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— Non ho più testa — rispose Giacinta, mettendosi a sedere presso il capezzale, per scacciare una mosca noiosissima dalla faccia impaziente della bambina.

Si sentiva la sua respirazione, un rantolo lieve. Intanto gli occhi di Giacinta restavan fissi su Andrea.

— Sei contento del tuo nuovo alloggio? — gli domandò improvvisamente. Non sapeva ella stessa perchè gli facesse in quel punto tale domanda.

— Mah!... — rispose Andrea. — Io mi contento facilmente. Due sole stanzine e fuori di mano; però tranquille, arieggiate. Posso dormire fino alle dodici del mattino, senza che un rumore mi svegli. Nè mi vi sento, come altrove nei primi giorni, un pochino spostato. Mi sembra d’avervi abitato da anni. Insomma, un ambiente discreto.

Parlava con un accento di rassegnazione alquanto esagerato, distrattamente, con gli occhi rivolti al cielo striato di nuvolette rossiccie. E un vivo sentimento di rimorso e di paura lo tormentava, se mai il suo imbarazzo lo avesse tradito. Giacchè in quel nuovo alloggio, una gentile personcina, la figlia della padrona di casa, contribuiva più di tutto a rendergli discreto l’ambiente. Da alcune settimane egli sentivasi dolcemente riposare gli occhi alla vista di quella figurina svelta, dai lineamenti puri, dal colorito vivace, come se qualcosa di fresco e di gentile emanasse da quell’aspetto sempre sorridente. Eppure la poverina era assai minacciata dagli sbocchi di sangue che ricomparivano una o due volte alla settimana, gettando babbo, mamma, e anche lui in una muta oppressione, affliggentissima. Pensava appunto a quella ragazza, quando Giacinta gli rivolse la