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— Eccola — disse Mochi, cavando da una tasca del soprabito la lettera d’Andrea.
E mentr’ella leggeva e rileggeva quel foglio che le tremava fra le mani, il cavaliere, a testa bassa, contornava con la punta della sua mazzettina un rosolaccio del tappeto.
— Che intende di fare? — domandò la signora Teresa, pallida dal dispetto, brancicando la lettera.
— Oh, bella! Vivere alle spalle di Giacinta, si capisce.
— È un vile!... Ed essa lo stima ancora?
— Voi altre donne! Siete capaci di tutto — esclamò il cavaliere. — In fin dei conti, non la biasimo, precisamente; non voglio fare il moralista. Sono, anzi, di manica larga; e se debbo dirlo, una bella signora che non abbia un amante mi pare una stupida...
La Marulli sentì morirsi sulle labbra una parola di protesta.
— Però, in questo caso, la questione muta aspetto. Sarà un gran chiacchiericcio. I vostri nemici (ne avete parecchi non bisogna dissimularvelo) rideranno troppo, usciranno dalla pelle. Diavolo! Mancava bei giovani? Qui c’entra di mezzo il puntiglio di campanile. Una città è una persona; ha il suo amor proprio anche essa. Questa preferenza per un forestiero...
— Che debbo fare? — domandò la Marulli, risoluta.
— Indurre Gerace a ritirar la rinunzia. Ma temo — conchiuse il Mochi, con una specie di cantilena — temo che senza la Giacinta non ne faremo nulla!
Giacinta trovavasi nel suo salottino, abbandonata sulla poltrona, in uno di quei deliziosi abbattimenti che le montavano all’improvviso dalle viscere agi-