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tate. Vedendo entrare sua madre come un colpo di vento, lasciò cascare il libro di mano; e il braccio le spenzolava fino a terra, mollemente.
— Ma, dunque, hai perduto la testa?
La signora Teresa le si era piantata dinanzi, con le braccia in croce, ancora pallida dalla rabbia. Giacinta la guardava, sollevandosi a poco a poco sulla vita, già indovinando: ma rispose:
— Perchè?
— Me lo dimandi?... Gerace ha rinunziato al suo impiego...
E il tono della voce lasciava capire: e siete stati d’accordo!
— Fa quel che gli pare e piace.
— È un miserabile, se si rassegna... a lasciarsi mantenere da te!
La signora Marulli alzava la voce, minacciava con la mano.
— Mentono! — disse Giacinta.
Aveva bisogno di negare, per contenersi, per farsi forza. Sugli occhi le passavano larghe ondate di nebbia; alla gola aveva un nodo. E si contorceva sulla poltrona, si mordeva a sangue le labbra per impedire che la piena di terribili rimproveri, gonfiatasi a un tratto nel suo cuore, non irrompesse, insultando.
— Mentono? — replicava la signora Teresa con feroce ironia. — Mentono?... Tanto meglio. Conviene smentirli.
— Certe calunnie non le raccatto. Egli, forse le ignora.
— Sarà bene che tu l’avverta.
— No. Varrebbe come dirgli: allontanatevi di casa mia. Non voglio abbassarmi fino a questo; farei troppo piacere a taluni. E una smentita che non