Giacinta/Parte seconda/XIV

XIV

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XIV.

— Non può essere! — rispose la Marulli, passato il primo stordimento. [p. 152 modifica]

— Eccola — disse Mochi, cavando da una tasca del soprabito la lettera d’Andrea.

E mentr’ella leggeva e rileggeva quel foglio che le tremava fra le mani, il cavaliere, a testa bassa, contornava con la punta della sua mazzettina un rosolaccio del tappeto.

— Che intende di fare? — domandò la signora Teresa, pallida dal dispetto, brancicando la lettera.

— Oh, bella! Vivere alle spalle di Giacinta, si capisce.

— È un vile!... Ed essa lo stima ancora?

— Voi altre donne! Siete capaci di tutto — esclamò il cavaliere. — In fin dei conti, non la biasimo, precisamente; non voglio fare il moralista. Sono, anzi, di manica larga; e se debbo dirlo, una bella signora che non abbia un amante mi pare una stupida...

La Marulli sentì morirsi sulle labbra una parola di protesta.

— Però, in questo caso, la questione muta aspetto. Sarà un gran chiacchiericcio. I vostri nemici (ne avete parecchi non bisogna dissimularvelo) rideranno troppo, usciranno dalla pelle. Diavolo! Mancava bei giovani? Qui c’entra di mezzo il puntiglio di campanile. Una città è una persona; ha il suo amor proprio anche essa. Questa preferenza per un forestiero...

— Che debbo fare? — domandò la Marulli, risoluta.

— Indurre Gerace a ritirar la rinunzia. Ma temo — conchiuse il Mochi, con una specie di cantilena — temo che senza la Giacinta non ne faremo nulla!

Giacinta trovavasi nel suo salottino, abbandonata sulla poltrona, in uno di quei deliziosi abbattimenti che le montavano all’improvviso dalle viscere [p. 153 modifica]agitate. Vedendo entrare sua madre come un colpo di vento, lasciò cascare il libro di mano; e il braccio le spenzolava fino a terra, mollemente.

— Ma, dunque, hai perduto la testa?

La signora Teresa le si era piantata dinanzi, con le braccia in croce, ancora pallida dalla rabbia. Giacinta la guardava, sollevandosi a poco a poco sulla vita, già indovinando: ma rispose:

— Perchè?

— Me lo dimandi?... Gerace ha rinunziato al suo impiego...

E il tono della voce lasciava capire: e siete stati d’accordo!

— Fa quel che gli pare e piace.

— È un miserabile, se si rassegna... a lasciarsi mantenere da te!

La signora Marulli alzava la voce, minacciava con la mano.

— Mentono! — disse Giacinta.

Aveva bisogno di negare, per contenersi, per farsi forza. Sugli occhi le passavano larghe ondate di nebbia; alla gola aveva un nodo. E si contorceva sulla poltrona, si mordeva a sangue le labbra per impedire che la piena di terribili rimproveri, gonfiatasi a un tratto nel suo cuore, non irrompesse, insultando.

— Mentono? — replicava la signora Teresa con feroce ironia. — Mentono?... Tanto meglio. Conviene smentirli.

— Certe calunnie non le raccatto. Egli, forse le ignora.

— Sarà bene che tu l’avverta.

— No. Varrebbe come dirgli: allontanatevi di casa mia. Non voglio abbassarmi fino a questo; farei troppo piacere a taluni. E una smentita che non [p. 154 modifica] fosse spontanea non avrebbe, in questa circostanza, nessun valore per me.

La signora Teresa era ammutolita: — Come? Non rispondeva altro? Alzava le spalle?

— E se colui — riprese a dire, tornando ad alterarsi — insiste nella sua rinunzia!... Oh, insisterà!... Insisterà! Poichè tu lo mantieni!

Glielo buttava in faccia con tutto il disprezzo della sua collera, come una lordura, mentre sua figlia, a mani giunte, cogli occhi desolati, balbettando, la supplicava di tacere.

— Poichè tu lo mantieniǃ — ella replicava, calcando la voce.

— Dovrei, forse,... farmi mantenere da lui?

— Oh!...

La signora Teresa s’era sentita colpire al petto, a bruciapelo; e barcollò, brancolando per trovare una seggiola.

— Mamma! Mamma!

Giacinta, che s’era slanciata a sorreggerla, l’aiutava a sedersi. Avrebbe voluto mozzarsi la lingua, avrebbe voluto scancellare perfino dall’aria l’insulto sfuggitele di bocca:

— Mamma! Mamma!

Ma la signora Teresa, respingendola, si voltava dall’altra parte per evitarne gli sguardi. Non poteva parlare; era la prima volta che si sentiva addirittura vinta, calpestata; e le pareva di morire.

— Mamma, mamma, perdona! — singhiozzava Giacinta, inginocchiata ai suoi piedi.

— Un sorso d’acqua! — disse la signora Teresa.

E mentre quella correva di là, per servirla con le proprie mani ed evitare le indiscrezioni delle persone di servizio, ella s’andava tastando la testa, come se [p. 155 modifica] vi sentisse il dolore di un colpo di mazza piombatovi su.

Giacinta le accostò, trepidamente, il bicchiere alle labbra; poi, intinta nell’acqua la punta d’un fazzoletto, le bagnava la fronte e le tempie. Sua madre la lasciava fare, ad occhi chiusi, concentrata, rimproverandola soltanto con lunghi tentennamenti di testa.

— No! Sta’ zitta! — le ripeteva Giacinta. — Ne riparleremo. Non devi pensarci... Perdona!

— E’ finita! — rispondeva la signora Teresa svincolandosi dalle mani che tentavano di trattenerla ancora. — Questo è un colpo che mi uccide! Lo sento qui, nel cuore! Fa’, fa’ pure a tuo modo! — aggiungeva quasi calma, ma piena di durezza. — Non posso impedirtelo... E’ già un pezzo che non mi dài retta. Te n’avvedrai appresso, povera illusa, tu che ti fidi dell’amore d’uomo come quello! Oh, fa’ pure!... Non ti dirò una sola parola: aspetterò. Quando avrai finito di trascinare nel fango il tuo nome, il tuo onore, la tua fortuna, per metterli sotto i piedi di quel miserabile... sì, miserabile! Vedi? lo dico senza sdegno...

— Zitta, mamma!... Zitta!

— Quando i nostri nemici, t’avran vista arrivare dove neppure il loro odio avrebbe creduto possibile che tu arrivassi; quando la passione, che ora ti accieca... Ma allora... allora, forse, non sarò più qui, per poterti rinfacciare; sarò morta!... Non vorrà dire; te lo rinfaccerai da te stessa: La mamma aveva ragione!... E tutte queste parole, che ora disprezzi... e non han servito che a farmi insultare, tutte, sillaba per sillaba, ti verranno in viso... Vedrai!

Giacinta stette un momento ad ascoltarla a capo chino, atterrita alla voce lenta e cupa che pareva [p. 156 modifica] gittasse un infame maleficio sull’avvenire di lei, con quelle esclamazioni ripetute come rintocchi d’una campana d’agonia; poi scattò, con tutte le forze del suo sangue, delle sue fibbre, dei suoi nervi:

— L’amo!... intendi? L’amo!... Che m’importa di voialtri?... Resterà!