Giacinta/Parte terza/III

III

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III.

La striscia di luce rosata che il sole, vicino al tramonto, stendeva sulla coperta del lettino e sul tappeto, parve a Giacinta di buon augurio. La camera sorrideva, soffusa da quella soavità rosea penetrante dai larghi cristalli della finestra; e il cuore di lei sorrideva, egualmente, per una rosea speranza mescolata di tristezza.

Il respiro affannato della sua creaturina le dava un senso di stringimento alla gola, come se una mano gliela premesse. Di tratto in tratto, la bambina agitava sui guanciali la testina bionda, smaniando; e Giacinta rizzavasi un po’ dalla seggiola, trattenendo il fiato, guardando con terrore, [p. 192 modifica] strizzandosi forte le mani, quasi avesse potuto a quel modo, arrestare l’accesso:

— Oh! Dio!... Oh! Dio!

Poi, tosto calmatosi l’accesso, ricadeva sfinita sulla seggiola.

— Non è nulla — le diceva Andrea per confortarla. — La malattia fa il suo corso regolare. Non è nulla!

Seduto presso il capezzale, dirimpetto a Giacinta, egli sapeva pur troppo che la cosa era grave. Il dottor Follini gli aveva detto in disparte: "Non passerà la nottata!" E in quel momento Andrea osservava che s’era aspettato di provare un dolore più vivo, un grande strazio. Infine, quella creaturina non era carne della sua carne? Ma confrontando il suo dolore con quello di Giacinta che pareva volesse impazzire, pensava che l’uomo è duro di cuore e perciò si crede il più forte.

Adelina era ricaduta nel suo stanco abbandono, col respiro affannato ma uguale. Allora, nel triste silenzio della camera, Giacinta, un po’ rassicurata, tornava ad avventare gli sguardi addosso ad Andrea, che li evitava restando a capo chino, come chiuso nel dolore. Quegli sguardi lo imbrogliavano:

— Che ci sia qualcosa di nuovo?

E accortosi che Giacinta stava per parlare, tentò di sviare il pericolo:

— L’aria della stanza è rarefatta. Dovremmo rinnovarla. Non ti pare?

Si alzò per aprire l’invetriata, badando che la corrente non andasse a colpire Adelina: e rimase presso la finestra:

— Ora sì, si respira! Bisogna rinnovare spesso l’aria; l’ha raccomandato il dottore. [p. 193 modifica]

— Non ho più testa — rispose Giacinta, mettendosi a sedere presso il capezzale, per scacciare una mosca noiosissima dalla faccia impaziente della bambina.

Si sentiva la sua respirazione, un rantolo lieve. Intanto gli occhi di Giacinta restavan fissi su Andrea.

— Sei contento del tuo nuovo alloggio? — gli domandò improvvisamente. Non sapeva ella stessa perchè gli facesse in quel punto tale domanda.

— Mah!... — rispose Andrea. — Io mi contento facilmente. Due sole stanzine e fuori di mano; però tranquille, arieggiate. Posso dormire fino alle dodici del mattino, senza che un rumore mi svegli. Nè mi vi sento, come altrove nei primi giorni, un pochino spostato. Mi sembra d’avervi abitato da anni. Insomma, un ambiente discreto.

Parlava con un accento di rassegnazione alquanto esagerato, distrattamente, con gli occhi rivolti al cielo striato di nuvolette rossiccie. E un vivo sentimento di rimorso e di paura lo tormentava, se mai il suo imbarazzo lo avesse tradito. Giacchè in quel nuovo alloggio, una gentile personcina, la figlia della padrona di casa, contribuiva più di tutto a rendergli discreto l’ambiente. Da alcune settimane egli sentivasi dolcemente riposare gli occhi alla vista di quella figurina svelta, dai lineamenti puri, dal colorito vivace, come se qualcosa di fresco e di gentile emanasse da quell’aspetto sempre sorridente. Eppure la poverina era assai minacciata dagli sbocchi di sangue che ricomparivano una o due volte alla settimana, gettando babbo, mamma, e anche lui in una muta oppressione, affliggentissima. Pensava appunto a quella ragazza, quando Giacinta gli rivolse la [p. 194 modifica] parola; e si contenne a stento. Gli era parso ch’ella gli avesse già letto nel cuore.

Per fortuna, Adelina tornò ad agitarsi, a lamentarsi, a tossire.

— Andrea, oh Dio! Andrea!

— Non è nulla. Vedi?

La bambina spalancava gli occhietti smorti, girandoli attorno, invocando soccorso...

— Oh quegli occhi! — esclamava Giacinta. — Paion coperti di un velo di polvere, d’una nebbia!

— No, anzi!

Ella si chetava apparentemente; e continuava a ruminare il suo terrore invincibile:

— Era la sua cattiva stella!... Quella povera innocente forse pagava per lei!

E voleva scacciare il sospetto — Una bestemmia! — diceva, rimproverandosi — che l’assediava notte e dì, da quattro giorni: che Andrea, col suo cattivo influsso, attirasse quella disgrazia sulla bambina... per disfare così il più forte anello della loro catena:

— Oh! una bestemmia!

Pure, anche in quel punto, sorgevano a formicolare per la gola tutti i fieri rimproveri che avrebbe voluto fargli sin dal giorno avanti. Ma li ricacciava indietro, vinta da un’inattesa debolezza in faccia a quell’uomo sul quale aveva sempre dominato e dominava con l’energia del proprio carattere. Si sentiva sgomenta:

— E se le mie parole facessero peggio?

Avrebbe voluto ridursi piccina piccina, per non urtarlo di fronte, per non irritarlo, per rendersi sopportabile. E mentre le veniva d’implorare grazia e chiedere pietà, si stizziva contro di sè medesima perchè commetteva un sacrilegio di amor materno, pensando a lui e ai propri dolori di amante anche [p. 195 modifica] lì, innanzi al letto della sua bambina in agonia!

A un tratto, si scosse, s’avvicinò a Gerace, e presagli risolutamente una mano:

— Andrea, tu m’inganni!

E senza dargli tempo di rispondere, tratto dal taschino del vestito un piccolo foglio, glielo spiegazzava sotto gli occhi.

— Vile usuraio! — borbottò Andrea, riconosciuta la sua cambiale.

— Che ti ha spinto a questo? — riprese Giacinta.

— Ah! forse tu credi che l’abbia mandato qui io?

— Perchè una cambiale? Perchè volerla rinnovare?

— È una cosa che mi riguarda — rispose Andrea mortificato.

— E me no, dunque?... Oh, Andrea! Tu mi inganni, tu non m’ami più! Perchè ricusi di servirti del mio denaro? Non è anche cosa tua? Ti ho mai chiesto conto di nulla? Non sei padrone assoluto? Tu m’inganni! Tu non m’ami più!

— Calmati! Zitta...

Quei rimproveri a voce repressa lo colpivano vivamente, lo sbalordivano. Era la prima volta ch’ella glieli faceva così aperti.

— Sono sempre lo stesso, credimi!... Solamente... non volevo abusare...

E, per rabbonirla, la stringeva tra le bracca, la baciava.

— Non mentire! — riprese Giacinta con la voce raddolcita. — Non me lo merito. Abbi il coraggio di dirmi che non m’ami più, se mai fosse vero che tu non m’ami più; abbi il coraggio di dirmelo! Preferisco questa spaventevole certezza al tormento del dubbio. Tu sei tutto per me! Perchè non dovresti più amarmi? Che ti ho fatto di male? [p. 196 modifica]

Gli s’era gettata al collo, ripetendo le stesse parole: — Abbi il coraggio di dirmelo! Tu sei tutto per me! — ma con intonazione così variata, che le rendevano diverse e più efficaci.

— Me lo assicuri?... Me lo giuri?

— Te lo giuro. Farò tutto quello che vuoi.

— Mi basta. Ah! Il cuore mi si slarga! Respiro!...

Al colpo di tosse della bambina che s’era mezza riversata fuori delle coperte, Giacinta si voltò e spinse violentemente Andrea verso il letto, senza poter gridare, con gli occhi quasi fuori dall’orbita, guardando la sua figliolina che agitava in una crisi terribile gli sciolti capelli d’oro sulla sponda del letto. Poi cacciò un grido e si lasciò cadere sulla seggiola, premendo i pugni sugli occhi, balbettando:

— Muore!... Muore!...

Per la camera avveniva una gran confusione.

Marietta, accorsa per prima, si dava desolatamente dei pugni alla testa:

— Ah, Madonna benedetta! Ah, Madonna!

E invece di aiutare il Gerace col riporre la bambina sotto le coperte, lo impicciava.

Venne ad aiutarlo Elisa Gessi, sopraggiunta in quel punto con la sua mamma e la signora Villa.

Queste intanto cercavano di confortare Giacinta:

— Non perderti d’animo!

— I bambini resistono a colpi più forti!

La signora Maiocchi faceva valere la sua esperienza di quando Elisa era bambina.

— Ecco il dottore! — disse la signora Villa.

Giacinta gli stese le braccia con le mani giunte.

— Ah, dottore! La mia bambina! La mia povera bambina!

Silenzio profondo. Tutti gli occhi si rivolsero a quel viso pallido, dalla barbetta bionda, che a [p. 197 modifica] Marietta pareva proprio il viso di nostro Signore sul punto di fare un miracolo. Solo Giacinta, non osando guardarlo, annichilita, con la faccia tra le mani, tendeva ansiosamente l’orecchio, come chi attende una condanna!

Il dottore si era allontanato dal letto senza dir nulla.

— Dunque? — gli domandò Andrea sotto voce.

— È affare di minuti. Portino via la mamma — rispose il Follini.

Allora Andrea, la signora Villa e Marietta si schierarono davanti al lettino per impedire la vista a Giacinta, che si lasciava trascinare, macchinalmente dalla signora Maiocchi e da Elisa.

Non piangeva; si sentiva fulminata, si sentiva morire sotto l’impressione di un rimorso, come se ella medesima avesse uccisa la sua creatura, con le proprie mani snaturate! E la smania d’accusarsi di tal delitto al cospetto di tutti le soffocava il cuore, le rendeva convulsa la lingua.

Vagellava:

— Oramai! Tutto è finito! Ogni nodo s’è rotto!... Ahimè, forse non lo rivedrò più...

Ma come le lagrime cominciarono a sgorgarle abbondanti, tra i singhiozzi che parevano strozzarla, ebbe orrore del suo vagellamento:

— E pensava a sè, in quel punto?... Oh! Mamma senza cuore!...

Con un tremito che la squassava tutta, si aggrappava a Elisa supplicandola di lasciarla andare, di farle vedere la sua creaturina per l’ultima volta. Di fargliela baciare... per l’ultima volta!...

— Vestitela come un’angioletta, tutta di bianco; copritela di fiori... Il suo vestitino più bello è [p. 198 modifica]

lì... No, voglio prenderlo io... Anche gli stivalettini nuovi... quegli altri!...

Poi ricadde, inerte, con gli occhi fissi fissi, sbarrati.

— Meglio così! — disse il dottore.