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54 GAZZETTA MUSICALE DI MILANO «Nel terzo atto dell’Aùfa si verificano le maggiori, le più flagranti disuguaglianze nello stile: alle cose le più nuove, le più delicate, oserei dire le più sublimi, succedono le più trascurate e volgari. Siamo sulle rive del Nilo; la musica è di stile descrittivo, alla Feliciano David; c’è la calma delle belle notti d’estate in Oriente, c’è l’aleggiare delle brezze notturne, il mormorio del gran fiume serpeggiante fra gli scogli: questo bel effetto è ottenuto con un semplice ma non facile arpeggiare dei violini, che poscia con una nota tenuta accompagnano la melopea religiosa interna, di colore stupendo; è una melodia indeterminata, poetica, ideale. Verdi rade volte scrisse una pagina di musica di maggiore, nè di eguale elevatezza. j «Delle stesso genere è la seguente romanza di Aida, un po’nelle forme di J una berceuse orientale. Il pubblico non l’ha ancora bene apprezzata, ma finirà per gustarla. La precede un preludietto degli istrumenti di legno, ripetuto alternativamente colla voce. Il pensiero melodico (0 cieli azzurri) è molto, vago, ma fino e delicato, ed è bellissimo quel do diesis sfumato che inter-! rompe per un istante la tonalità minore. La frase si rinforza sulle parole o verdi colli, e qui è palese una reminiscenza del Trovatore, bene dissimulata però sotto un velo di note sommesse e mormoranti nell’orchestra. Ed eccoci । con rapido contrasto ad un gran pezzo ispirato, drammatico, appassionato, il ■ duetto fra Aida e il padre: Verdi qui ebbe a frotte le ispirazioni, un ardore ’I giovanile lo animò, lo eccitò a scrivere questa lotta fra l’amore, il dovere, la gelosia, l’affetto di patria, tutte le passioni del cuore umano. «Il primo motivo di Amonasro è già una carezza, è proprio il profumo; delle foreste imbalsamate, cui promette di fai* rivedere alla figliuola. Ma a i| scuotere Aida queste seduzioni non bastano e allora Amonasro. rinnovando J gl’impeti di Nelusko, le pone dinanzi agli occhi il furore delle egizie coorti,!| le stragi, le città distrutte, la patria conculcata. Nella- frase flutti di sangue scorrono c’è una lieve ricordanza, più che altro di stile, del Ballo in maschera. ’ «Quando Amonasro invoca l’ombra della madre d’Aida, dalle scarne braccia, । l’effetto di terrore nella musica è all’apogeo. Il duetto poi finisce meglio che ogni altro pezzo dell’opera con un andante assai sostenuto, dove le voci, e -I l’orchestra insieme coi suoi gemiti, parlano un linguaggio drammatico della J più terribile e straziante efficacia. Il baritono canta una bella melodia (Pensa ■ che un popolo), e i violini salgono e salgono con un gemito continuo, affasci- p nante. Questa è l’arte senza eccezione.» Di egual merito non è il duetto successivo fra tenore e soprano, Aida e: Radamès. Già la prima frase in do (Pur ti riveggo, mia dolce Aida) ha gli; andamenti a terzine, e l’enfasi della vecchia maniera. E notevole invece l’ac- j compagnamente di trombe nella frase di passaggio. Poscia si passa all’adagio, ’ ch’è bello, nuovo, di una rara eleganza, specialmente il pensiero che canta ■ Aida, così melodioso e strano nei suoi andamenti ritmici.... «in estasi beata ■ la terra scorderem.» La cabaletta è una vera cabaletta del vecchio stampo, fatta sopra un motivo acuto, spasmodico, che il Verdi ha cercato di coprire con dei giri armonici, ma senza riescine a farla piacere. E così dicasi del terzetto seguente, che contiene due altre frasi dello stesso genere, quella del tenore, Io son disonorato, e quella del baritono, No, tu non sei colpevole: musica d’altri tempi e d’altri pubblici, male incastonata in mezzo a tante e vere e serie bellezze. «Del quarto ed ultimo non c’è niente a dire che in bene: è addirittura j un capolavoro, e rade volte il Verdi, nel suo lungo cammino trovò ispirazioni ■ così belle, così gentili, espressioni drammatiche così giuste e terribili. Lo । stesso duetto fra Amneris e Radamès, che parrebbe un riempitivo, è invece j bellissimo: riposa tutto su quel motivo energico, che Amneris intuona la prima volta sulle parole Già i sacerdoti adunansi: un altro motivo di Amneris appassionatissimo è quello in re bemolle: «Ah, tu dèi vivere, sì, al! amor mio vivrai «La frase calorosa: È la morte un ben supremo, chiude degnamente questo bello squarcio drammatico. Crescit eundo! La scena del giudizio, per la gran fama di Verdi, è da aggiungersi al Miserere del Trovatore «Cominciando dal primo accenno del corale dei sacerdoti fino all’ultimo { urlo disperato di Amneris, in questo pezzo non c’è da aggiungere, nè da le-; vare una nota. «L’apostrofe poi d’Amneris ai sacerdoti quando ritornano dal giudizio è parimenti formidabile, ed è una vera ispirazione la frase ardente in la minore, che l’orchestra sprigiona con violenza dalle sue viscere, insieme alla debole voce del mezzo soprano. La perorazione: è traditor, morrà, chiude benissimo questo stupendo lavoro, in cui il sentimento del terrore e della disperazione è portato all’estrema sua espressione. «Nell’ultimo finale Aida e Radamès muoiono nel sotterraneo sottoposto al tempio di Vulcano, in mezzo agli spasimi del dolore e insieme all’estasi di un amore consacrato dalla sventura. E appunto l’-elemento estatico, paradisiaco che domina nella musica, appena circonfuso dalle misteriose melodie dei sacerdoti nel tempio, e dall’ultima eco delle danze ieratiche. Qualcuno avrebbe desiderato maggior orrore nell’espressione musicale di questa situazione, giacché dicono che a morire di fame in un cupo sotterraneo non c’è tanto da andare in estasi. «Io trovo però che il colore adottato dal Verdi è sussidiato da tale dolcezza e soavità d’ispirazione da non lasciar pensare ad anacronismo di sorte. Il motivo in sol bemolle: 0 terra addio, è proprio una cosa angelica, celeste; chi, trómba preferibile alle moderne per la qualità dei suoni, ma smessa perchè incomoda in orchestra. Anche la tromba romana antica era simile a questa; e i pittori che dipingono la Fama lo sanno benissimo. l’effetto è completato dal rimorso di Amneris, dal mesto salmodiare dei sacerdoti, dai suoni spiranti delle melodie danzanti, dall’ultima invocazione alVimmenso Fhtà, su cui lentamente cade il sipario. La musica è deliziosa, e l’effetto tale sul pubblico che mai si stancherà di udirla. «Non ho avuto torto di dire che le conversioni sarebbero molte e rapide non solo il successo cresce ogni sera, ma i più dubbiosi, i pili restii, incominciano a confessare che c’è molto di bello, che adesso incominciano a capire, a gustare la musica, e che in sostanza Y Aida è un grande operone, a cui è riserbata una lunga serie di nuovi e ripetuti trionfi. «Dopo la seconda rappresentazione il Pungolo scrive: «Pare proprio che le nostre previsioni sull’Aida non ei abbiano molto ingannato. L’esito della rappresentazione di ieri sera, non solo confermò, ma accrebbe straordinariamente il successo della prima, rivelando bellezze, intenzioni, pensieri che la sera innanzi erano stati offuscati dalla straordinaria aspettazione e dalle emozioni diverse che una prima rappresentazione di questo genere, genera sempre nel pubblico. «Abbiamo udito noi stessi alcuni di coloro che con una precipitanza di giudizio, veramente ammirabile per la sua disinvoltura, si erano affrettati a classificare il trionfo della prima sera come un grande successo di stima e come omaggio reso più all’autore che all’opera, ricredersi iersera e meravigliarsi delle scoperte che andavano facendo durante la rappresentazione. «L’applauso del pubblico raggiunse iersera, in tutti i pezzi, le proporzioni del vero entusiasmo: anche in quei punti, in cui giovedì sera, partiva più dal pensiero che dal cuore dello spettatore, proruppe fragoroso e spontaneo dall’animo suo. «I pezzi maggiormente applauditi furono, nel primo atto, oltre la romanza del Fancelli e l’aria di Aida, il bellissimo canto di guerra della prima parte e tutta quell’incantevole scena del tempio che parve iersera un vero miracolo di potenza drammatica e di colorito musicale e locale. Niente di più poetico di quella melanconica e ad un tempo soave melodia, che si ode dall’interno; nulla di più solennemente religioso di quelle preci dei sacerdoti bisbigliate sommessamente e alternate a quel poetico canto: nulla di pili caratteristico di quei riti, sotto forma di danze, a proposito dei quali dobbiamo una parola di sincera lode al Casati che compose i ballabili con tanto buon gusto e criterio storico; in guisa che ogni gruppo di quelle mistiche danze pare un basso rilievo d’un monumento egizio. «Non esitiamo a dire che questo pezzo è in sè stesso un capolavoro e lo crediamo destinato ad un successo ognora crescente.» Nel 2.° atto fu colta con particolare ammirazione la frase appassionata di Amneris, alle parole Vieni amor mio, mJ inebbria, che stacca così bene sull’accompagnamento dei cori e sul ballabile dei moretti. Il duetto che segue fra le due donne parve - iersera un pezzo nuovo ed il pubblico lo interruppe coi suoi applausi ad una bellissima melodia tutta passione che vi è nel mezzo. «La marcia non ebbe, neppur iersera, quel successo d’entusiasmo che le si aveva preconizzato e che ottenne al Cairo; ma il grande finale che segue, benché complicatissimo nella sua struttura, trasse dal pubblico unanimi grida di ammirazione. «Nell’atto 3.° l’aria d’Aida fu aneli’ essa meglio gustata e più applaudita: ma il pezzo capitale di quest’atto è il duetto tra Aida e il padre che ei sembrò, sin dalla prima sera, una delle più stupende creazioni di Verdi, e che iersera fu come tale acclamato dal pubblico. «Del successivo duetto tra Aida e Radamès, che alla prima rappresentazione, piacque assai poco, l’adagio bellissimo per commovente espressione fu così vivamente applaudito, che dopo di esso il maestro dovette comparire due volte al proscenio. «La stretta del medesimo e il terzettino che gli succede non modificarono la prima impressione che n’ebbe il pubblico che li giudicò assai inferiori all’elevatezza di tutto il resto dell’opera. «Del 4.° atto non parliamo; fu un applauso solo dalla prima all’ultima nota, un applauso tale che deve aver ricordato a Verdi il più bel giorno della sua vita di grande artista, l’entusiasmo del Nabucco.» E il Secolo dice: «Verdi nell’Aida ha fatto veramente un nuovo passo verso la musica del* l’avvenire? «Se l’avvenire esclude tutte le forme convenzionali, sì; se l’avvenire vuole l’espressione drammatica, la descrizione delle passioni, l’esame profondamente filosofico della situazione drammatica, sì; se vuole gli effetti orchestrali, sì; se vuole nuove combinazioni armoniche, sì; ma se l’avvenire esclude la melodia, no. HAida è piena di belle melodie, del bel canto italiano; e solo talvolta li ornamenti l’avviluppano, e non lo lasciano scorgere a bella prima come una gentile personcina di fanciulla entro il volume delle sottane delle trine e delle falde! «Verdi nell’Aida è il Verdi della Forza del destino, anzi è il Verdi del Rigoletto, ma vestito alla moda e da gran signore. Dall’AùZa è scomparso solo il convenzionalismo della antica scuola; ma quanto il Verdi ha, accettato da Vagner e da Gounod, è quanto poteva accettare rimanendo italiano. Noi rinunciamo volentieri ai soliti accompagnamenti di crome, ai soliti arpeggi; noi rinunciamo volentieri alle solite forme della cavatina e dell’aria; rinunciamo anche alle facili e disadorne cantilene che destano il piacere di un’ora: non rinunciamo però alle frasi melodiche, alla quadratura nostra e Verdi nelVAida non vi ha rinunciato mai.