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La osservava tutta, passandole le mani sul viso, prendendola per le manine, interrogando con occhio inquieto ora la bambina, ora il dottore:

— Le tasti il polso.

Adelina stava ferma, seria seria, accigliata, sospettosa di quella mano del dottore.

— C’è un po’ di febbre... La cattiva signorina anderà a letto: capisce? E starà tranquilla, altrimenti la mamma non le vorrà più bene...

— Se lo avessi saputo! — esclamò Giacinta, impallidendo. — Ier sera la trattenni fuori fino a tardi. Aveva freddo; voleva tornarsene a casa... Ma non è nulla, spero... Mi dica che non è nulla; mi rassicuri!

— Speriamolo! — rispose il dottore, impensierito di certe macchie violette della faccia di Adelina.

III.

La striscia di luce rosata che il sole, vicino al tramonto, stendeva sulla coperta del lettino e sul tappeto, parve a Giacinta di buon augurio. La camera sorrideva, soffusa da quella soavità rosea penetrante dai larghi cristalli della finestra; e il cuore di lei sorrideva, egualmente, per una rosea speranza mescolata di tristezza.

Il respiro affannato della sua creaturina le dava un senso di stringimento alla gola, come se una mano gliela premesse. Di tratto in tratto, la bambina agitava sui guanciali la testina bionda, smaniando; e Giacinta rizzavasi un po’ dalla seggiola, trattenendo il fiato, guardando con terrore, striz-