Gemme d'arti italiane - Anno I/La morte di Marco Bozzari
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LA MORTE
DI MARCO BOZZARI
quadro ad olio
di Lodovico Lipparini
per commissione del Conte Bathieny
Non piccolo benefizio apportò alle arti la guerra durata dai Greci per la liberazione della patria, con dar modo a’ pittori (dico a’ pittori, e s’intenda proporzionatamente a tutti gli artisti) di ritrarre ne’ loro quadri altre fogge di vesti e di arredi, altra natura di cielo e di paesi, altre sembianze d’uomini da quelle de’ tempi antichi o de’ bassi tempi. Ben si potevano anche senza tal guerra rappresentar tali oggetti, ma la rappresentazione loro non avrebbe avuto che assai poca importanza, rispetto a quella che ottennero dalla memoria di tante mirabili imprese. Nulla di poi poté avervi d’indifferente negli usi e negli aspetti della famosa contrada; ogni casacca si pensò aver coperto un eroe; ogni barca trafugato una vedova, ogni arbore, ogni pietra portar un nome o una data, da non esser letti senz’ammirazione e pietà.
Il professore Ludovico Lipparini è quello tra’ pittori che più lodatamente e più, spesso prendesse a soggetto de’ propri dipinti gli uomini e i fatti della Grecia moderna; né v’ha cultore o dilettante dell’arte da lui praticata, cui non sian noti, tra gli altri, il greco solitario meditante lungo il mare i futuri destini della sua patria, e il giuramento tra le rupi di Calavrita, da cui l’età non escluse vecchi e fanciulli, il pacifico ministero i sacerdoti, la natural delicatezza le donne. Ora un nuovo dipinto di tal genere ci viene offerto dall’egregio artista. Ciò che agitavasi nell’anima pensierosa del greco, ciò che promisero que’ magnanimi in Calavrita, fu messo ad effetto. L’impresa incominciata con tanto coraggio, continuata con tanti sagrifizi, può dirsi compiuta; le sventure tardando la vittoria la mobiliteranno, non potranno rapirla. Siamo non lungi da Carpenizzi, e l’eroe circondato da pietà sì profonda è il Leonida della Grecia moderna, Marco Bozzari.
Nol raffiguravate anche prima di udirne il nome?
Mentirono è vero i ritratti che di lui vennero in luce finora; ma chi altri che Marco Bozzari muore in tal guisa? Quel pallore mortale sì, e pur sereno; quello sguardo, che volto al cielo, non mostra disperare della vittoria del suo popolo, ma dolersi di non sopravvivere a vederla compiuta; tutto infine quel volto e quella persona non dicono l’animo di chi, morendo giovane ancora, sente aver fatto per la patria, se non quanto voleva, quanto sarebbesi appena appena potuto in lunghissima vita?
Bello a vedere quando l’aquila di Suli prese l’ardito volo e cacciò dal suo nido i predatori voraci; l’occupazione animosa de’ cinque pozzi; o la resistenza presso Crionèros di soli seicento a tutto un esercito reso baldanzoso dalla fortuna; ma bella sovra ogni altra questa rappresentazione degli ultimi istanti dell’eroe, che, terribile della memoria a’ nemici, sostegno a’ suoi dell’esempio, si adagia sul letto de’ sanguinosi suoi allori… e la dolce morendo Argo rammenta!
Adagiato, tiene presso che il mezzo del campo, alquanto più a sinistra de’ riguardanti col petto e la faccia, cui solleva dietro via, per di sotto l’ascelle, un compagno amoroso; e prolungasi a destra col resto della persona, mentre da piedi trepidando s’incurva un valido vecchio, egli pure per sollevarlo. Mostrano entrambi i pietosi soccorritori di starsene intenti a raccogliere con tutta l’anima quanto sarà loro imposto dal venerato guerriero, e nulla osar d’imprendere che prima ei non l’abbia lor detto, o almeno accennato cogli occhi. Occupano il resto del quadro il fumo, i dorsi e le teste de’ Greci tuttavia combattenti, e alcuna delle odiate insegne nemiche svolazzante per l’aria in mano di fuggitivi.
Le arti, per chi ne intende davvero la sublime destinazione, hanno in sé essenzialmente alcun che di simbolico e generale. Sebbene parlino più ancora a’ sensi che all’intelletto, e quindi sembri men vasto il campo su cui loro è dato spaziare, accennano, secondo la valentia dell’artista, a’ più cose assai, oltre quelle
che rappresentano effettualmente; e dopo aver allettata la vista colle immagini attuali, rapiscono vittoriose il pensiero in regione più vasta, e quasi dissi infinita.
Que’ due più attempati, che nella pittura di cui parliamo si apparecchiano a rilevare il moribondo, dinotano di che peso si fossero i servigi da lui resi al suo popolo, senza i quali il dolore non vedrebbesi sì rispettoso; e i frutti del nobile esempio ch’ei lascia ben appariscono nei generosi che in fondo al quadro continuano la battaglia; tra’ quali un giovanetto bellissimo di fresca baldanza, e questo proprio da lato, o discosto di poco al morente, quasi fiore che germoglia sul tumulo del valoroso a mostrarne impassibile la memoria.
Questo intimo legame del presente col passato e coll’avvenire, espresso dall’artista nella sua bene ideata pittura, si trova più o meno evidente in tutte l’opere de’ grandi maestri e le rende compiute. L’ingegno creatore lo afferra nel suo concetto, talvolta ancora senza badarvi, e senza badarvi se ne sentono compresi i riguardanti; ond’è che il notarlo potrà a taluni sembrar sottigliezza, quando in fatto non è che attenta considerazione dalle cagioni e dagli effetti che si accompagnano col retto esercizio dell’arti.
Di qui abbiamo una rappresentazione molto semplice, di poche figure principali, e disposte nel modo più schietto e spontaneo. Appena tre si veggono intere e di prima grandezza le altre, parte interrotte dal fumo e accorciate dalla distanza, si annodano al gruppo principale e mirabilmente il rialzano e lo dichiarano, senza però necessitare l’attenzione a distendersi e scompartirsi soverchiamente. E sì che il fatto era tale da tentare l’immaginazione più schiva a far prova di sé nella molteplicità degli oggetti; ma l’artista perito ci diede il molto nel poco, preferendo alla copia l’ottima scelta.
Similmente non credette necessario, per movere a pietà, di metterci dinnanzi sangue e ferite, come sogliono gl’inesperti o i traviati, scambiando per compassione il ribrezzo, ma gli bastò un cenno; e tal attitudine diede all’eroe, che secondando la storia, non turbasse soverchio il riposo dell’anima, necessario a sentire debitamente gli effetti delle artistiche imitazioni.
Lodare nel Lipparini le vesti, l’armi, e tutto quel vario corredo della rappresentazione, che diciamo cui, parola consueta accessori, sarebbe spendere inutilmente parole; quando san tutti uscire dal pennello di lui siffatte cose, non finte o imitate, ma quali sono per l’appunto, co’ loro più vivi e sensibili effetti di luce e d’ombra, d’asperità e di liscezza, di nitore e d’opacità, e ugualmente colpire per verità somma il e il polito, il compatto e il piumoso, il fuso e il commesso, lini e velluti oro ed acciai cuoi e pellicce, avori e madreperle, tutto in fine che l’arte o l’industria abbian saputo produrre.
Non vo’, della imitazione del vero parlando, trasandare il ritratto di Marco, sinora, come dissi, datoci menzognero, e tale nel quadro del Lipparini da non aversi a desiderar più fedele. Le parole della vedova stessa dell’eroe, a ciò consultata, guidarono il diligente pennello. Da essa seppe l’artista, e da lui sapran tutti, aver Marco Bozzari avuto statura mezzana e membra bene complessionate, carnagione traente all’ulivigno, ovale la faccia, ampia e prominente la fronte neri e grandi gli occhi, il naso aquilino, color di castagna le ciglia e i capelli, questi con più nerezza e cadenti alle spalle. Della ilarità schietta che in vita ne abbelliva i lineamenti non ha il moribondo che scarsi vestigi; ma chi sa com’ei fosse marito e padre per affetto non meno che per magnanimità cittadino e soldato, e studia le tracce del nobile spirito dateci a contemplare fra le angosce dell’estrema agonia, può agevolmente presumere anche quest’unica parte, che alla pittura non concedevasi di perpetuare.
La vedova illustre affissandosi in questa tela riscontrerebbe, ben credo, con doloroso compiacimento ciò che la immaginazione aiutata dall’amore dee averle più d’una volta mostrato: tale dovettero pensar Marco Bozzari moribondo i greci adunati in Missolungi quando l’arcivescovo Porfirio ne celebrava l’esequie.
Quanti poi d’ogni tempo e d’ogni contraria riguarderanno l’espressiva pittura, dopo il primo tocco dell’ammirazione compunta, per poco non sentirannosi indotti a far indugio a que’ due pietosi che stanno per rilevare il ferito e condurlo a morire in luogo più degno.
Degno luogo a mezzo il cammino da Carpenizzi a Missolungi attendeva l’ultimo respiro dell’eroe: la fonte di Cefalorisso, là dove un anno prima pronunziarono i suoi il terribile giuramento ch’ei primo e sovra ogni altro mantenne e rese immortale. Chi torrebbe di farsi spettatore di quest’ultima scena? Sien grazie al Lipparini, che la volle da noi presentita e non vista; e ci sublimò col ritrarre un resto di vita che in sé raccoglie gli effetti e la certa prova di molta e segnalata virtù.
L. Carrer