Gazzetta Musicale di Milano, 1872/N. 7

N. 7 - 18 febbraio 1872

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[p. 53 modifica]Al proselito numero è unito il Numero 4 della RIVISTA MINIMA. E LA STAMPA ITALIANA Continuiamo a riprodurre i giudizii dei giornali intorno al nuovo lavoro di Verdi. Il raccogliere le opinioni della stampa sopra un avvenimento musicale di tanta importanza non è ozioso pascolo alla curiosità dei lettori, come può parere sulle prime; al contrario ha un interesse storico grandissimo. L’appendicista della Perseveranza, dopo aver ragionato dei caratteri generali delVA^ in una intera appendice, la esamina parte a parte in altre due, delle quali riportiamo i punti principali: «Il preludio dell’Aida è un pezzo di stile fugato, appoggiato specialmente agli archi, e si svolge sopra i due temi cardinali dell’òpera, quello che accompagna sempre l’apparizione d’Aida e il corale dei sacerdoti; è lavoro da maestro e musicista, nel quale anziché trovare una rimembranza del Lohengrin, che non c’è punto, troverei invece un po’ di quell’avviluppamento e serpeggiamento armonico che caratterizza il preludio del Eaust di Gounod; ma non è che un’analogia, oserei dire meccanica: questo pezzo si gusta molto di più quando si conoscono bene i due temi, cioè quando si è di già bene udita l’opera. Nella prima scena fra Ramfis e Radamès i musicisti possono ammirare un bel lavoro d’imitazione dei violoncelli nell’accompagnamento; il carattere sacerdotale è già ben designato, e questa maniera di trattare il recitativo non è molto lontana dal genere wagneriano. La romanza di Radamès è una melodia italiana nello stretto senso della parola, di colore sereno, affettuosa e accompagnata deliziosamente dall’orchestra, specialmente la second’a volta con quelle leggerissime sestine d’armonie suonate con effetto di sordino.’ Nel recitativo che precede, alcuni accordi di trombe, esprimenti l’ardore guerriero di Radamès, fanno bel contrasto coll’accento patetico ed affettuoso della romanza: Celeste Aida, forma divina. «Il primo atto è in due parti: la prima parte finisce con un pezzo d’insieme; Radamès, per volere d’Iside, è designato a supremo duce degli Egiziani, contro gli Etiopi, e un grande Inno di guerra solennizza il patrioltico avvenimento. L’effetto fu straordinario sul pubblico, fino dalla prima sera, a cagione della grandiosità e di quella tale magniloquenza che un critico novellino non seppe o non volle trovare. «La seconda parte del primo atto che costituisce il primo finale, è la consacrazione di Radamès nel tempio di Vulcano, perchè nell’antico Egitto nes. sun ufficio civile o militare era scompagnato dalla consacrazione religiosa. In questa parte dell’Aida Verdi ha dato saggio di una rara facoltà d’invenzione, d’una potenza straordinaria nell’immedesimarsi il soggetto. Sotto questo punto di vista, è la parte più pregevole e più originale dello spartito. Qui il drammatico non c’è: c’è il grandioso, il solenne: c’è l’Egitto antico, c’è la sua religione fatale che dominava, le sue strane cerimonie miste di danze jeratiche, che poscia per vie di transizioni, di spostamenti ’d’idee, di costumi e di credenze si cangiarono in danze d’Aimée e di Bajadere. «Nel secondo atto le bellezze si avvicendano senza interruzione e con grande varietà di tavolozza musicale. La prima scena è un bell’intreccio di musica corale e di danza e ha per intercalare una melodica, graziosa frase di Amneris, Ah! vieni amor mio, m’inebria. La perorazione del coro, elegantissima, arieggia un poco la proposta del Bolero dei Vespri Siciliani, e finisce con una bella modulazione in sol maggiore di stile gounodiano. La danza dei moretti è una vera trovata, per la vivezza del motivo, e il carattere giusto: sono caratteristiche e di molto effetto alla fine le sovrapposizioni dei due toni di do e di sol. Questo pezzo, tutto brio, vivacità, spigliatezza, con efficacissimo contrasto, si converte subito dopo in uno scoppio d’ira e di passione, nel dialogo fra Aida e Amneris, le due innamorate di Radamès. È il più bel duetto a due voci di donna che Verdi abbia scritto: (1) la parola e la nota sono inseparate nell’espressione dell’ira gelosa della figlia del Re, e dell’affetto della schiava Etiopica. In questo duetto appare più che mai l’autore del Don Carlos, ma con frasi nuove, specialmente quella in si bemolle, iniziata dall’orchestra e poscia ripetuta con tanto effetto dalle voci. II pubblico, ogni sera, riudendola se ne sente tutto consolato. «Eccoci al finale secondo, ch’è il pezzo più grandioso, più complicato dell’opera, perchè è tutto un vasto amalgama di marcia, ballabili, corali, adagio e stretta, subordinatamente ad un concetto sintetico che insieme li unisce. I vecchi autori, il Mercadante specialmente limitava le proporzioni, e concentrava tutta l’attenzione sul famoso ed inevitabile largo del finale, che stava da sè, senza legame musicale, nè drammatico. Il Verdi, invece, seguendo un sistema, già iniziato stupendamente nel Don Carlos, abbraccia tutto un episodio drammatico, sceglie alcuni concetti cardinali, li svolge, li ripete, li coordina in un solo quadro di vaste dimensioni. «Tale è il grandioso finale dell’Aida. L’analisi minuta di tutto questo pezzo colossale riescirebbe molto lunga, e oltre lo spazio che mi manca, temo orribilmente che annoierei chi mi legge. Non farò adunque che qualche cenno. La marcia è complicatissima e può ricordare quella àeW Africana, ma solamente per l’effetto visivo; non perii musicale. In questa dell’AùZa c’è altro stile, altre idee, e per giunta varie sezioni corali: molti episodi la compongono, ma il sostegno principale è il coro generale Gloria all’Egitto; c’è poi un altro coro in mi bemolle: S’intrecci il loto, il corale fugato dei sacerdoti, un ballabile, e il famoso motivo delle trombe: tutto ciò va e viene, s’intreccia, crescendo d’effetto e di sonorità. Non oserei dire che tutto sia bello in questa marcia: il motivo del ballabile è stiracchiato (2), meno quando gli archi sulla quarta corda intuonano un motiva in fa, di stile etiopico, come di consimili ce ne ha trascritti lo Gosstchalk (!) nei suoi pezzi di piano intitolati Bamboula e Bananier. La soverchia ampiezza di questa marcia la fa peccare anche di lungaggine e di prolissità (3). Il fugato dei sacerdoti, da principio è chiarissimo, ma poi s’ingolfa in urti di note, poco aggradevoli all’orecchio. Il taglio di nove battute fatte dal Bottesini al Cairo è stato opportunissimo. In questa marcia le famose trombe lunghe, inventate dal compositore medesimo (4), suonano un motivo strano ma molto caratteristico e che diventerà popolare: sono a due sezioni di tre per ciascheduna, in la bemolle e in si maggiore; il passaggio, la fazione dei due toni sono d’un artificio ingegnosissimo.. Il punto drammatico del finale è quando Aida scopre suo padre Amonasro nelle file degli schiavi Etiopi. È lo stesso Amonasro, baritono, che propone la frase dominante dell’adagio in fa: questa frase è bella, nuova, un complesso singolare, nel quale non si sa se domini di più l’armonia o la melodia: c’è nella sesta battuta una discesa di quinte da spaventare i pedanti e che, a dir vero, fa anche un po’ male agli orecchi (5); ma ad un Verdi certe licenze sono permessissime. (1) Qui il dotto appendicista si è lasciato trarre in errore dal desiderio di fare un confronto; il duetto tra Amneris ed Aida non può essere il più bel duetto a voci di donna che Verdi abbia scritto, per la semplice ragione che è il primo duetto a voci di donna che Verdi abbia scritto. (2) (3) (5) I nostri lettori ricordano certamente.il giudizio che di questo finale dava lo stesso Filippi dopo’ la rappresentazione al Cairo. Noi lo trascriviamo qui per rammentarlo al suo autore che sembra essersene dimenticato: «Il secondo atto si compone di un grazioso coretto di donne, di un magnifico duetto fra Aida e Amneris e poscia di un grandioso finale; questo pezzo colossale comincia con una gran marcia complicata di cori. ballabili e si sviluppa in un adagio e stretta; tutte le parti si accordano insieme con belle proporzioni e con istraordinario effetto. Le frasi sono ispirate, con una efficacia drammatica che mette i brividi indosso e qui ha suscitato l’entusiasmo di coloro persino che mai, dacché sono al mondo, batterono le mani. - Verdi non fece mai nulla di più grandioso, di più bello.» (4) È un errore; Verdi non ha inventato nulla; la tromba di cui si serve in questa marcia non è che "la tromba diritta di cui si servivano gli anti [p. 54 modifica]54 GAZZETTA MUSICALE DI MILANO «Nel terzo atto dell’Aùfa si verificano le maggiori, le più flagranti disuguaglianze nello stile: alle cose le più nuove, le più delicate, oserei dire le più sublimi, succedono le più trascurate e volgari. Siamo sulle rive del Nilo; la musica è di stile descrittivo, alla Feliciano David; c’è la calma delle belle notti d’estate in Oriente, c’è l’aleggiare delle brezze notturne, il mormorio del gran fiume serpeggiante fra gli scogli: questo bel effetto è ottenuto con un semplice ma non facile arpeggiare dei violini, che poscia con una nota tenuta accompagnano la melopea religiosa interna, di colore stupendo; è una melodia indeterminata, poetica, ideale. Verdi rade volte scrisse una pagina di musica di maggiore, nè di eguale elevatezza. j «Delle stesso genere è la seguente romanza di Aida, un po’nelle forme di J una berceuse orientale. Il pubblico non l’ha ancora bene apprezzata, ma finirà per gustarla. La precede un preludietto degli istrumenti di legno, ripetuto alternativamente colla voce. Il pensiero melodico (0 cieli azzurri) è molto, vago, ma fino e delicato, ed è bellissimo quel do diesis sfumato che inter-! rompe per un istante la tonalità minore. La frase si rinforza sulle parole o verdi colli, e qui è palese una reminiscenza del Trovatore, bene dissimulata però sotto un velo di note sommesse e mormoranti nell’orchestra. Ed eccoci । con rapido contrasto ad un gran pezzo ispirato, drammatico, appassionato, il ■ duetto fra Aida e il padre: Verdi qui ebbe a frotte le ispirazioni, un ardore ’I giovanile lo animò, lo eccitò a scrivere questa lotta fra l’amore, il dovere, la gelosia, l’affetto di patria, tutte le passioni del cuore umano. «Il primo motivo di Amonasro è già una carezza, è proprio il profumo; delle foreste imbalsamate, cui promette di fai* rivedere alla figliuola. Ma a i| scuotere Aida queste seduzioni non bastano e allora Amonasro. rinnovando J gl’impeti di Nelusko, le pone dinanzi agli occhi il furore delle egizie coorti,!| le stragi, le città distrutte, la patria conculcata. Nella- frase flutti di sangue scorrono c’è una lieve ricordanza, più che altro di stile, del Ballo in maschera. ’ «Quando Amonasro invoca l’ombra della madre d’Aida, dalle scarne braccia, । l’effetto di terrore nella musica è all’apogeo. Il duetto poi finisce meglio che ogni altro pezzo dell’opera con un andante assai sostenuto, dove le voci, e -I l’orchestra insieme coi suoi gemiti, parlano un linguaggio drammatico della J più terribile e straziante efficacia. Il baritono canta una bella melodia (Pensa ■ che un popolo), e i violini salgono e salgono con un gemito continuo, affasci- p nante. Questa è l’arte senza eccezione.» Di egual merito non è il duetto successivo fra tenore e soprano, Aida e: Radamès. Già la prima frase in do (Pur ti riveggo, mia dolce Aida) ha gli; andamenti a terzine, e l’enfasi della vecchia maniera. E notevole invece l’ac- j compagnamente di trombe nella frase di passaggio. Poscia si passa all’adagio, ’ ch’è bello, nuovo, di una rara eleganza, specialmente il pensiero che canta ■ Aida, così melodioso e strano nei suoi andamenti ritmici.... «in estasi beata ■ la terra scorderem.» La cabaletta è una vera cabaletta del vecchio stampo, fatta sopra un motivo acuto, spasmodico, che il Verdi ha cercato di coprire con dei giri armonici, ma senza riescine a farla piacere. E così dicasi del terzetto seguente, che contiene due altre frasi dello stesso genere, quella del tenore, Io son disonorato, e quella del baritono, No, tu non sei colpevole: musica d’altri tempi e d’altri pubblici, male incastonata in mezzo a tante e vere e serie bellezze. «Del quarto ed ultimo non c’è niente a dire che in bene: è addirittura j un capolavoro, e rade volte il Verdi, nel suo lungo cammino trovò ispirazioni ■ così belle, così gentili, espressioni drammatiche così giuste e terribili. Lo । stesso duetto fra Amneris e Radamès, che parrebbe un riempitivo, è invece j bellissimo: riposa tutto su quel motivo energico, che Amneris intuona la prima volta sulle parole Già i sacerdoti adunansi: un altro motivo di Amneris appassionatissimo è quello in re bemolle: «Ah, tu dèi vivere, sì, al! amor mio vivrai «La frase calorosa: È la morte un ben supremo, chiude degnamente questo bello squarcio drammatico. Crescit eundo! La scena del giudizio, per la gran fama di Verdi, è da aggiungersi al Miserere del Trovatore «Cominciando dal primo accenno del corale dei sacerdoti fino all’ultimo { urlo disperato di Amneris, in questo pezzo non c’è da aggiungere, nè da le-; vare una nota. «L’apostrofe poi d’Amneris ai sacerdoti quando ritornano dal giudizio è parimenti formidabile, ed è una vera ispirazione la frase ardente in la minore, che l’orchestra sprigiona con violenza dalle sue viscere, insieme alla debole voce del mezzo soprano. La perorazione: è traditor, morrà, chiude benissimo questo stupendo lavoro, in cui il sentimento del terrore e della disperazione è portato all’estrema sua espressione. «Nell’ultimo finale Aida e Radamès muoiono nel sotterraneo sottoposto al tempio di Vulcano, in mezzo agli spasimi del dolore e insieme all’estasi di un amore consacrato dalla sventura. E appunto l’-elemento estatico, paradisiaco che domina nella musica, appena circonfuso dalle misteriose melodie dei sacerdoti nel tempio, e dall’ultima eco delle danze ieratiche. Qualcuno avrebbe desiderato maggior orrore nell’espressione musicale di questa situazione, giacché dicono che a morire di fame in un cupo sotterraneo non c’è tanto da andare in estasi. «Io trovo però che il colore adottato dal Verdi è sussidiato da tale dolcezza e soavità d’ispirazione da non lasciar pensare ad anacronismo di sorte. Il motivo in sol bemolle: 0 terra addio, è proprio una cosa angelica, celeste; chi, trómba preferibile alle moderne per la qualità dei suoni, ma smessa perchè incomoda in orchestra. Anche la tromba romana antica era simile a questa; e i pittori che dipingono la Fama lo sanno benissimo. l’effetto è completato dal rimorso di Amneris, dal mesto salmodiare dei sacerdoti, dai suoni spiranti delle melodie danzanti, dall’ultima invocazione alVimmenso Fhtà, su cui lentamente cade il sipario. La musica è deliziosa, e l’effetto tale sul pubblico che mai si stancherà di udirla. «Non ho avuto torto di dire che le conversioni sarebbero molte e rapide non solo il successo cresce ogni sera, ma i più dubbiosi, i pili restii, incominciano a confessare che c’è molto di bello, che adesso incominciano a capire, a gustare la musica, e che in sostanza Y Aida è un grande operone, a cui è riserbata una lunga serie di nuovi e ripetuti trionfi. «Dopo la seconda rappresentazione il Pungolo scrive: «Pare proprio che le nostre previsioni sull’Aida non ei abbiano molto ingannato. L’esito della rappresentazione di ieri sera, non solo confermò, ma accrebbe straordinariamente il successo della prima, rivelando bellezze, intenzioni, pensieri che la sera innanzi erano stati offuscati dalla straordinaria aspettazione e dalle emozioni diverse che una prima rappresentazione di questo genere, genera sempre nel pubblico. «Abbiamo udito noi stessi alcuni di coloro che con una precipitanza di giudizio, veramente ammirabile per la sua disinvoltura, si erano affrettati a classificare il trionfo della prima sera come un grande successo di stima e come omaggio reso più all’autore che all’opera, ricredersi iersera e meravigliarsi delle scoperte che andavano facendo durante la rappresentazione. «L’applauso del pubblico raggiunse iersera, in tutti i pezzi, le proporzioni del vero entusiasmo: anche in quei punti, in cui giovedì sera, partiva più dal pensiero che dal cuore dello spettatore, proruppe fragoroso e spontaneo dall’animo suo. «I pezzi maggiormente applauditi furono, nel primo atto, oltre la romanza del Fancelli e l’aria di Aida, il bellissimo canto di guerra della prima parte e tutta quell’incantevole scena del tempio che parve iersera un vero miracolo di potenza drammatica e di colorito musicale e locale. Niente di più poetico di quella melanconica e ad un tempo soave melodia, che si ode dall’interno; nulla di più solennemente religioso di quelle preci dei sacerdoti bisbigliate sommessamente e alternate a quel poetico canto: nulla di pili caratteristico di quei riti, sotto forma di danze, a proposito dei quali dobbiamo una parola di sincera lode al Casati che compose i ballabili con tanto buon gusto e criterio storico; in guisa che ogni gruppo di quelle mistiche danze pare un basso rilievo d’un monumento egizio. «Non esitiamo a dire che questo pezzo è in sè stesso un capolavoro e lo crediamo destinato ad un successo ognora crescente.» Nel 2.° atto fu colta con particolare ammirazione la frase appassionata di Amneris, alle parole Vieni amor mio, mJ inebbria, che stacca così bene sull’accompagnamento dei cori e sul ballabile dei moretti. Il duetto che segue fra le due donne parve - iersera un pezzo nuovo ed il pubblico lo interruppe coi suoi applausi ad una bellissima melodia tutta passione che vi è nel mezzo. «La marcia non ebbe, neppur iersera, quel successo d’entusiasmo che le si aveva preconizzato e che ottenne al Cairo; ma il grande finale che segue, benché complicatissimo nella sua struttura, trasse dal pubblico unanimi grida di ammirazione. «Nell’atto 3.° l’aria d’Aida fu aneli’ essa meglio gustata e più applaudita: ma il pezzo capitale di quest’atto è il duetto tra Aida e il padre che ei sembrò, sin dalla prima sera, una delle più stupende creazioni di Verdi, e che iersera fu come tale acclamato dal pubblico. «Del successivo duetto tra Aida e Radamès, che alla prima rappresentazione, piacque assai poco, l’adagio bellissimo per commovente espressione fu così vivamente applaudito, che dopo di esso il maestro dovette comparire due volte al proscenio. «La stretta del medesimo e il terzettino che gli succede non modificarono la prima impressione che n’ebbe il pubblico che li giudicò assai inferiori all’elevatezza di tutto il resto dell’opera. «Del 4.° atto non parliamo; fu un applauso solo dalla prima all’ultima nota, un applauso tale che deve aver ricordato a Verdi il più bel giorno della sua vita di grande artista, l’entusiasmo del Nabucco.» E il Secolo dice: «Verdi nell’Aida ha fatto veramente un nuovo passo verso la musica del* l’avvenire? «Se l’avvenire esclude tutte le forme convenzionali, sì; se l’avvenire vuole l’espressione drammatica, la descrizione delle passioni, l’esame profondamente filosofico della situazione drammatica, sì; se vuole gli effetti orchestrali, sì; se vuole nuove combinazioni armoniche, sì; ma se l’avvenire esclude la melodia, no. HAida è piena di belle melodie, del bel canto italiano; e solo talvolta li ornamenti l’avviluppano, e non lo lasciano scorgere a bella prima come una gentile personcina di fanciulla entro il volume delle sottane delle trine e delle falde! «Verdi nell’Aida è il Verdi della Forza del destino, anzi è il Verdi del Rigoletto, ma vestito alla moda e da gran signore. Dall’AùZa è scomparso solo il convenzionalismo della antica scuola; ma quanto il Verdi ha, accettato da Vagner e da Gounod, è quanto poteva accettare rimanendo italiano. Noi rinunciamo volentieri ai soliti accompagnamenti di crome, ai soliti arpeggi; noi rinunciamo volentieri alle solite forme della cavatina e dell’aria; rinunciamo anche alle facili e disadorne cantilene che destano il piacere di un’ora: non rinunciamo però alle frasi melodiche, alla quadratura nostra e Verdi nelVAida non vi ha rinunciato mai. [p. 55 modifica]GAZZETTA MUSIC A LEDI MILANO 55 «Vi fu un critico autorevole, il quale nelle sue prime impressioni disse che nell’Aida c’è una lotta incontestabile fra il Verdi vecchio e il nuovo: fra F artista che mira a perfezionarsi (!) ad estendere il vasto campo delle espressioni musicali e l’uomo che non sa sciogliersi dagli impacci di un passato, a cui pur deve tanta gloria e fortuna. u Ecco che gli si fa rimprovero di una virtù! A me pare prima di tutto che nell’Aida, non ei sia lotta nessuna. Verdi ha accettato quanto di nuovo può accettarsi in Italia, e dove ha trovato di poter fare il connubio fra la sua maniera, l’italiana, e la nuova, l’ha fatto; ma senza lotta, evidentemente di proposito, conservando alla nostra musica il carattere suo e che vogliamo che abbia anche per onor nostro! E quando gli sgorgò una cabaletta, non se la strozzò nell’ugola, solo perchè Wagner non ne vuol sapere. «Meyerbeer a questa stregua, se vivesse, dovrebbe cancellare dallo spartito del Roberto il Diavolo, la Siciliana del primo atto, le strofe: quando qui venni, ecc., insomma tutte le pii! facili melodie di quello spartito, ancora insuperato, perchè sono scritte conforme che Wagner non ha e ripudiate oggi da chi spinge il progresso al barocchismo. «D’Aida è un’opera italiana; prettamente italiana, ricca di belle e nuove e inspirate melodie; ha un disegno perfetto, grande condotta, passione, eguaglianza nella quasi sua totalità; e mi riservo prossimamente nel fare l’analisi dello spartito di spiccarne, per quanto sta in me e nelle mie forze e nella mia intelligenza, le peregrine bellezze, chiamando il mio benigno lettore a gustarle con me. Per oggi, dunque, non gli dirò se non che: il preludio, l’aria di Radamès, il duetto d’Aida e Amneris, l’inno di guerra, i ballabili nel tempio di Vulcano, il grande finale dell’atto primo; tutto l’atto secondo; il duetto fra Amonasro e. Aida, quello fra Aida e Radamès, nel terzo atto, e tutto il quarto sono pagine di musica degne del grande autore del Ballo in maschera e del Don Carlo. «L’appendicista del Corriere di Milano scrive dopo la seconda rappresentazione: «D’Aida s’apre con un preludio a sordini, delicato lavoro strumentale, dolce lamento d’amore che più innanzi si ritrova in bocca d’Aida. La romanza di Radamès non ha molta originalità, ma s’ascolta con diletto, mercè la grazia dello strumentale. L’inno di guerra è maestoso, ma ricorda il God save thè King di Haendel. La grande aria d’Aida, di forma affatto moderna, che chiude il primo atto, non ha avuto finora che un successo di stima, nè mi pare che meriti altro. «La seconda parte del primo atto ei trasporta nel tempio di Ftà. S’ode il canto interno delle sacerdotesse, a cui succede una danza sacra. E tutta una melodia malinconica, languida, soave. Fa pensare alla quiete de’chiostri, alla dolce inerzia della vita orientale, ai bianchi cortili degli arem, ai palmizii silenziosi ed immobili sotto il sole. E un ronzar di api misto al suono d’una piva lontana. Ricorda la Captive di Vittor Hugo. Forse non è l’antico Egitto, ma che importa? E l’Oriente. E una squisita ispirazione. Udito che avete quel verso, vi s’attacca nè più vi lascia, ed ora ancora lo sento aleggiar intorno a me nell’aria notturna. Gli tien dietro un’invocazione a cui prendono parte Radamès ed i sacerdoti. Essa fa succedere alla penombra la luce piena, al mormorio dei flauti e de’ violini, il rimbombo di tutte le voci e di tutti gli strumenti, e chiude l’atto splendidamente. «Il secondo atto si apre con un coro di donne. Siamo nell’appartamento d’Amneris, la sorella del Faraone, l’amante non corrisposta di Radamès. La musica rinnova la dolce e mesta impressione che dà il coro delle sacerdotesse. Il duetto fra Aida ed Amneris in cui la prima sfoga ii suo amore, l’altra la sua gelosia, è fra migliori pezzi dell’opera. Vi ritorna la frase lamentosa d’Aida già udita nel primo atto. La marcia trionfale ed il gran finale, che formano la seconda parte del secondo atto, hanno momenti bellissimi, terminano con uno scoppio stupendo di suoni, e sono stati applauditi con entusiasmo, ma confesso che non m’hanno fatto un’impressione pari a quello che sembravano averne avuta gli altri spettatori.» Il terzo atto ha luogo nell’isola di File, sul Nilo. È notte. Un delicatissimo preludio descrive la quiete notturna, e la frase di esso si ripete più volte durante l’atto. Vi odi il cheto rumore dell’acqua scorrente, il gridio dei grilli, vi vedi raggi lunari e luccicar di stelle. Leggiadro è il breve coro interno. Tutto il principio di questo atto è delizioso fino alla romanza d’Aida ch’è una gemma, una vera gemma, che il pubblico non ha apprezzata abbastanza. i due duetti successivi hanno bellissime frasi, ma anche cose alquanto volgari. Tale m’è sembrata l’imprecazione di Amonasro, e tal è, per consenso generale, la cabaletta del secondo duetto. Ma quanta poesia, quanta voluttà nella frase: Sotto il mio del più Ubero L’amor ne fia concesso. con que ricordi della precedente romanza d’Aida. «Il quart’atto è il migliore. Bellissimo è il monologo di Amneris, desolata ed atterrita, dopo che l’amante è stato ricondotto nella carcere. Altamente drammatico è il giudizio di Radamès, con quel nome tre volte ripetuto, quei silenzi indicati dal sordo vibrar de’timpani e quel grido di traditori seguito da uno scoppio d’orchestra e dalle grida di dolore di Amneris. E finalmente eccoci all’ultima scena, alla scena capitale, in cui Aida e Radamès si trovano chiusi nel sotterraneo, nelle tenebre, mentre sul loro capo i sacerdoti suggellano la pietra sepolcrale ed intuonano funebri cantilene. La situazione è bella, nuova, tragica, e Verdi ne ha profittato da par suo. Il cantabile di Radamès: Morir sì pura e bella, è d’una dolcezza insuperabile; è l’addio d’un angelo al paradiso. Non è meno ispirato il lamento d’Aida: 0 terra, addio! Si riode la flebile melodia del tempio di Ftà e la frase d’Aida nel primo atto. Con questa musica davvero Si vola al raggio dell’eterno dì come calla la vergine etiope abbandonandosi fra le braccia dell’amante.» Mi resta appena qualche riga per dire che il libretto del Ghislanzoni è eccellente. Parlo dei versi, giacché l’orditura della favola non è sua, Egli ha fatto versi facili, melodiosi, vibrati. E forse questa la prima fra le opere che Verdi ha scritta da quindici anni in qua, di cui le parole non facciano torto alla musica». L’appendicista dell’Opinione, venuto a posta a Milano, dice: “Fu eseguito il preludio che era stato scritto pel Cairo, e che d’altronde prepara assai favorevolmente gli animi degli uditori. Vi domina il pensiero adoperato dal maestro per esprimere l’amore d’Aida, ed è intrecciato con delicatissimi lavori di contrappunto.»» Tutte le relazioni venute dal Cairo e scritte dal D’Ormeville, dal Filippi e da molti altri, ei avevano data un’idea alquanto erronea di quest’opera. I pezzi che essi magnificavano non parvero a Milano i migliori dello spartito; qui il successo fu determinato da alcuni pezzi che al Cairo erano passati quasi inosservati. «Nel primo atto la romanza del tenore che tanto piacque al Cairo, non valse a Milano che pochi applausi al Fancelli. Ben lavorati, ma alquanto freddi, sono pure il duetto e il terzetto che tengono dietro a quella romanza, ma grandioso e pieno di vigore è il pezzo concertato: Su del Nilo al sacro lido. Senza racchiudere un’idea originalissima ha però quello slancio giovanile che si ammira nelle prime opere del Verdi. Gli applausi scoppiarono per la prima volta unanimi ed il maestro fu chiamato per ben tre volte all’onore della scena. Viene quindi un’aria d’Aida, che a mio avviso può rivaleggiare colle migliori del repertorio classico. Verdi in questo pezzo, pur conservando la propria impronta, ha navigato in pieno Gluck. Ma il pezzo capitale dell’atto primo, ed una delle gemme dello spastito è l’ultima scena. Radamès che deve muovere contro gli Etiopi è investito delle arme sacre. La cerimonia religiosa, le danze caratteristiche sono trattate con grandissima ricchezza di colori. Il carattere orientale è indovinato, le melodie sono veramente nuove ed inspirate, l’arte è veramente degna di un maestro di prilli’ ordine. «Il secondo atto si apre con un graziosissimo coro di schiave, nel quale è intercalato un ballabile di mori, che fu a più riprese interrotto dalle grida frenetiche del pubblico. Una pagina altamente drammatica è quindi il duetto fra Aida ed Amneris. Viene poscia il gran finale, che al Cairo fu giudicato il miglior pezzo dell’opera. Piacque anche a Milano e destò entusiasmo, ma per me (e molti sono del mio avviso) è inferiore al finale dell’atto primo. La struttura rammenta fino ad un certo punto il gran finale dell’atto terzo del Don Carlo. Incomincia con una marcia che a taluno parve alquanto sconnessa e soverchiamente lunga, quantunque racchiuda due bellissimi pensieri quello proposto dal coro delle donne e poi ripreso da tutte le masse, e la sortita stranissima ma piacevole delle trombe egiziane. Il largo del finale è imponente per l’intreccio delle voci e gli effetti di sonorità; è bella anche la stretta che si chiude nella riunione di due pensieri, come quella famosa dell’atto primo del Ballo in maschera. Ma forse nel Ballo in maschera questa riunione succede in modo più chiaro. Comunque sia, questo finale, per la sua grandiosità e per la varietà con cui è condotto, non può a meno di piacere. Soltanto io credo che non offuscherà il rimanente dello spartito. «Nell’atto terzo abbiamo un bel saggio di musica descrittiva nella romanza d’Aida: 0 cieli azzurri, di cui è pregevole e nuova sovratutto F istrumentazione. Uno dei migliori pezzi dell’opera, ed anche dei più applauditi, è il duetto fra Amonasro (baritono) e Aida (soprano). Gli è a mio avviso inferiore il duetto fra Radamès e Aida, che termina con una cabaletta infelice, ma che contiene un soavissimo andante. L’atto si chiude con una scena dramìmatica di mediocre effetto. In complesso, adunque, F atto terzo è il più deIbcle dello spartito, ma basterebbe a salvarlo il già citato duetto fra Amotiasro ed Aida. ’ «Il Verdi si rialza nell’ultimo atto, che è, senza dubbio, uno delle migliori cose che il celebre maestro abbia scritte. Il duetto fra Radamès ed Amneris, la scena in cui Radamès è condannato dai giudici mentre Amneris sente ed esprime tutto lo strazio dei rimorsi, la scena finale della morte di Radamès e di Aida nel sotterraneo mentre i sacerdoti nel tempio ripetono i cantici dell’atto primo, tutto ciò forma un crescendo non interrotto alle bellezze, che vi fanno passare dal terrore alla pietà, dalla pietà all’ammirazione. Alla fine di quest’atto prodigioso, il Verdi era chiamato per ben ^nove volte di seguito all’onore del proscenio, e il successo si era mutato in trionfo indescrivibile. Le chiamate al proscenio in tutto il corso dell’opera, furono. trentatrè.» I «Un’ultima parola. Falso, falsissimo che il Verdi dell’Aida cammini sulle tracce del Wagner. L’Aida è opera grandemente melodica, e lo strumentale squisitissimo quasi mai vi usurpa le regioni del canto. Verdi tien conto dei progressi dell’arte, rivendica la libertà delle forme, e di ciò gli va data lode. Ma l’arte italiana non ha che da rallegrarsi di trionfi simili a questo.» [p. 56 modifica]56 GAZZETTA MUSICALE DI MILANO E alla Gazzetta eli Treviso scrivono: Scrivo ancora con l’anima commossa, entiisiasmata alla grande, alla sublime creazione di Verdi. Sono le due dopo la mezzanotte e mi trovo soggiogato, confuso sotto l’impressione di un lavoro meraviglioso, di un gran quadro stupendamente tratteggiato, di un successo pieno, completo, indescrivibile, di un grande trionfo dell’arte italiana, di quest’arte che i nostri buo^i amici di oltr’Alpe, gli ammiratori frenetici del Roi Carotte e della Belle Hélène salutano col nome di arte corruttrice oh les blaguers! Non sperate che vi faccia della critica. — Dio buono, la mi sarebbe impossibile! Prima di tutto perchè sono un semplicissimo buon gustalo, poi perchè l’Atda è uno di que’ lavori così grandiosi, così complessi, così elevati che nulla si può dirne dopo una prima audizione, ossia si può dire che si resta sbalorditi e commossi; — oh sì nel primo atto a quel grido di «guerra guerra» è un brivido che si sente per Possa; — e un brivido pure ei si sente al duetto appassionato, drammatico del secondo atto fra F Aida e l’Amneris ( la Stolz e la Walmann); e un grido d’applausi vi strappano il bellissimo canto dell’Amonasro (Pandolfini) e il magnifico pezzo concertato dell’atto stesso; — poi il duetto del terzo fra Aida e suo padre è un altro quadro affascinante, appassionato che il pubblico comprese e plaudì; ma più che tutto trovai bellissimo, commovente, drammatico, inspirato il finale delF opera, uno di quei finali che vi rivelano il grande compositore, il genio ancor robustissimo che ei diè il Rigoletto, il Don Carlos, il Ballo in maschera, la Forza del Destino e cent’altri bellissimi lavori. NAida alla Scala segnerà un vero avvenimento dell’arte, perchè segna una nuova maniera, un nuovo passo, un gran passo verso l’avvenire dell’arte. Quanta altezza di sentimenti! quanta forza di passione e che potenza istromentale? VAida ha rivelato, come dicemmo poco sopra, l’antico maestro, ma un maestro, che, compresi i nuovi tempi e il nuovo gusto, abbandona le vecchie cantilene, le romanzetto, i duettini e le frasi popolari per slanciarsi su di un campo altissimo, sorprendente, meraviglioso, conservando però alla musica italiana il suo carattere melodico, affascinante, sorretto sempre dalla larghezza della frase e dall’efficacia calorosa del dramma. Rivista Milanese Sabato, 17 febbraio. Se il cielo impietosito lo concede, le chiacchiere dei giornali intorno all’Aia sono finite o stanno per finire. Di questo nuovo capolavoro di Verdi (e pare che tutti siano oramai d’accordo a dirlo un capolavoro, tranne un critico diciottenne che ha ancora molto tempo innanzi a sè per mutare d’opinione) di questo nuovo capolavoro non furono date finora che quattro rappresentazioni, e ciò perchè l’impresa, piena di tenerezza per i forestieri venuti per il carnevalone, si fece scrupolo di sciorinare in mostra tutto il suo repertorio; a cominciare dalla Forza del destino fino alle Figlie di Cheope, non mancò nulla, nè un duetto, nè un passo a due di quelli che allietarono la presente stagione. Cosi la settimana grassa fu una specie di lanterna magica offerta alla curiosità del pubblico. Secondo alcuni profeti (non meno d’una mezza dozzina certamente) la prima riproduzione della Forza del destino doveva essere il segnale d’una dimostrazione contro Y Aida; il buon senso non spiega perfettamente in qual modo se una dimostrazione contro Y Aida entrava nel programma delle cose facete del carnevalone, si dovesse proprio aspettare a fai la durante la Forza del destino, piuttosto che durante Y Aida-, ma non bisogna domandare ai profeti più di quello che possono dare, e il buon senso non è indispensabile al mestiere di profeta. Basti: sapere che la Forza del destino fu riprodotta, fu applaudita al ( solito, nè più nè meno delle altre volte, e che Y Aida ricomparsa dopo ebbe le stesse accoglienze festose delle prime tre sere. Anzi il numero degli spettatori sorpassò perfino quello della prima rappresentazione, in modo che nessuno rammenta d’aver visto alla Scala una simile ressa di persone: l’atrio era pieno zeppo, su per le scale e perfino ne’corritoi de’palchi molti ebbero la pazienza di rimanersene in piedi senza vedere lo spettacolo, pur di udire qualche suono, qualche sfuggevole nota!— L’introito sorpassò le lire 12,000. Negli altri teatri non abbiamo avuto nessuna novità; al Carcano si avvicendano con sorti piuttosto liete il Rigoletto, il Ballo in maschera e i Lombardi-, alla Canobbiana il ballo Emma o il Genio della Terra fa le sue quotidiane apparizioni, preceduto da una o più commedie di quelle che certi capicomici e certi pubblici si ostinano a trovare sempre giovani; al teatro S. Radegonda miete allori il Kakatoa, riveduto e corretto, al Re (vecchio) abbiamo avuto finora Bellotti-Bon, e quindi innanzi avremo la compagnia Moro-Lin; infine ai teatri minori gli orrori spettacolosi e i drammi à sensation si succedono senza misericordia. Una novità, in parte musicale, ei ha dato testé il teatro Milanese. Pina la Madamin è una specie di vaudeville in due atti, in dialetto milanese, dovuto per la parte letteraria al sig. P. Fontana e per la parte musicale al maestro Panizza. Sono scene carnevalesche che riproducono una società equivoca di madamine, ma lo fanno senza ferire la verecondia ipotetica del pubblico che frequenta quel teatro, il qual pubblico fu avvezzato altrimenti da autori meno scrupolosi del Fontana. La commedia corre da principio sul sentiero degli equivoci, dei contrattempi, poi si atteggia per un istante al serio e finisce come tutte le commedie oneste - con un matrimonio che fa chiudere gli occhi sul passato. Alcune scene sono fatte con garbo, alcuni personaggi sono ben delineati, l’intreccio si svolge bizzarramente, e il dialogo non è privo di brio; ei è una sola cosa che guasta una porzione del merito del signor Fontana, ed è che una porzione della sua commedia è appunto tolta a una commedia francese; ma certo, piccola o grossa che sia la porzione del Fontana, ce n’è abbastanza per argomentare assai favorevolmente del suo ingegno. Della musica del maestro Panizza, mi fu detto che alla vigilia della prima rappresentazione non ne era scritta ancora una nota; io però temo assai che questo non sia se non un modo dire, perchè senza dubbio una gran parte di quella musica l’ha scritta Offenbach qualche anno fa. Certo però il Panizza ha rubato bene, e siccome la ’musica di Pina la madamin è tutta graziosa e ben fatta, per poco che egli ne abbia in proprio, si può aver diritto di fare anche per suo conto i lieti pronostici che ho fatto per l’autore della commedia. a ALLA RINFUSA Un editore di musica ricevette di questi giorni la seguente commissione: «Abbiate la bontà di spedirmi alcune romanze senza parole per voce di basso profondo. All’Esposizione universale di Vienna, nel prossimo anno, avrà luogo un concerto monstre che, pel numero dei cantori, supererà tutti i concerti consimili che si sono dati finora a Londra, Parigi e Nuova-York. Il concerto avrà luogo nel giugno 1873.

  • Gl’introiti delle prime tre rappresentazione dell’AfcZa alla Scala hanno

superato le 27,000 lire. Per giudicare F enormità di questa somma bisogna considerare che non vi sono compresi i proventi del loggione, che gli abbonati sono moltissimi e sedie a disposizioni dell’impresa pochissime. 4 Il teatro di Kronstadt (Russia) fu distrutto da un incendio il 25 dello scorso gennaio. Il danno si fa elevare a 35,000 rubli. ¥ Il maestro Federico Marpurg a Darmstadt ha composto una nuova opera storico-romantica in tre atti, Agnese di Hohenstaufen, libretto di E. Pasqué. Al teatro di Chemmitz, celebrandosi la proclamazione dell’imperatore di Germania, fu eseguita la cantata Lo svegliarsi di Barbarossa, poesia di E. Geibel, musica di Carlo Ecker.

  • Nel 14.° concerto del Gewandhaus a Lipsia fu eseguita ed accolta con

applausi una nuova sinfonia di A. Dietrich, intitolata: Il passaggio dei Normanni. ìf A Lipsia è piaciuta una nuova opera di Franz von Holstein, L’erede di Morley. La signora Mevrouw Amersfoordt-Dyk compose e fece eseguire in Amsterdam un oratorio che s’intitola La presenza di Dio.

  • In Atene si erigerà un Conservatorio musicale, cui si darà il nome di

Odeum.

  • Non ha guari, il pianista Kontski, che trovasi a Londra, fu in procinto

di perdere la vita. Egli stava facendo colazione in casa di una americana; al piano superiore si ballava allegramente, quando dalla soffitta si staccò [p. 57 modifica]GAZZETTA MUSICALE DI MILANO 57 un enorme masso del peso di 40 libbre e gli venne a cadere sulla testa. Soltanto dopo quattro ore F artista gravemente ferito potè ricuperare i sensi, ed ora ve sempre più riavendosi.

  • L’ispettore della regia Scuola di musica a Monaco, professore Rheinberger,

autore dell’opera I sette ladri, ne ha ora terminata un’altra, col titolo: Thürmers Gertrud. Anche l’intendente generale del regio teatro e della musica di Corte di Monaco, barone von Perfall, si attende a musicare la tragedia Esther di Racine. ¥ La prima pietra del teatro Wagner a Baireuth verrà collocata il 22 maggio prossimo, giorno natalizio del compositore. La cerimonia avrà luogo al suono della nona Sinfonia di Beethoven, per la cui parte vocale sono già accaparrate due Società corali. JjL Quando il signor X. Y. Z., di professione melomane, intende una bella melodia, non tralascia mai di fare un nodo al fazzoletto. A c^i gli domanda la ragione di questo cabalistico mistero risponde che egli fa i nodi per rammentarsi la melodia. A Reifnitz presso Lubiana, il parroco, musicofobo, aveva colle proprie mani inchiodato F organo della chiesa; ricorre la festa di Natale, e, in mancanza dell’organo, il cappellano sale alla tribuna ed intuona con una vecchia chitarra, sorprendendo lietamente la comunità adunata, che attacca in pieno il c oro. 11 parroco ne fu commosso, e da quel giorno si è riconciliato colla musica. Il cav. Giulio Schanz, notissimo per le sue molte traduzioni dei nostri poeti moderni, per incarico dell’Editore Ricordi, ha recato in versi tedeschi la nuova opera di Verdi Aida. L’illustre filologo, nel tradurre il libretto del Ghislanzoni, conservò la identicità del metro, e il più che fosse possibile la stessa accentuazione e cadenza del verso. 4 È partito per Napoli il bravo maestro Gaetano Braga... accompagnato dal i suo violoncello. Vi darà alcuni concerti.’ Feliciano David ha accettato la presidenza’ dei concorsi d’orfeonisti che devono aver luogo durante F esposizione universale di Lione. Un musicante dell’Opera di Monaco celebrerà quanto prima un giubileo di un genere particolare; egli ha suonato la parte di prima tromba nel Freyschütz di Weber durante cinquanta anni, senza mancar mai ad una rappresentazione, vale a dire più di cinquecento volte. ¥ Si legge in un giornale francese il seguente avviso: «Una giovine dama maritata, pianista dilettante e buona leggitrice. per scopo di studio e di diletto comune (meno male) desidererebbe intendersi con una persona dilettante come essa per fare della musica a quattro mani!! «Ecco ad esempio F amore dello studio e del diletto comune portato abbastanza lontano! Dipo aver annunziato il matrimonio di Mario, i giornali francesi an-; nunziano quello di una delle figlie col signor Godfrey Robarts Pearse.

  • In proposito di Mario, il celebre tenore canterà ancora una volta a!

Londra, città che ha per lui una specie di adorazione che si avvicina al fe ticismo e sopravvive a tutte le rovine dell’idolo. All’ultima rappresentazione che egli darà, si vuole offrirgli un titolo di 20,000 lire di rendita, prodotte da una sottoscrizione aperta nell’alto ceto inglese. v Il tenore G. Tombesi fu nominato Commendatore dell’ordine di Nichum da S. A. il Bey di Tunisi. L’Accademia di musica di Chicago, che era stata distrutta da un incendio, è già ricostruita. I corsi sono ricominciati, sotto la direzione di Florence Zieyfeld. ★ Il maestro B. Pisani ha in pronto una nuova opera, Ivanhoe che e gli spera di poter far rappresentare al Teatro del Cairo. II Conte di Varna è il titolo di una nuova operetta seria in un atto condotta a termine dal maestro Giovanni Consolini con parole del baritono Francesco Mottino. Un giornale due settimane sono, scriveva: «l’Aida di Verdi ha avuto di questi giorni tanto successo a Milano, dopo aver destato sì grande fanatismo in Alessandria d’Egitto». E dire che l’opera in Alessandria non si era mai data, che a Milano... era appena alle prove, e che quel giornale crede di veder la luce in Torino!!!

  • Il giornale il Trovatore pigliando occasione dal successo dell’AìtZa, propone

che il teatro alla Scala venga ribattezzato col nome di Verdi. Con tutto il mondo musicale noi dividiamo l’ammirazione pel grande maestro; non crediamo però pratica la proposta del Trovatore. Il teatro della Scala ha un passato di cui il suo nome è parte inseparabile. Ribattezzandolo col nome di Verdi, di Rossini o di altri, non cesserebbe mai di essere il primo teatro del mondo vale a dire: il teatro della Scala. Pietroburgo sta per perdere uno de’ suoi più interessanti istituti musicali: la Cappella Schereméteff cesserà totalmente di esistere. L’anno scorso morì il vecchio conte, la cui munificenza sostenne per molti anni questi celebri Cantori, che gli costarono, oltre F alloggio e il vitto nel suo palazzo, una somma annua di 40,000 rubli d’argento. Il figlio del conte, che abita nel palazzo, ha congedato tutti i membri del Coro (uomini e fanciulli) insieme col loro maestro di cappella. Questi Cori offrivano sempre un grande godimento tanto ai nazionali quanto agli stranieri, e viene generalmente lamentata la loro soppressione.

  • Il Figaro di Parigi ei fa sapere che le migliori opere dei fratelli Ricci

sono Chiara di Rotamber e Un’avventura di Scoramaccibe (sic ¥ Il nostro egregio collaboratore cav. avv. Luigi Casamorata ebbe il dolore di perdere la moglie Elena Serantoni. Noi pigliamo parte al suo cordoglio. CORRISPONDENZE Parigi, 14 febbraio. Una delle due opere di Federico Ricci è stata già rappresentata, l’altra lo sarà domani. Quella dei Bouffes Parisiens die doveva venir dopo è stata rappresentata per la prima: l’indisposizione d’una cantante ha ritardato di pochi giorni Una festa a Venezia ch’era già pronta all’Ateneo. È stato necessario far imparare la parte ad un’altra artista, ed una settimana almeno era indispensabile. Vi parlerò oggi di quella delle due opere che è stata già sottoposta al giudizio del pubblico; e, nella prossima lettera, di quella che lo affronterà domani sera. Il titolo è Le docteur rose, che può tradursi cosi: Il medico color di rosa, la parola rose non essendo nè un nome proprio, nè quello d’un fiore. Il dottor Capsule è un originale che vede tutto color di rosa: a udirlo, la medicina ordinaria non guarisce gli ammalati; li uccide o li lascia morire. Laonde egli non esercita la sua dottrina che sui trapassati; guarisce solo i defunti... o almeno quelli che sono creduti morti, annegati, asfissiati, strangolati, ecc. Ciò premesso, un giovine tenore corteggiato da tutte le donne di Venezia è sorpreso dal Doge durante un colloquio assai compromettente con la Dogaressa, e riesce a fuggire; ma sapendo che i birri lo ricercano, decide d’appiccarsi. La fune d’una gondola ed una lanterna in capo ad un ponte basteranno per fargli fare il famoso salto nell’eternità. Se non che, al momento in cui vuol ottenere il suo sinistro disegno, passa in una gondola la pupilla del dottore, la Rosina di questo Don Bartolo, in compagnia della sua famigliare. Le due donne vogliono ad ogni costo impedire al bel giovinetto di darsi la morte; lo fanno perciò nascondere nella gondola, promettendogli che in casa loro, vale a dire in casa del dottore troverà buona accoglienza. Questi sarà felice di curar un appiccato; la pupilla gli farà credere che ha tagliato la corda, dalla quale spenzolava il corpo del tenore e che lo ha fatto.trasportare nella gondola. Infatti, dopo qualche frizione e qualche scossa della pila elettrica il tenore Zeroli fìnge di ritornare alla vita. Ma un bando del Doge condanna a morte il cospiratore Zeroli e chiunque gli darà ricetto. Immaginate il terrore del medico. Come fare? Il meglio che gli resta è di nascondere il suo risuscitato tanto che può; ma questi lo fa martire; mangia la cena del dottore, s’impadronisce della sua stanza, delle sue vestimenta e comincia a far la corte alla pupilla, che il tutore, come quello del Barbiere di Siviglia, vuole serbar per sè e farne sua sposa. Tutto T intrigo della commedia è fondato.sull’amore e la gelosia d’una prima donna e della Dogaressa, entrambe innamorate del tenore Zeroli. Delle due litiganti la terza gode, vale a dire che Zeroli sposa la pupilla del medico. Per un’opera buffa, e veramente buffa, il libretto del sig. De Najac non poteva essere più comico, più stravagante, più zeppo di scene gaie e ridicoli. Quel personaggio tutto di fantasia della Dogaressa che corre fra le vie in cerca del tenore, e che è rappresentato da una grossa ed attempata artista fa sganasciare dalle risa. Un altro personaggio non meno burlesco è quello di un ciambellano (perchè mo un ciambellano a Venezia sotto i dogi?) È Berthelier che fa questa parte ed è il più bell’umore che vi sia in questo guazzabuglio di scene, le une più festevoli delle altre, Ma veniamo alla musica. Comincio dal dirvi che l’opera ha. sortito un esito felice; ma il successo, a vero dire, non si è ben disegnato che alla seconda e più ancora alla terza rappresentazione. Il maestro Ricci ha avuto il torto di esser troppo condiscendente, e poco è mancato che lo sarebbe stato a suo discapito; voglio dire che per un improvvido eccesso di compiacenza ha permesso al direttore di far dare l’opera quando era ancora immatura. Laonde la prima rappresentazione non era neppure [p. 58 modifica]fa’ 58 GAZZETTA MUSICALE DI MILANO U p? da considerarsi come una prova generale. Gli artisti non sapevano la loro parte, tentennavano, facevan pena. L’orchestra metteva una tal quale mollezza ad accompagnare. Una delle cantanti si levava appena di letto ancora ammalata. Malgrado tutto ciò gli applausi sono scoppiati a molti pezzi, si è anche gridato bis a varie riprese. Ma la seconda sera, e sopratutto la terza, l’opera non pareva più la stessa. L’orchestra aveva ripreso nerbo e vigore, i cantanti erano sicuri di sè stessi; il pubblico era soddisfattissimo. Sicché ha fatto ripetere tre pezzi, ed ha fragorosamente applaudito tutti gli altri. Ma qual follia di far precipitare in cosi fatto modo la prima rappresentazione! A questa son convitati tutti i critici dei grandi giornali, e di rado avviene che tornino ad una novella audizione dell’opera. Il loro giudizio versa dunque sulla prima rappresentazione, che è stata la più debole. Non importa, il pericolo è sparito, il successo è ormai assicurato e pienamente. Non è più la musica folle e capricciosa di Offenbach, tanto cara al pubblico dei Bouffes-Parisiens. È la vera musica deifi opera buffa italiana, come sa scriverla l’autore di Crispino e la Comare; anzi assai meglio istrumentata. Vi sono delle melodie d’un gusto, veramente squisito; troppo elegante pel pubblico di questo teatro avvezzo alle stravaganze dell’autore di Orfeo all’inferno e della Granduchesse de Gerolslein. Un terzetto, delle strofe comiche dette da Berthelier ed una romanza per soprano sono i pezzi che hanno destato maggiore entusiasmo, e quelli precisamente che il pubblico ha ridomandati. Ma ve ne ha ben altri; soprattutto un coro a valzer, che è nell’introduzione e che ritorna alla fine dell’opera, un quintetto ed un finale che basterebbero ad assicurare il successo d’un’opera. — E nulla ancora del teatro italiano! Mi direte che vi annojo, parlandovene in ogni lettera e non annunziandovi mai l’apertura. È colpa mia? La proposta del Verger non è ancora approvata, e dubito forte che lo sia. Un momento si sperava che qualche capitalista avrebbe fatta la proposta al direttore del vostro teatro della Scala di venir qui a Parigi con tutti gli artisti che cantano Y Aida, portando seco loro attrezzi, vestiario, tutto, salvo le scene, e di aprir il teatro Italiano in un modo davvero splendido. Ciò alla fine di marzo, il l.° aprile per esempio. Ma la proposta sarebbe stata accettata costà? Eppure era un mezzo sicuro di guadagnar di bei quattrini. Tutta Parigi sarebbe corsa al teatro Italiano per andar a udire quest Aida della quale si dicono meraviglie. Il successo ottenuto a Milano è così strepitoso che l’eco ne è giunta sin qui; e c’è gente che parte per Milano espressamente per andar ad applaudire al capolavoro di Verdi. Oh! se il direttore dell’Opéra di Parigi Se Gye non si presenta al pubblico con qualche nuova stella e con qualche novità musicale di gran merito, gli onori della prossima stagione toccheranno principalmente a Mapleson, la cui compagnia pare che debba essere di gran lunga migliore di quella del suo rivale. Fra le donne, che il Mapleson ha scritturato, annoveratisi, oltre la Titiens, la Marimon e le solite altre, la Carlotta Grossi. la Nilsson, e l’Alboni. L’elegante Caponi sarà di nuovo con Mapleson aneli’ esso assieme col Fancelli, col povero Vizzani, e con due altri tenori nuovi, di cui la fama parla già con sommo favore, sebbene ne taccia scrupolosamente i nomi! Nuove aggiunte sono state fatte anche alle liste dei baritoni e dei bassi, cosicché oltre l’Agnesi, il Mendioroz, l’Antonucci, il Foli, il Sorella, avremo il Rota da Pietroburgo e tanti altri. La Nilsson partirà da Nuova York per Londra il giorno 20 aprile, e la sua ricomparsa in Londra sarà certo un avvenimento, se non nel mondo musicale, certo nel mondo fashiondble. So che il signor Gye da lungo tempo va cercando nuove stelle in Italia; ma, se le mie informazioni sono esatto, sembra che non sia riuscito a scoprirne - almeno sinora. La solita medaglia annua d’oro che vien chiamata medaglia Beethoven, è’stata quest’anno presentata dai direttori della Società Filarmonica alla signora Arabella Goddard. La signora Arabella Goddard è certamente una pianista di merito; ma questo merito non passa i limiti dell’ordinario. Ogni sorpresa però a tale onorificenza deve cessare, allorquando si è moglie al potente critico del Times. Un uditorio di signore erasi ieri assembrato di lettura del museo di South Kensington per ricorda ch’essa nella gran sala udire dal mae’I avesse due dita di cervello! Ma!... A. A. Londra 6 febbraio. (Ritardato) La speranza di vedere aperto il teatro di Sua Maestà (lier Mojesty’s) quest’anno è morta sul nascere. Nè Gye, nè Mapleson hanno il coraggio di fare una spesa di 15 o 20 mila lire sterline per mobigliarlo, e cosi mentre Gye limiterà la sua impresa al solito teatro, il Mapleson farà ritorno al Drury Lane con soddisfazione del signor Chatterton, il quale oltre il ricevere una buona somma per l’affìtto del suo teatro economizza la spesa degli abbellimenti delle riparazioni annuali, che da alcuni anni viene sopportata esclusivamente dai direttori della compagnia di canto. Il teatro di Drury Lane, mercè fi energia e fi abilità del Chatterton, che n’è ora l’impresario, è giunto a una popolarità che ha portato i bilanci dell’entrata e dell’uscita al pareggio - cosa presso che incognita negli annali passati di quel teatro. E poiché i proprietari del medesimo veggono che il Chatterton paga puntualmente i suoi debiti, intendono di elevare considerevolmente fi ammontare annuo del fitto; nel qual caso le fortune di quel teatro andranno nuovamente in malora, poiché Chatterton, sebbene suo malgrado, sarebbe costretto ad abbandonarlo e a portare il suo spirito intraprendente sopra altri campi teatrali. stro E. Pauer la prima d’un altro corso di letture sul pianoforte. Il maestro Pauer è egregio pianista; ed è stato annoverato dalle autorità del museo fra gli educatori musicali di quella nobile e grande istituzione che fu pensiero del principe consorte. Il Pauer ha ragione di dire che il pubblico in generale non conosce che poco, e questo poco inesattamente intorno alle vite dei compositori di musica. Esso perciò cominciò col dare brevi biografie e aneddoti dei maestri, che aveva assunto ad illustrare; e cercò di provare come ciascun maestro abbia influenzato i suoi successori. Nella scelta dei pezzi per illustrare al piano la sua lettura il Pauer non si attaccò ai più conosciuti o più popolari dei maestri, dei quali fece menzione nella lettura; poiché, coni’ egli medesimo osserva giustamente, i lavori più popolari d’un compositore non sono necessariamente i migliori che abbia fatto, nè illustrano e riflettono abbastanza le sue qualità caratteristiche. Cominciò le sue illustrazioni dalle opere dello Scarlatti, le quali dice generalmente fredde e senza espressione; e povere e superficiali in confronto di quelle di Bach; ma aggiunge che lo scrittore non mancava di facilità per inventare nuovi effetti e nuove combinazioni! Passando quindi d’un tratto ai compositori francesi cominciò dal passare in rivista le opere di Couperin, le cui composizioni chiama altamente interessanti per originalità e per finitezza. Parlando di Rameau disse la sua musica è più semplice e più chiara, ed ha colla sica tedesca più affinità della musica di alcun altro dei suoi temporanei. Ma la gran musica del Pauer è, come potete credere, la che mucon- musica tedesca. Parlando di questa, prese a considerare le cause politiche e sociali del progresso della Germania specialmente sotto il punto di vista musicale. Il Pauer parlò quindi di Kulnau, inventore della suonata, e poscia di Giovanni Matheson! I tedeschi valgono più di qualunque compositore estero. Questa è fiopinione del Pauer, eletto a dar letture musicali nel museo di South Kensington. Di queste letture vi terrò debitamente informati. C. Londra, 12 febbraio. Un autorevole giornale della capitale annunzia che il Mapleson ha acquistato il diritto di rappresentare V Aida in Inghilterra. Il Gye ha risoluto definitivamente di dare il Lohengrin; e cosi i due teatri italiani promettono d’essere più attraenti che mai. w [p. 59 modifica]GAZZETTA MUSICALE DI MILANO 59 Nessuno dei due impresari ha ancora messo in luce il rispettivo programma, ma questo oramai non può tardare lungamente a far capolino. Io vorrei consigliare tanto il Mapleson quanto il Gye di mettere in fronte al loro programma una onorevole dichiarazione, colla quale assicurare il pubblico che le novità annunziate nel programma saranno veramente rappresentate. La comparsa di una giovinetta diciottenne va segnalata nel mondo musicale; ed è madamigella Limia, allieva del maestro Campana. Di persona ella è un’altra Patti; e rivela un talento straordinario, accoppiato a una voce, piena di grazia, d’agilità e di forza. Un critico di gran merito, uditala cantare il Bolero dell’Esmeralda, è arrivato a dire che la Limia stiperò la Patti. Quell’eminente pianista, ch’è il Chevalier de Kontski, noto nel mondo intero a tutti quelli, che hanno tempo da perdere in leggere gli annunzi del giornale il Times, ha intrapreso una serie di concerti, classici, in Si. Georg e’s Hall. Il secondo programma, classico, che fu quello di martedì scorso, comprendeva una fantasia sulla Sonnambula, composta dal Chevalier de Kontski; una romanza, intitolata: Gli occhi di lei (Her eyes), composta dal chevalier de Kontski; uno scherzo da una sinfonia composto dal chevalier de Kontski; e una composizione per piano col titolo: Le Reveil des Lions, composta ed eseguita dal classico chevalier de Kontski. Certo il Kontski non ignora l’opinione che un celebre veterano musicale dava non ha guari delle proprie composizioni nell’occasione di una conversazione sulla questione classica. Cosa è la musica classica? esclamò il veterano. Ciò ch’è vecchio è classico; soggiunse immediatamente, e però io, che sono vecchio, sono classico. Il Kontski ha i suoi anni, i quali rivelansi a dispetto delle bottiglie di tintura, che gli provvede il parrucchiere; ed evidentemente cerca di vendicare un oscuro passato col gettare in faccia al pubblico una patente d’asino per averlo costretto ad assumere da sè il titolo meritato di classico. Non devo però ommettere che nella prima parte del programma erano compresi quattro pezzi di Mozart, daccanto al quale il Chevalier de Kontski degnasi di collocare il suo nome classico. Peccato che all’Albert-Hall, la protezione chiuda a quanto pare la strada al merito. Un maestro W. Carter ha scritto una Cantata per soli, coro e organo, col titolo di «Placida, la martire cristiana», che fu eseguita qualche tempo fa in mezzo all’indifferenza universale. Io fui nel gran numero di coloro che assistettero alla prima rappresentazione, e dovetti congratular me stesso per la forza che trovai in me, capace a resistere alla dura prova di udire una musica, veramente degna d’una corona da martire. N’ebbi per due lunghe ore, e vi confesso che musica più morta io non avevo inteso, nè temo intender mai. Non una scintilla di vita, non una nota nuova o originale. Ora questa cantata è stata ripetuta davanti ad un concorso egualmente grande di spettatori, i quali però giova credere si trovassero nell’Albert-Hall, piuttosto per udire l’inno di grazie per il ristabilimento in salute del principe di Galles — oggetto che aveva le loro simpatie. Anche l’inno di grazie era del maestro W. Carter, e come la cantata mancava di principio, di mezzo e di fine. Sotto gli auspici del maestro Kuhe un festival musicale ha luogo in Brighton, del quale vi terrò parola nella prossima lettera, essendo concepito sovra un piano eccellente e del massimo interesse artistico e pubblico. Ai concorsi musicali aperti dalla compagnia del palazzo di cristallo si presenteranno molte società corali. Mancando quest’anno il commissario italiano per l’esposizione internazionale, che verrà inaugurata in South Kensington, e precisamente in Albert-Hall e adiacenze il l.° maggio prossimo, gl’interessi italiani necessariamente soffriranno. Il programma dell’esposizione prossima contiene molte cose, relative alla musica, della maggiore importanza, e voi fareste bene a richiamare l’attenzione del governo su questo soggetto. Vi si farà credere che la ragione, per cui il governo tiens! in disparte, è ragione d’economia. Non lo credete: perchè il commissario italiano dell’anno scorso costò all’Italia nemmeno un centesimo; e ciò dispiace ai ministri vostri, i quali per questa circostanza non possono senza offendere troppo sfacciatamente l’opinione pubblica dare lo stesso posto ad alcuno dei loro favoriti che hanno bisogno di riempire la borsa vuotata per l’amore della patria nei tempi che furono! Dei tempi, che sono, non fo menzione; e nemmeno dei tempi che saranno. C. CREMONA. Esito lietissimo la Norma: la Scarati, la Ferni e Filippi Bresciani, ebbero battimani e chiamate in gran copia. PALERMO. La Friderici debuttò nel Ballo in maschera con pieno successo; con essa Abrugnedo e Bertolasi furono acclamatissimi ad ogni pezzo. Egregiamente la Bellini e la Tiozzo. Applausi e chiamate a tutti. — La Lucia fu un trionfo per la signora De Maesen e per il tenore Tombes!. — La Dinorah, succeduta alla Lucia, fu un altro splendido successo per gli stessi artisti e per il baritono Bertolasi. SAVONA. Ottimo esito la Borgia, protagonista la D’Este, acclamatissima nella romanza, nel duetto col tenore e nel rondò. La Galimberti si distinse particolarmente nel brindisi del quale si chiese il bis e il Ciceri nella sua aria. SA VIGLIANO. Il Bandito, opera nuova del defunto maestro L. Boccaccio, ebbe un pieno successo; applauditissimi nei principali loro pezzi Casarini, Carpi, Migliara. CAGLIARI. Al teatro Civico ebbe esito mediocre la Costanza di Francatila del maestro Coppa. L’esecuzione fu buona; bene le signora Polloni, il baritono Fallica ed il basso Pozzi. Non mancarono applausi anche alla musica. — Al teatro Cerruti il Cicco e Cola ebbe anche esito debole: piacquero i primi due atti, gli altri no. ALESSANDRIA. Il Giuramento andato in scena testé, fu un bel successo per F esordiente- signora ELsa Benzi. Piacquero anche la signora Ortona, il tenore Bocca e il baritono Predevai. POSSANO. Esito eccellente la Beatrice di Tenda, colle signore Suardi e Balbi, col baritono Ferrarlo e col tenore Ranfagni. ANCONA. Il Don Pasquale, assai ben eseguito dalla signora Sainz, da Rinaldini, da Quintili Leoni e dal buffo Tessada, ebbe accoglienze lietissime. PESARO. Piacquero I Falsi monetari, colle signore Rastelli e Guerrieri, con Zanardi-Landi, Leva, Mosca e Baroni. Applausi a tutti; del terzetto tra due donne e buffo si vuole la replica ogni sera. LUCCA. Trionfo il Ballo in maschera colla esordiente Bertrand, colla de Howe (Paggio), col tenore Massimiliani e col baritono Morelli. CASALE. Ci scrivono: «La nuova opera Evelina del maestro Corrado, rappresentata per la prima volta il 10 corrente, ebbe esito lieto. Molti pezzi furono applauditi e il maestro ebbe molte chiamate al proscenio; due pezzi furono replicati. L’esecuzione, affidata alla signora Rosina Negri, al tenore Milani, al buffo Marchisio e al baritono Polonini, fu lodevole. Buoni i cori e l’orchestra. 11 maestro Testa (direttore dei cori) e il maestro Noceti (direttore d’orchestra) ebbero non lieve parte nel buon successo. TERNI. Buon esito l’Anna Balena; applausi e chiamate frequenti alla signora Bedetti; bene la Mariani e il tenore Bacci; fu fatto ripetere il terzetto. VERSAILLES. Gran successo Y Ombra di Flotow. BREST. La Dinorah desta entusiasmo. L’interpretazione, affidata ai signori Sabatier, Justin Née, e alla signorina Baudier, è ottima. PAU. Esito fortunatissimo il Rigoletto. La Lèonpietra, la Tintorer (Maddalena), il Tintorer (Duca), Lalloni e Wagner ebbero accoglienze assai liete. TAGANROG. Fiasco la nuova opera del maestro Fenzi Iprodi di Mosca malgrado tutto l’impegno che misero gli artisti nell’eseguirla. — 6 febbrajo (Disp: teleg. della Frusta teatrale). Franco Bersagliere, opera nuova del maestro Antonietti, fanatismo. — Musica stupenda. Maestro innumerevoli chiamate proscenio in unione esecutori. CADICE. Scrivono al Trovatore: Il repertorio si avvicenda rapidamente. Abbiamo udito con gran piacere il Ballo in Maschera che da molto tempo [p. 60 modifica]60 GAZZETTA MUSICALE DI MILANO non era stato rappresentato sulle nostre scene. L’esito fu fortunatissimo per tutti gli esecutori: la Lanzi, la Ferrer, la Ammorini, Chiesi-Moj e Varvaro. Questi si distinse in particolar modo nell’atto quarto e la Ferrer nell’ultima ballata che dovette ripetere. Nel Barbiere emerse la Ferrer, il Varvaro e il Ruiz. I pezzi maggiormente applauditi furono: la cavatina di Varvaro e quella della Ferrer, l’aria di Don Basilio, detta magnificamente dal Ruiz, il duetto tra la Ferrer e Varvaro, il finale dell’atto primo e il terzetto del terzo. Bene anche il Masato ed il Parodi. Nel Trovatore la Lanzi ottenne un deciso trionfo. — Non mancarono battimani alla Ammorini, Azucena della bella e robusta voce. Sebbene si annunziasse indisposto il tenore Chiesi si distinse nel duetto dell’atto secondo. Il baritono Nicola Varvaro rivela semprepiù le migliori doti e il maggior buon gusto nell’interpretazione delle parti affidategli. SANTA CROCE DI TENERIFFA. V Emani eseguito dalla Sig. Tilli. dal tenore Petrovich, dal baritono Camins e dal basso Uetam ebbe splendide accoglienze. Tutti gli esecutori furono applauditi. Buoni i cori; discreta la messa in scena; l’orchestra, sebbene mancante di secondi violini, lodevole. MADRID. Scrivono all’Hespana Musicale di Barcellona: «Il teatro Regio segue trionfalmente la sua carriera, grazie al sig. Robles che è un impresario come ve n’han pochi. Testé si posero in iscena gli Ugonotti ed Emani. Nella prima opera emersero Tiberini e la Ortolani, e parvero ottimi la Wizjak e Petit; male gli altri. Nella seconda la V/izjak e Quintili Leoni sono molto applauditi come pure il tenore Capponi. Una zarzuela El primer dia feliz ottenne esito lietissimo. La musica è del maestro Caballero; il libretto è lo stesso del Le primierjour de bonheur di Auber. NOTIZIE ITALIANE • — Milano. Domenica passata, nella gran sala del nostro Conservatorio, ebbe luogo T esperimento pubblico e la distribuzione dei premi agli allievi delle Civiche Scuole popolari di musica per istrumenti a fiato e canto corale. Il cav. Chiusi lesse un discorso inteso a dimostrare l’utilità della scuola, che fu provata anche meglio dalla parte musicale dell’esperimento. Furono eseguiti molti pezzi dai migliori allievi; citiamo: una fantasia per clarino sul Trovatore, eseguite dall’allievo Franceschini, la sinfonia della Fiorina, e una marcia del Rossari, eseguite a piena orchestra. la melodia di Gounod Gesù Nazareno, eseguita dagli allievi della scuola corale diretta dal maestro Leoni, una fantasia per clarino sui Lombardi, eseguita dal giovinetto Tremolada. Nella parte vocale emersero i tenori Reslieri e Costermanelli, i quali cantarono benissimo il duettino La Caccia di Mercadante. NOTÌZIE estere Ginevra. I concerti popolari della Società degli artisti musicisti, sotto la direzione del signor Bergalonne, hanno gran successo. Ne furono dati altri due dopo il primo di inaugurazione, e in entrambi l’esecuzione fu perfetta. — Rouen. La società filarmonica di creazione recente diretta dal signor Kleine, diede alla fine di gennaio il suo primo concerto che riuscì benissimo. — Vienna. L’antico teatro imperiale dell’Opera fu venduto per 25,000 fiorini al signor Popper, negoziante. L’edifizio sarà demolito e sull’area sarà costruita una Borsa. Oh! le glorie teatrali! — Pietroburgo. Un concerto a benefizio di Arditi, fruttò più di 30,000 lire. La Tarantella, nuova composizione di Arditi, cantata da Adelina Patti, fu fatta ripetere tre volte — Il famoso violinista tedesco Joachim, è a Pietroburgo, dove abita il palazzo della granduchessa Elena. Si è già fatto udire in due sedute dei quartetti della Società musicale russa. — Parigi. L’Accademia francese ha accordato il premio Lambert a Gustavo Nadaud. Si sa che il premio Lambert è un segno di simpatia dato ad Uno scrittore distinto per talento e per indole. — Bruxelles. Alla camera dei deputati fu il primo corrente fatta interpellanza al ministro degli interni circa l’acquisto della Biblioteca del defunto Fétis; il ministro rispose assicurando che il governo negozia sul serio cogli eredi per l’acquisto, e che è sul punto di venire ad un accordo. — Lovanio. Il 3 corrente ebbe luogo al teatro De Bériot un gran concerto di beneficenza, preparato dalla Società La Melodia. La sala che può contenere circa 3600 persone era affollata; l’incasso raggiunse 4000 lire. Presero parte al concerto le signore Chelli-Boulo e Platteau, e i signori P. D’Hooghe, Tyckaert ed altri. NECROLOGIE — Altenburg. Fr. Nerger, maestro al teatro ducale, mori l’11 gennaio. — Pest. Carlo Benza, già basso buffo del teatro nazionale ungherese, morì a 69 anni. Sua figlia è la rinomata cantante Ida Benza. — Pietroburgo. Costantino Nicolajewitsch Ljadoff, antico maestro di cappella. SETTIMANA TEATRALE 11-17 febbraio. Teatro alla Scala. IL Aida - Figlie di Chèope, ballo — 13. Il Giuramento - Figlie di Chèope, ballo — 14. Forza del Destino — 15. Il Giuramento - Figlie di Chèope, ballo — 16. Aida - Figlie di Chèope, ballo — 17. Il Giuramento - Figlie di i Chèope, ballo. Teatro alla Canobbiana. 11. Una notte a Firenze - Emma ed il genio della terra, ballo — 12. Le pecorelle smarrite - Emma ed il genio della terra, ballo — 13. Amleto - Emma ed il genio della terra, ballo — 14. Serafina la devota - Emma ed il genio della terra, ballo — 15. Amleto - Emma ed il genio della terra, ballo — 16. Celeste - Emma ed il genio della terra, ballo — 17. L’eredità d’un milione Emma ed il Genio della terra, ballo. Teatro Carcano. Ile 12. Rigoletto — 13. I Lombardi — 14 e 15. Un Ballo in maschera — 16 e 17. Rigoletto Teatro Re. 11. Raffaello Sanzio — 12. Le convinzioni di Giovanna — 13 e 14. Nerone — 15. Cause ed effetti — 16. Le convinzioni di Giovanna — 17. La Moglie Teatro Santa Radegonda. 11, 12, 13, 14, 15, 16 e 17. Kakatoa. POSTA DELLA GAZZETTA Signor G. Ar. — Udine. Come avrete visto nel numero scorso il Canzoniere e la Cronologia degli spettacoli della Scala non sono ancora pronti. Pazientate ancora per poco. Signor G. Tom- — Palermo. La vostra scrittura fu annunziata nel N. 4. Signor B. L. y. R. — Lecce. Abbiamo ricevuta la lettera del signor Ger e gli spedimmo la sua commissione. - Mandate pure, ma a patto di essere brevissimo. Sig. Pietro B.... — Torino. La vostra lettera in data del 5, recante la spiegazione delle sciarade e del rebus, non ei pervenne che il giorno 11, vale a dire quando la Gazzetta era già pubblicata. Una stretta di mano. Sig Camillo C... — Torino. La vostra poi non ei pervenne punto. Signor Sai... B... — Sessa Aurunca. È anche possibile un errore nostro; ma è assai più Tacile che la vostra lettera sia arrivata in ritardo, il che, pur troppo, è avvenuto, avviene ed avverrà più d^una volta senza ale’ina colpa nostra.. LOGOGRIFO. Sono di fiori o di spine intrecciato; Volere inesorato; Pulito e rilucente; Seguo i cari fantasmi della mente; Quello che avanza in me ritroverai, Se le mie cinque collocar saprai. SPIEGAZIONE DELLA SCIARADA E DEL LOGOGRIFO DEL NUMERO 5. EN-CICLOPE-DICO — RIMA-MARI Quattro degli abbonati, che spiegheranno il Logogrifo, estratti a sorte, avranno in dono uno dei pezzi enumerati nella copertina della Rivista minima, a loro scelta. Mandarono le spiegazioni esatte i signori: Angelo Vecchio (Pavia), dottore Ragazzi Pietro (S. Felice), Giuseppe Bagatti Vaisecchi (Milano), Alfonso Fantoni (Piacenza) ai quali spetta il premio. Il Logogrifo fu pure indovinato dai signori: B. Lopez y Rojo (Lecce), Cesare Cavallotti (Vicenza), Salvatore Botta (Sessa Aurunca), Orazio Zunica, Duca d’Alessano (Napoli) — e la Sciarada dai signori: E. Bonamici (Livorno), S. Saladini (Cesena). Editore-Proprietario, TITO DI GIO. RICORDI. Oggioni Giuseppe., gerente. Tipi Ricordi. — Carta Jacob.