Gemme d'arti italiane - Anno I/La Madonna col Bambino
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LA
MADONNA COL BAMBINO
QUADRO AD OLIO
di Francesco Podesti
per commissione di S. M. il Re di Napoli
Il tipo della Madonna è di quelli, che l’arte ebbe ed avrà sempre in singolare predilezione. Da tempi del risorgimento a’ dì nostri esso fu di continuo vagheggiato ed amorosamente riprodotto dagli artisti di tutte le scuole, ed inspirò loro le invenzioni più soavi, le più gentili figurazioni. E di vero non ce n’ha altro, che schiuda all’arte più vasto campo a metter fuori tutte le sue squisitezze e nell’espressione e nella forma. Che c’è di più nobile, di più puro, di più vago a ritrarre, che quella Divina, il cui nome risponde a tutti gli affetti più santi, a tutte le speranze più consolate? E quanto non si presta da ogni industria dell’arte la casta bellezza della Vergine di Nazaret, ove in ispecie ella sia effigiata con in grembo il divin Pargoletto? Non è certo chi non sia tocco nel profondo da quelle Madonne del quattrocento, in cui si vede proprio espresso il pio entusiasmo dei divoti artisti che le condussero; non è chi non rimpianga, che i più tra i posteriori artisti non abbiano saputo o voluto, scortandosi dal far secco di que’ primi, la schietta grazia serbarne il delicato studio dell’espressione.
V’ha chi pensa essere ciò stato un privilegio di quelle età di più robusta fede non concesso alle successive; altri ne fanno il carattere proprio di quell’arte che dicono cristiana, la quale, nata di que’ giorni e serbatasi lungamente in fiore, sarebbe stata a loro avviso pervertita e spenta dalle classiche imitazioni. Ma pare che si possa tenere diversa sentenza, ove si ponga mente che in ogni tempo vennero a capo di ben ritrarre il tipo della Madonna quegli artisti, i quali prevalsero appunto nello studio dell’espressione. Di ciò ponno dar fede, con quasi tutti i lombardi nostri (Carlin Dolce e il Sassoferrato) e l’Allegri e molt’altri sino all’Appiani, del quale è in Milano nella casa d’illustre Magistrato tale una Vergine Addolorata, di cui non si saprebbe trovar cosa più delicata, più modesta, più divota. E ne dà fede senza più questa tela di Francesco Podesti, pittore quant’altri mai tenero del classico stile, ma studiosissimo a un tratto dell’espressione, nella quale s’accoppia all’ingenuo carattere de’ quattrocentisti la correzione e il tocco libero delle scuole migliori.
Siede la Vergine in luogo aperto con in grembo il divino infante: a sinistra ha un cespuglio e ruderi di rovinato edificio; a destra una distesa di campana con piante de’ climi orientali, che forma il fondo del quadro.
Ell’è effigiata di quell’età, in cui tocca il sommo la femminile bellezza; acconciata semplicemente del capo; semplicemente vestita, con un velo che le scende sulle spalle. Il Bambino accenna volersi ergere a carezzarle il volto, e stende le manine in atto leggiadrissimo.
Ed ella reclina su lui lo sguardo, uno sguardo pieno di affetto, in cui è agevole leggere la tenerezza, la riverenza.
Quanto è mai di celeste in quello sguardo! E quanto esso rivela che Madre sia codesta e che Figliuolo!
Nulla di lezioso o di cascante può l’osservator più schifiltoso notare in questa tela; tutto vi seconda la semplicità dell’invenzione e vi dà spicco all’espressione ingenua e divota. Né già occorre dire della purità del disegno, della nobiltà de’ panni, dell’evidenza delle forme della temperanza del colorito: tutti questi pregi trovansi sempre nell’opere dei Podesti, e sarebbe soverchio accennarli in questa, ov’è singolarmente a notarsi quello più valutabile dell’espressione. Ben si vuole saper merito all’illustre artista, che nel condurre questa tela abbia con l’autorità dell’esempio suo confortato l’asserto di quelli, che tengono, non doversi l’arte segregare in due campi quasi rivali, e potersi ogni maniera di soggetti trattare pure oggidì da chi dell’arte stessa rispetta le ragioni, e va franco da tutte le preoccupazioni delle teoriche e delle scuole.
Achille Mauri