuì molto la cortesia d’Arrigo Grimau mercante di Marseglia, il quale dal primo dì sino all’ultimo della mia dimora in Alessandria, si adoperò con non ordinario amore a farmi sbrigare dalla dogana.

Il Martedì 6. feci scrivere all’Agà di Bichier, per avere imbarco sopra una londra. Il Martedì 7. andai licenziandomi dal Consolo, e mercanti Francesi, ringraziandogli di quanto avevano operato in mio beneficio. Mi ritenne a desinare Marc’Antonio Tamburin Consolo, e volle di più, che io gli dassi parola di cenare in sua casa la sera avanti di partire.

Il Giovedì 8. mi convitò Monsieur Grimau, [p. 179 modifica]regalandomi del miglior, che produce il paese: e la sera del Venerdì 9. stando certo di avere a partire il giorno seguente, andai a dormire in casa di Monsieur Tamburin, col quale cenai, in compagnia di tutti i Francesi di sua camerata.