Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
— 192 — |
zandosi forte le mani, quasi avesse potuto a quel modo, arrestare l’accesso:
— Oh! Dio!... Oh! Dio!
Poi, tosto calmatosi l’accesso, ricadeva sfinita sulla seggiola.
— Non è nulla, — le diceva Andrea per confortarla. — La malattia fa il suo corso regolare. Non è nulla!
Seduto presso il capezzale, dirimpetto a Giacinta, egli sapeva pur troppo che la cosa era grave. Il dottor Follini gli aveva detto in disparte: Non passerà la nottata! E in quel momento Andrea osservava che s’era aspettato di provare un dolore più vivo, un grande strazio. Infine, quella creaturina non era carne della sua carne? Ma confrontando il suo dolore con quello di Giacinta che pareva volesse impazzire, pensava che l’uomo è duro di cuore e perciò si crede il più forte.
Adelina era ricaduta nel suo stanco abbandono, col respiro affannato ma uguale. Allora, nel triste silenzio della camera, Giacinta, un po’ rassicurata, tornava ad avventare gli sguardi addosso ad Andrea, che li evitava restando a capo chino, come chiuso nel dolore. Quegli sguardi lo imbrogliavano:
— Che ci sia qualcosa di nuovo?
E accortosi che Giacinta stava per parlare, tentò di sviare il pericolo:
— L’aria della stanza è rarefatta. Dovremmo rinnovarla. Non ti pare?
Si alzò per aprire l’invetriata, badando che la corrente non andasse a colpire Adelina: e rimase presso la finestra:
— Ora sì, si respira! Bisogna rinnovare spesso l’aria; l’ha raccomandato il dottore.