Geografia fisica/Idrografia/8

VIII. Campi di neve e di ghiacciai

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Idrografia - 7 Il mare
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viii. — campi di neve e di ghiacciai.

183. Avendo accompagnato fino al termine delle sue evoluzioni quell’acqua che cade sulla terra sotto forma di pioggia, torniamo a quella che vi cade sotto forma di neve (§ 92) per fare altrettanto.

184. Sopra le maggiori cime delle Prealpi e degli Apennini la neve si mantiene la maggior parte dell’anno: nè è raro il caso di incontrarvi certi seni ombreggiati, certe tasche, in cui la neve rimane accumulata anche per più anni di seguito, sfidando i soli d’agosto.

185. Ma questo fenomeno non ha nulla a che fare con quello che si osserva nella più elevata regione delle Alpi, dove le vette e i fianchi dei monti, i [p. 83 modifica]bacini, gli altipiani, le valli, biancheggiano di nevi perpetue. Come profonda e solenne è l’impressione che lasciano nell’anima il silenzio, la severità, la grandezza di quelle regioni delle nevi eterne! Viste dal basso quelle cime nevose, così candide e pure, con quei vaghi riflessi di tutti i colori, di tutte le gradazioni dell’aurora e del tramonto, elevate sovente sopra la zona delle nubi, sembrano già far parte del cielo, piuttosto che di questo basso mondo in cui viviamo. Ma quali espressioni troveremo per dipingere quella maestà che ci assorbe, quando, arditamente arrampicandoci su quei greppi vertiginosi, possiamo stampare l’orma vittoriosa sulle nevi intatte che imbiancano quelle cime sublimi? Creste, aguglie, denti di abbagliante bianchezza che spiccano sopra un fondo di cielo azzurro-cupo, screziate di ombre purpuree, o rotte da negre rupi, che sporgono l’irto capo da quel mantello di neve, che avvolge in un bianco panneggiamento i dorsi e i pendii, e termina al basso con una frangia di lingue di ghiaccio azzurrino, che si allungano giù giù fino alle porte dei villaggi contornati da boschi e da praterie fiorite. Tutto è silenzio in quelle gelate regioni. Solo da lontano il vento ci reca il muggire del torrente, e il rumore della cascata, e a volte a volte il rimbombo della valanga che rotola per la valle o balza dalla rupe, colla voce del tuono.

186. Come mai quelle nevi si eternano sulle cime delle Alpi? Qual parte è a loro affidata nel grande magistero dell’economia della natura?

187. Si è già stabilito (§ 96) che le zone più elevate dell’atmosfera sono freddissime. Sappiamo di più che un clima freddissimo si mantiene nelle regioni attorno ai due poli, tanto che sovr’esse, come sulle cime [p. 84 modifica]delle Alpi, si eternano le nevi ed i ghiacci, ad onta dell’estiva giornata di più mesi che dall’uno all’altro polo si alterna. Siccome le regioni polari, del pari che le più elevate montagne, raggiungono quegli strati dell’atmosfera, la cui temperatura è sempre più bassa del punto di congelamento, così il vapore, concentrandovisi, dovrà cadervi costantemente, non già sotto forma di poggia, ma di neve. Ecco perchè le alte montagne e le regioni polari ne sono costantemente coperte. Non si vuol dire con ciò che il raggio estivo non sia capace di sciogliere la neve anche di quelle cime o di quelle regioni eternamente gelate. No: basta che il calore estivo non valga a struggere tutta la neve caduta nell’anno, perchè i residui annuali, accumulati d’anno in anno per secoli, vi abbiano formato un tale ammasso che non teme nemmeno una serie di straordinarie caldure. Il confine ordinario che si può segnare in estate tra il disgelo delle regioni inferiori, e le nevi persistenti delle superiori, chiamasi limite o linea delle nevi perpetue. La sua altezza è varia assai nelle diverse parti del globo. Si eleva fino a 15,000 piedi di altezza sopra il livello del mare nelle regioni equatoriali, mentre si abbassa fino al livello del mare, e il mare stesso si agghiaccia profondamente, nelle regioni polari. La ragione sta sempre in questo che, stante i rapporti di posizione rispettiva tra la terra e il sole, l’aria, che già al livello del mare tocca o sorpassa lo zero nelle regioni polari, non ci arriva che elevandosi a migliaja di metri sopra il detto livello nelle regioni temperate, o prossime all’equatore.

188. Voi foste, chi sa quante volte, presenti ad una bella nevicata. Radi fiocchi dapprima cadono attraverso l’atmosfera: a poco a poco crescono di [p. 85 modifica]numero e di larghezza, e il suolo incomincia a divenire bigio. Non passa un’ora, che tutto il paese è coperto da un bianco tappeto, il quale acquista parecchi decimetri, e fin talora (p. es., sulle Alpi) qualche metro di grossezza. Vi ha dunque una ben decisa differenza tra la pioggia e la neve. La pioggia può ben continuare delle ore e dei giorni, che il suolo rimane pur sempre visibile, stantechè l’acqua non è ancor caduta, che via se ne fugge, scorrendo al basso, in cerca del più vicino ruscello. La neve, invece, ove cade, resta: a meno che il vento non la sollevi, non la scopi via, abbandonandola poi nei luoghi più riparati, dove si accumula e resta.

189. Un modo così diverso di comportarsi fin da principio deve naturalmente portare tutta una serie di differenze nello svolgimento successivo dei fenomeni dipendenti dall’una piuttosto che dall’altra forma che pigliano i vapori condensati in seno all’atmosfera, cadendo sulla superficie terrestre. Come abbiamo accompagnata la pioggia dal primo momento che cade sul suolo, fino all’ultimo in cui si versa nel mare, così vogliamo ora vedere che avvenga della neve, dal primo istante che cade in soffici falde sulla terra, fino all’ultimo, in cui scompare, sciogliendosi in acqua.

190. Questo studio non presenta nessuna difficoltà, quando ci volessimo limitare alla pianura, o alle montagne poco elevate, come gli Apennini e le Prealpi, dove sono ignote le così dette nevi perpetue. Ogni nevicata vi persiste, finchè la temperatura duri abbastanza fredda per non permetterne lo scioglimento. Bisogna sapere però che l’evaporazione ha luogo alla superficie della neve e del ghiaccio, come alla superficie delle acque, anche nelle regioni più fredde, benchè [p. 86 modifica]la temperatura sia di più decine di gradi sotto zero. Uno strato di neve deve dunque alla fine scomparire, anche non avvenendo il disgelo, essendo essa assorbita dall’aria allo stato di vapore. Da noi però è il disgelo che fa scomparire la massima parte della neve, verificandosi, al più tardi in primavera o in estate, una temperatura sufficiente a struggerla in acqua, che via sen va per la stessa strada e cogli stessi effetti dell’acqua di pioggia. Di questa adunque non c’è più nulla da dire. Ricorderemo soltanto che, quando un disgelo è improvviso e abbondante, basta perchè i fiumi si gonfino fino a straripare. Non hanno altra causa sovente le disastrose innondazioni del Po.

191. Nelle regioni delle nevi perpetue però il caldo dell’estate non basta d’ordinario a struggere tutta la neve caduta nell’anno. Quale altra via trova dunque per andarsene? mentre che se ne vada è certo; poichè se ciò non fosse, accumulandosi la neve di anno in anno, di secolo in secolo, come avviene da tante migliaja di anni, le valli e i monti scomparirebbero, adeguati, sepolti sotto una massa di neve, che si eleverebbe al cielo, formando da tutte le parti, e seppellendo tutte le contrade all’ingiro sotto mille e mille valanghe. Si verifica questo? no, certamente. Le generazioni non si sono accorte di alcun cambiamento notevole in quel candido mantello buttato sulle spalle delle Alpi. Ogni anno vi diluviano le nevi, nè il caldo annuale basta a smaltirle: eppure le nevi eterne son là, che non accennano nè ad un aumento, nè ad una diminuzione notevole.

192. Le pioggie hanno per scaricatoi i fiumi. Ebbene, fiumi d’altra specie si incaricano di scaricare le nevi. Questi fiumi si chiamano ghiacciai. [p. 87 modifica]

193. Quando una quantità considerevole di neve si accumula, essa si comprime pel proprio peso, e si trasforma in neve dura e compatta. La superficie del suolo non è che in via d’eccezione affatto piana, mentre d’ordinario è più o meno inclinata in un senso qualunque. Sulle alte montagne poi i pendii sono ordinariamente assai ripidi, e le rupi sovente cadono a picco. Quando la neve è alta sopra un pendio qualunque, viene un tempo che la forza di gravità vince la forza d’inerzia per cui essa tende a rimanere nel luogo dove è caduta, e allora comincia a discendere, lentamente calando per l’erta. Da un primo pendio passa a un secondo, e giù giù fino al fondo, in compagnia d’altra neve fluente dai pendii circostanti; e tutta quella neve confluisce nella sottoposta valle, formando come una gran lingua, la quale si muove, si allunga, seguendo la valle stessa, come una massa vischiosa e flaccida, finchè arriva sì basso, da trovare una temperatura che basta a scioglierla in acqua. Quella lingua che si allunga in giù, a partire dai campi di neve o nevai, è il ghiacciajo. Esso serve veramente a scaricare i campi di neve di quella quantità eccessiva, per cui la neve andrebbe indefinitamente accumulandosi. I ghiacciai stanno colle nevi in quei rapporti, in cui stanno colle acque i fiumi.

194. Ma il ghiacciajo, come lo stesso suo nome ci dice, non è di neve, ma di ghiaccio. La neve infatti, premendosi, conglutinandosi, plasmandosi man mano che discende, si converte in ghiaccio. Nessuna meraviglia del resto, mentre vi è noto che ogni fiocco di neve non è che un gruppo di cristalli di ghiaccio. Dunque una massa di neve non è altro che un gran mucchio di minutissimi cristalli di ghiaccio, con aria che ne riempie gli interstizî. Mano mano che la neve [p. 88 modifica]è compressa, l’aria è strizzata fuori e i cristalli di ghiaccio aderiscono insieme, formando un sol pezzo. Anche voi potete facilmente, stringendo ben bene un pugno di neve, farne una palla dura e compatta. Premete ancora di più, e la palla diverrà tanto più densa e tenace. Voi avete fatto, su per giù, quello che fa la natura per fabbricare un ghiacciajo, mediante la compressione delle nevi alpine; poichè in fatti, stringendo il pugno, avete strizzato fuori l’aria, e obbligato i cristalli di ghiaccio ad aderire gli uni agli altri, formando un pezzo di ghiaccio compatto. Ma voi non siete forti abbastanza per obbligare tutta l’aria ad uscir fuori, e perciò il vostro pezzo di ghiaccio, ancor pieno di bollicine d’aria, rimane bianco, non possedendo quella omogeneità che è necessaria perchè divenga trasparente. Ben più forte è la pressione a cui sono sottoposte, per lo stesso loro peso, quelle enormi masse di neve che compongono i nevai, e fluiscono giù per le valli. Perciò l’aria finisce ad esserne espulsa quanto basti perchè il ghiacciajo, che era bianco superiormente come la vostra palla di neve, divenga, inferiormente, e fino al suo termine, chiaro e trasparente.

195. Il ghiacciajo adunque è un fiume, non di acqua, ma di ghiaccio, che ha le sue sorgenti negli eterni nevai. Discende talora per assai lunga via inferiormente al livello delle nevi perpetue, serpeggiando lentamente lungo la valle di cui copre il fondo dall’una all’altra sponda. Il caldo estivo continuamente lo strugge alla superficie, sicchè dovunque è percorso da rivi e torrentelli scorrenti sopra letti di ghiaccio, tra sponde di ghiaccio. Il ghiacciajo stesso scorre, finchè la sua marcia è arrestata dall’alta temperatura che lo strugge in acqua. È un fiume di ghiaccio che si [p. 89 modifica]trasforma in un fiume di acqua. Ogni ghiacciajo difatti termina a valle con un torrente d’acqua sporca e fangoso, nutrito dallo squagliamento che ha luogo, principalmente d’estate, su tutta la superficie del ghiacciajo e dei nevai stessi che gli danno origine.

196. Il presente diagramma (fig. 13) vi mette sott’occhio i principali caratteri di un ghiacciajo. Guardando Fig. 13. — Veduta di un ghiacciajo colle rispettive morene, i massi erratici, le rocce arrotondate e la porta da cui sbuca il torrente. in alto, voi vedete i nevai confluenti verso il fondo di una valle, che è occupata dal ghiacciajo, che seconda tutte le sinuosità della valle stessa, e termina bruscamente tronco. La troncatura del ghiacciajo, che si chiama fronte, è scavata in forma di caverna. Quella caverna è detta porta del ghiacciajo, [p. 90 modifica]ed è formata dal disgelo del ghiaccio effettuato dal torrente che ne sbuca.

197. Un fiume scava il fondo e le sponde, formandosi un letto tanto nella dura roccia, quanto nel mobile terreno (§ 173). Così esso fabbrica e porta giù una quantità di sabbia, di fango, di ciottoli, recando al mare il frutto della sua rapina sul continente (§ 172). Il ghiacciajo compie, benchè in diverso modo, lo stesso lavoro.

198. I sassi, che franano dai fianchi della valle, vengono ad arrestarsi sul fondo del torrente, che se li piglia, e li mena in giù, rotolandoli sul suo letto. Il materiale leggero, come sabbia e fango, è anche tenuto in sospensione e trasportato in giù rapidamente dall’acqua che scorre. Ma il ghiacciajo è un fiume di sostanza solida. I sassi, al pari del più fine detrito, franando dalle montagne, gli si fermano sul dorso, ed esso non può far altro che trasportarli in giù, mentre tutto d’un pezzo lentamente discende. Siccome poi il ghiacciajo, struggendosi più presto sui lati che nel mezzo, finisce a prendere la forma che si direbbe a schiena d’asino, il materiale che frana è costretto ad arrestarsi sul lembo destro o sinistro, secondo che cade dalle montagne a destra piuttosto che dalle montagne a sinistra. Ogni ghiacciajo perciò ha sempre due linee, o due orlature di sassi, di sabbia e di fango, una destra e l’altra sinistra, che si chiamano morene laterali. Se due o più ghiacciaj si incontrano nella stessa valle, confluiscono come i fiumi, ma senza confondersi. Confluendo i ghiacciaj, confluiscono le rispettive morene; sicchè nascono sulla superficie del ghiacciajo risultante altrettante morene mediane, quanti sono i confluenti di un primo ghiacciajo. La figura 13 vi mostra infatti, [p. 91 modifica]oltre le due morene laterali, destra e sinistra, una morena mediana, che si vede nascere in alto dalla confluenza di due ghiacciai. Il ghiacciajo sovente si spezza e ne nascono dei crepacci longitudinali o trasversali, che inghiottono una quantità del materiale detritico che si trova alla superficie. I massi e i ciottoli, cadendo fino al fondo del ghiacciajo, sono presi sotto dal ghiacciajo in movimento, e stritolati, servono a rodere il fondo della valle, rimanendone erosi al tempo stesso. L’ugual fenomeno avviene sui lati, e dovunque si verifichi il contatto del ghiaccio colla roccia che gli serve di letto.

199. I ciottoli e i grani di sabbia e di fango, movendosi sotto l’incubo del ghiacciajo, incidono la sottoposta roccia, la quale si copre di graffiature, di scanalature e di strie. Il detrito glaciale serve così come di lima e di smeriglio, per cui il fondo e i fianchi delle valli sono di continuo approfondati. Quando il ghiacciajo, per soverchio disgelo, si ritira (come avviene più o meno ogni anno d’estate, e talvolta anche per più anni di seguito) la roccia che si va scoprendo, mostrasi tutta lisciata, striata, scanalata, in dorsi arrotondati ad onde e cavalloni (fig. 13).

200. Ormai potete intendere perchè sia così sporco il torrente che scola il ghiacciajo. Il fondo di questo infatti è tutto coperto di ciottoli, che limano le rocce in posto, ed a vicenda si guastano, si stritolano. Quindi un prodotto enorme di finissima melma, che viene continuamente lavata via dall’acqua, e questa, fornita dal continuo disgelo, si raccoglie sul fondo del ghiacciajo, e ne sbuca, formando il fangoso torrente.

201. Oltre al materiale che il ghiacciajo stacca ed elabora a contatto colle rocce che lo incassano [p. 92 modifica]non bisogna dimenticare quell’altra quantità enorme che, arrestandosi sulla sua superficie, è mano mano sepolto sotto nuovi strati di neve o di ghiaccio, sicchè viene trasportato giù per la valle in seno allo stesso ghiacciajo semovente. Mano mano però che il ghiacciajo si strugge, i massi riappajono alla superficie, finchè tutti sono deposti e ammucchiati là, dove il ghiacciajo si arresta, struggendosi in acqua. I ciottoli così deposti, dopo aver camminato in seno al ghiacciajo, si mostrano anch’essi lisciati, striati (fig. 14), quelli Fig. 14. — Ciottolo lisciato e striato dal ghiacciajo. principalmente composti di rocce molli, come serpentine e calcari, che si trovarono a far la via insieme con ciottoli più duri, come graniti e quarzi. Quanto al volume dei massi che il ghiacciajo trasporta, possono avere la grossezza di una casa; e basta osservare una morena, o viaggiante sulla superficie del ghiacciajo, o deposta sulla sua fronte (morena frontale), per vederne di enormi a cento a cento. La figura 15 ve ne dà un’idea. Così migliaia di tonnellate di fango, sabbia, pietrame d’ogni stampo, sono condotte giù dalle montagne nevose per mezzo de’ ghiacciai, [p. 93 modifica]destinate ad aggiungersi a poco a poco a quel materiale che i fiumi già altrimenti tributano al mare.

202. I più grandi ghiacciai del globo sono quelli delle regioni polari. Si può dire, per esempio, che tutta la Groenlandia è sepolta sotto un solo sterminato ghiacciajo, che sporge diverse lingue di ghiaccio, scorrenti lungo le valli, finchè giungono al mare. Là, avanzandosi in mezzo alle acque continuamente mosse, facilmente Fig. 15. — Massi erratici alpini, trasportati e depositati da un antico ghiacciajo sui fianchi del Giura. si spezzano, e se ne staccano, mettendosi a galla delle onde, massi così enormi che furono chiamati icebergs, ossia montagne di ghiaccio (fig. 16). E meritano davvero questo nome, mentre hanno sovente parecchie miglia di circonferenza, sollevandosi fino a 100 metri dall’onde che ne flagellano i fianchi. Eppure la parte che emerge non è che la settima parte della massa di ghiaccio galleggiante, mentre sei parti [p. 94 modifica]rimangono invisibili in seno alle onde, come potete facilmente farne esperienza, tenendo un pezzo di ghiaccio entro un bicchier d’acqua, ed osservando quanto sia piccola la quantità che emerge dal liquido. Così, galleggiando, può una montagna di ghiaccio essere dalle tempeste e dalle correnti marine portata le mille miglia lontana dal ghiacciajo che l’ha generata.

203. Le rocce in posto, striate ed arrotondate, le Fig. 16. — Iceberg, ossia masso di ghiaccio galleggiante nei mari polari. morene accumulate sulla fronte dei ghiacciai e abbandonate nel loro regresso, i ciottoli striati, i massi erratici, sono altrettanti monumenti con cui i ghiacciai vanno segnalando le loro invasioni. Fu l’aver osservato tali monumenti in siti assai lontani dai limiti dei ghiacciai attuali, che condusse i geologi a riconoscere un’epoca glaciale, cioè un’epoca antica in cui tutti i ghiacciai del globo, alpini e marini, subirono uno sviluppo [p. 95 modifica]straordinario, una straordinaria dilatazione, e invasero così una gran parte delle terre e dei mari, che ora è assolutamente spoglia di ghiacci. Sui versanti italiani delle Alpi, per esempio, i ghiacciai si spinsero fino ai confini settentrionali dell’attuale pianura, arrestandosi all’estremità meridionale dei laghi lombardi, dove, come attualmente i ghiacciai della Groenlandia, tuffarono la loro fronte nel mare che ricopriva ancora la pianura e flagellava il piede delle Prealpi e delle Alpi. Così agli antichi massi erratici, ai ciottoli striati, al detrito agglomerato in cumuli immensi delle morene frontali che forma la prima serie dei colli subalpini, trovansi commiste a migliaia le conchiglie marine dell’epoca glaciale.