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lì, innanzi al letto della sua bambina in agonia!
A un tratto, si scosse, s’avvicinò a Gerace, e presagli risolutamente una mano:
— Andrea, tu m’inganni!
E senza dargli tempo di rispondere, tratto dal taschino del vestito un piccolo foglio, glielo spiegazzava sotto gli occhi.
— Vile usuraio! — borbottò Andrea, riconosciuta la sua cambiale.
— Che ti ha spinto a questo? — riprese Giacinta.
— Ah! forse tu credi che l’abbia mandato qui io?
— Perchè una cambiale? Perchè volerla rinnovare?
— È una cosa che mi riguarda — rispose Andrea mortificato.
— E me no, dunque?... Oh, Andrea! Tu mi inganni, tu non m’ami più! Perchè ricusi di servirti del mio denaro? Non è anche cosa tua? Ti ho mai chiesto conto di nulla? Non sei padrone assoluto? Tu m’inganni! Tu non m’ami più!
— Calmati! Zitta...
Quei rimproveri a voce repressa lo colpivano vivamente, lo sbalordivano. Era la prima volta ch’ella glieli faceva così aperti.
— Sono sempre lo stesso, credimi!... Solamente... non volevo abusare...
E, per rabbonirla, la stringeva tra le bracca, la baciava.
— Non mentire! — riprese Giacinta con la voce raddolcita. — Non me lo merito. Abbi il coraggio di dirmi che non m’ami più, se mai fosse vero che tu non m’ami più; abbi il coraggio di dirmelo! Preferisco questa spaventevole certezza al tormento del dubbio. Tu sei tutto per me! Perchè non dovresti più amarmi? Che ti ho fatto di male?