Gazzetta Musicale di Milano, 1872/N. 39

N. 39 - 29 settembre 1872

../N. 38 ../N. 40 IncludiIntestazione 22 dicembre 2021 25% Da definire

N. 38 N. 40

[p. 319 modifica]anno xxvH. Jsr. 3 9 29 SETTEMBRE 1872 niKETTORE GIULIO RICORDI SI PUBBLICA OGNI DOMENICA FRANCESCO FÉTIS Sei settimane prima della morte di questo illustre maestro, dovendo parlargli di cose musicali, gli domandai un colloquio. All’ora convenuta mi presentai da lui e lo trovai nel suo bel gabinetto di studio, nel quale, si può dire, erano raccolte le più preziose ricchezze bibliografiche della nostra arte. Seduto dinanzi al suo leggìo, circondato di volumi in folio, di opere greche e latine, di manoscritti e d’una considerevole quantità di lettere, egli sfogliava un libro: mi feci lecito di domandargli a qual punto si trovasse la sua grande Storia della musica, i primi due volumi della quale erano già stati pubblicati. — «Il terzo ed il quarto volume sono redatti, ter«minati e spediti all’editore, mi disse egli. Il quinto «ed il sesto sono messi insieme, divisi ed in parte «redatti; del settimo e dell’ottavo ho riuniti e messo in «ordine i materiali. Non ostante i miei ottantacinque «anni, mi sento in forza per condurli a termine, e se «scomparissi dal mondo prima di finirli, il mio caro «figlio Edoardo non incontrerebbe alcuna difficoltà a «dar loro l’ultima mano. «Tuttavia, un lavoro come quello, sovra tutto la «parte antica, ha delle attrattive sì costantemente «nuove che ho una vera passione a rileggere ciò che «ho fatto ed a ritornare su quanto ho già riassunto. «Così, in questo stesso momento, leggevo un’epistola «di S. Paolo. La musica dei due primi secoli dell’era «cristiana è cosa molto diffìcile a schiarire. Man«chiamo di dati e vorrei ciò non di meno dilucidare «compiutamente, se è possibile, la quistione del canto «nelle catacombe.» • — «Mio caro maestro, mi permisi di rispondergli, «per caso, fu appunto questo il soggetto d’una con«versazione che ebbi con un dotto belga, membro «della Società dei Bollandisti e versatissimo in tutte «le quistioni sulle quali dà il suo giudizio. Ora, il «padre Remy De Buck mi ha detto che nulla può «trovarsi di nuovo oltre a quello che già si cono«sceva sul canto delle catacombe e che si perderebbe «inutilmente il tempo a voler fare nuove indagini». Entrai di poi in certi minuti particolari, che sarebbe troppo lungo ripetere, ed il signor Fétis: — «Bene! abbandoniamo allora le epistole di S. Paolo. «Sono contento di conoscere il riassunto di questa «conversazione col vostro amico. Contava occuparmi «per parecchi giorni nella ricerca del significato di «talune frasi rispetto alle mie teoriche; ma alla mia «età, caro signore, i giorni sono anni ed il tempo mi «è così prezioso, che mi tocca correre prestamente!» Confesso che queste ultime parole, pronunciate con voce commossa, mi scesero al cuore e non potei trattenermi dal pensare immediatamente a quel gran numero di giovani oziosi, che ingombrano le nostre città, trascinano la loro inutilità per le vie e sui baluardi e non sapranno mai che cosa sia sprecare il loro tempo. Fétis, non è trascorso che un anno, lavorava ancora otto o dieci ore per giorno. Così si può dire ch’egli • è morto sul campo di battaglia. La sola sua invincibile persistenza nello studio spiega l’immensa quantità di opere che ha lasciato e che non si potranno mai credere fra un secolo il prodotto di un solo uomo. Riassumiamo in poche parole la sua lunga carriera. I i 25 mai zo 1 /84, fìllio d’un organista, professore di musica e direttore di concerti, dimostrò fin dalla più tenera gioventiì straordinaria disposizione alla musica. A nove anni era organista del Capitolo nobile di Sainte-Vaudru. All’età di quindici anni sapeva il latino ed aveva di già scritto parecchie opere notevoli fra cui una messa ed uno Stabat per due cori e doppia orchestra. Nel 1800 fu mandato a Parigi; inscritto nella classe di Rey al Conservatorio, imparò l’italiano ed il tedesco e vi ottenne il primo premio di armonia l’anno seguente. Nel 1803 intraprese i suoi primi viaggi all’estero e rientrato a Parigi fece un lavoro comparativo fra i vari metodi di composizione, studiò specialmente i maestri tedeschi, Bach, Handel, Mozart, Haydn, analizzò Catel, Rameau, Kirnberger, Albrechtsberger ed incominciò le sue ricerche sulla teorica e sulla storia della nostra arte. Pubblicò in questo mezzo qualche pezzo d’insieme presso Le Moinne. Sviluppò in seguito i suoi studi sulla scuola italiana così profana che sacra, e Zarlino, Zacconi, il padre [p. 320 modifica]322 GAZZETTA MUSICALE DI MILANO A G

Aulì M I Martini, Paolucci camminarono di pari passo nelle sue investigazioni con Palestrina, Monteverde e con i maestri del teatro moderno, Cimarosa, Paisiello. Cherubini, Gluck e Piccinni. Aveva solo tredici anni meno del suo illustre compatriota Grétry e si può dire che fu testimonio dei trionfi di questo genio. E nel 1806 che sposò la nipotina del cavaliere di Keralio, donna colta, di spirito attico e di eletta natura, autrice di una buona traduzione History of Music di William G. Stafford aumentata di note e di aggiunte. Quest’edizione venne a sua volta tradotta e pubblicata in tedesco a Weimar nel 1835. Per più di cinquant’anni la signora Adele Fétis fu la compagna inseparabile dell’uomo eminente che le diede il suo nome, associandosi a’ suoi lavori, alle sue pene, alle sue gioie e pigliando così larghissima parte a tutte le commozioni della sua vita. ‘Gli artisti ed i numerosi amici della famiglia Fétis, che, nel 1856, assistettero a Brusselle nella chiesa di N. D. du Sablon,. alla messa giubilare di questi venerandi sposi, non poterono ammirare senza commozione i due robusti vegliardi prosternati a piedi dell’altare attestanti colla loro forza e col loro vigore che non è il lavoro che uccida. Datano dal 1806 i primi lavori di Fétis nell’importante questione della ristaurazione del canto pieno romano. In questo mentre preparò pure la pubblicazione d’un giornale musicale, i primi saggi del quale non avevano potuto riuscire nel 1804 per le condizioni del tempo. In questo lavoro è giuocoforza limitarci; ma i lettori sanno benissimo che la Rivista musicale del signor Fétis, seguita dalla Rivista e Gazzetta musicale, doveva divenire più tardi una collezione immensa, una vera biblioteca da benedettino. Questa pubblicazione avrebbe bastato da sola alla fama d’un musicologo e ciò non di meno che cosa è dessa comparativamente a tutto ciò che è uscito in settantacinque anni dalla penna feconda del suo autore? Nel 1811, in seguito a rovesci di fortuna che spiega nella sua Biografia universale dei musicisti, Fétis si ritirò in campagna, nelle Ardenne, ove visse per circa tre anni lontano da qualunque centro musicale ed è là che scrisse la messa eseguita nel 1856 alla chiesa del Sablon a Brusselle, quivi altresì, secondo che racconta egli stesso, coltivò gli studi filosofici e si preparò bel bello a quanto doveva poi divenire la sua introduzione filosofica alla Biografia universale. Nel 1813, fu nominato organista della collegiale di Douai e professore di canto e d’armonia alla scuola municipale di musica di questa città. Egli confessa che una tale posizione gli fu immensamente utile per addimesticarsi nello studio dei gran maestri organisti e per gettare le basi del suo libro (che credo incompiuto) della Scienza dell’organista. E altresì in questa scuola che fece i suoi studi preparatorii sui diversi solfeggi, che pubblicò più tardi, l’ultimo dei quali: Metodo dei metodi di solfeggio, si pubblica ora presso T editore Schott di Brusselle. Quivi, finalmente, generalizzò i suoi lavori sull’armonia, verificò nuovamente i sistemi antichi e moderni e diè principio ad un trattato, i cui primi fogli furono stampati nel 1819 da Eberhardt. L’opera, ridotta ad alcune principali proposizioni, non vide ciò non di meno completamente la luce che nel 1824 sotto il titolo di Metodo elementare d’armonia e d’accompagnamento, di cui esiste una traduzione italiana eseguita a Napoli ed un’altra inglese fatta da Biskop a Londra. Se aggiungo a questi particolari che la Biografia universale, della quale si sono fatte due edizioni ed una terza del tutto rifatta, fu incominciata in quel tempo, non parrà esagerato quanto Fétis racconta del suo soggiorno a Douai: «che eMi vi lavorava renoCO O o larmente da sedici a diciotto ore per giorno.» E questo dai 22 anni a 31! )Ç. CAV..^AN JJcewyck. Rivista Milanese Sabato, 28 settembre Rabagas! Tutta la settimana è riassunta in questa parola. Se ne parlò prima che andasse in scena, se ne commentò il probabile successo, si disse ad una voce che Sardou col proprio lavoro non poteva aver preso di mira se non il suo paese, che in Italia quella satira si spunta, che farebbe torto al partito liberale chi mostrasse di esserne ferito, e tante altre belle ed ottime cose. Alla vigilia della rappresentazione si parlava di scandali che avrebbero a succedere, di chiusura di teatro, ecc. e un’ora prima che si tirasse su il sipario nessuno più dubitava invece che si andrebbe alla fine allegramente, senza inciampi di sorta. Non imbroccarono giusto nè gli ottimisti nè i pessimisti; in generale il pubblico era contegnoso, severo, non applaudiva nemmeno ai frizzi e alle arguzie di buona lega; tutti, monarchici, repubblicani, conservatori, oppositori s’erano dati al partito degli indifferenti; ma ciò non ostante una dozzina di giov inotti, colla testa calda, non piena che di buone intenzioni, si ostinarono a intendere a modo loro il Rabagas, a vederci entro un’ingiuria a tutto il partito liberale, a Garibaldi, ai repubblicani; erano venuti per fischiare e fischiarono, volevano fare schiamazzo, e se ne cavarono il gusto e se ne fecero una festa. Lascio in disparte la vecchia quistione del modo delle disapprovazioni, chè il pubblico di Milano in generale (parlo del pubblico che va ai teatri e non di quello che di solito sta alla taverna) sa come si dee condannare una commedia ed un autore; e torno al Rabagas. Chi è codesto figuro? È un faccendone, un avvocato intrigante, senza coscienza, che fa l’opposizione arrabbiata per appetito dell’offa, che avutala, volta le spalle ai cenci che gli dan del tu, e da repubblicano feroce, diventa conservatore, meglio o peggio d’un questore, dopo aver aizzato il popolo alla rivoluzione, avute le redini in mano, lo fa caricare dalla cavalleria. I giornali hanno detto che Rabagas è francese; codesta è una vana adulazione agli Italiani ed una gratuita ingiuria ai Francesi; è un confoiìdere, per desiderio di non far quistioni, l’uomo co] partito. Se dite: «in Rabagas si specchia un partilo liberale francese,» offendete il partito liberale italiano, il quale non vuol poi bere si grosso da accettare la grazia che gli sr fa. La cosa va posta nel vero altrimenti: nossignori, Rabagas non è nè francese, nè italiano, nè turco, nè repubblicano nè conservatore; è semplicemente Rabagas, vale a dire un soggettaccio di tutti i tempi, di tutti i luoghi, di tutti i partiti, una banderuola che ha la maschera del tribuno e quella del cortigiano, e un solo culto - il ventre! Se di questi uomini in Italia, in Francia, in Egitto ve n’hanno, si arrabbino pure della mordente satira di Sardou, ma non tirino il partito liberale g [p. 321 modifica]GAZZETTA MUSICALE DI MILANO 323 nella loro berlina. Rabagas è un uomo, è un vizio, è una menzogna, è una bruttura sociale; è lo strozzino dei governi, il gesuita del popolo - è repubblicano e monarchico; prima l’uno poi l’altro. L’appaltatore di popolarità e appaltatore di impieghi e di titoli è sempre la stessa persona. Or se i monarchici non se ne offendono dovranno offendersene i repubblicani? E perchè disputarsi il privilegio di tenerlo a battesimo? Chiamatelo Rabagas e non se ne parli più. Evidentemente i dodici fischiatori d’ieri non sono forti in logica. Se Rabagas non esiste, non bisogna riconoscerlo, se esiste bisogna applaudire il drammaturgo che lo ha posto in croce in faccia al pubblico. Del resto il componimento di Sardou non meritava neppure tanto chiasso; la politica fu sempre una cattiva musa, e il Rabagas è riuscito il peggior lavoro di questo elettissimo ingegno. La satira che a volte si aguzza bene e ferisce con garbo e nel vivo, è quasi sempre grossolana; dice cose vecchie in forma che di nuovo non ha se non l’esagerazione, e il tutto ha l’aria di due rabbiosi articoli di giornali di partiti opposti ed eccessivi, fusi insieme e stemperati poi colla matita d’un Teja di terz’ordine, in un cattivo numero del Pasquino o dello Spirito Folletto. Movimento non ce n’è, e quel poco che ei è nell’amore della principessa è freddo ed uggioso, e poi la tirannia della scena dà al voltafaccia e al contegno di Rabagas andature improvvise che saranno vere intimamente, ma false, giudicando da quello che si vede nel mondo. Al teatro dal Verme non si ha l’imbarazzo della scelta; gli Ugonotti, massacrati, rinascono per farsi massacrare quotidianamente; il pubblico che, dopo il ribasso dei prezzi d’ingresso, comincia ad essere più numeroso, si domanda quanto durerà quella carnificina di note. Del resto le ultime rappresentazioni valgono assai meglio delle prime; l’orchestra diretta dal Maggi è un po’ più docile e i cori stonano meno di frequente. Ottimamente sempre i conjugi Pozzoni-Anastasi, il Barrè e la Brambilla; bene il nuovo basso Della Torre nella parte di SaintBris. Del basso Scaria mi son fatto miglior concetto nel riudirlo; la‘sua voce mi è parsa più eguale e il suo canto più sicuro; interpreta la parte di Marcello con arte. E promessa la Favorita colla Galletti, ma la Galletti è ammalata. Guarirà? io gliel’auguro di cuore, ma mi ricordo la famosa storta al piede! Se non avremo la Favorita, avremo almeno presto il Dallo in maschera, colle signore Saar e Rizzarelli, col tenore Boetti e col baritono Valle. L’impresa ha scritturato un nuovo maestro concertatore e direttore d’orchestra, il signor Kuon. La Scala ha chiuso le sue porte, dopo una stagione abbastanza fortunata. Al Carcano andrà in scena quanto prima la Maria di Rohan. Il teatro Milanese vanta un nuovo trionfo: Nodar e Perucchée di Carlo Righetti. E una commediola piena di brio, deboluccia nel terzo atto, ma molto bene in gambe nei primi due. A FALLA RINFUSA

  • Giorni sono venne celebrato a Gand il matrimonio del signor Gevaert,

editore di musica, culla signorina Emilia Gevaert sorella del direttore del Conservatorio reale di Brusselle. Dopo la cerimonia civile, la benedizione nuziale venne celebrata nella chiesa di Saint-Bavon. Questa cerimonia, alla quale assistevano i numerosi amici della famiglia, presentava una particolarità molto notevole: gli sposi portavano il nome di Gevaert; i quattro testimoni si chiamavano Gevaert; la dama d’onore era pure una Gevaert; finalmente il curato che uffiziava, era altresì un membro della famiglia e portava il nome di Gevaert. Crediamo che mai alcun matrimonio offra coincidenza di nomi così bizzarra, come questo.

  • Il compositore Siegfried Saloman consegnò al R. teatro di Stoccolma

una nuova opera in cinque atti, Il fuggitivo di Estrella.

  • Il sig. Strange, al quale il Figaro, il Gaulois, ecc., hanno parecchie

volte attribuita l’idea di acquistare il teatro Lirico e lo Châtelet di Parigi, fu dichiarato a Londra in fallimento. Il passivo monta a 39.400 lire sterline, ossia a 985,400 lire; l’attivo a 115 lire sterline ossia a 2875 lire. I creditori, dopo una discussione molto viva accettarono uno scellino per ogni lira sterlina (25 soldi) pagabile entro 21 giorni. I caffè e i teatri-concerti prosperano tanto a Parigi che a Berlino, anzi pare che in quest’ultima città siano molto più numerosi e forse più bassi. Ecco la descrizione che ne fa il signor Giulio Claretie. Berlino ha teatri, nei quali si fuma, Rauch-Theater che non sono i caffè concerti di Parigi. Il Belle-Alliame-Theatre è il più notevole di questi teatrifumatori (traduzione letterale). L’arte si dibatte come può in siffatte sale da fumare. Ma, cosa più curiosa, una specie di bugigattolo sontuosamente addobbato, l’Orfeo, contiene un teatro, la Reunion-Theater, nel quale si rappresenta di tutto, drammi ed opere, Riccardo III di Shakspeare o la Favorita di Donizetti, mentre a pochi passi si balla in maglie, e donne sedute sopra un enorme velocipede mostrano [la loro nudità agli avventori di codesto strano ballo. I teatri giardini sono altresì molto numerosi.

  • Da Nischnei-Nowgorod viene la notizia d’un fatto spaventevole colà

avvenuto il l.° del corrente. In occasione della fiera, grande era il concorso dei forestieri, e il teatro era ogni giorno affollato. Intere legioni di ladri da Pietroburgo e da Odessa erano arrivati, nella speranza di un ricco bottino; costoro fecero la loro prima visita, elegantemente abbigliati e in corpore, al teatro. Parte dei birbanti occupò i palchi, gli scanni chiusi e le gallerie; altri i corridoi e gli atrii. Durante la rappresentazione si udì d’improvviso un fondo alla platea un colpo sordo, subito dopo un secondo, un terzo e infine lo scoppio d’un’arma da fuoco, poi per tutto il recinto si diffuse un fumo mordente. La confusione che ne seguì è indescrivibile. Tutti si dirigevano alle porte d’uscita, ma la gran massa di gente non poteva muoversi, perchè i ladri dopo aver chiuso tutte le uscite, si diedero a vuotare le saccoccie. a prendere orologi, braccialetti, orecchini; la confusione era tanto grande che tutti si altercavano vicendevolmente non essendo dato distinguere i ladri dai galantuomini. La stessa confusione regnava sul palco scenico; le attrici erano cadute in deliquio. Tre quarti d’ora durò quella scena di orrore; e soltanto quando il governatore intervenne colla truppa, i ladri se la svignarono. Oltre il danno materiale vi furono 7 morti e molti feriti. 4^ La Direzione, Amministrazione ed Agenzia del nostro gaio confratello, Il Trovatore, furono trasferite nel Corso Vittorio [Emanuele, N. 15. Primo piano, Gran Mercurio,

  • L’opera Mazeppa, accolta freddamente la prima sera alle Follie Drammatiche

di Parigi, nelle successive rappresentazioni ebbe miglior fortuna. Furono fatte importanti cancellazioni al libretto che riesci perciò migliore; la musica del signor Pourny è maggiormente gustata.

  • Si attribuisce al sig. Hostein, direttore del futuro teatro della Renaissance

di Parigi, l’intenzione di dare alla musica una parte nella sua speculazione. Insieme colla commedia di carattere e di genere drammatico leggero, farebbe rivivere l’antica commedia ad ariette, il prototipo dell’opera comica. 5^ I lavori del nuovo teatro d’Opera di Parigi sono proseguiti con tutta l’alacrità concessa da un bilancio molto ristretto. Si crede che la parte architettonica dell’edilìzio potrà essere condotta a termine verso la fine del venturo anno. Dai calcoli del progetto vi sarebbero ancora da spendere 5,400,000 lire per terminare del tutto il lavoro; ma la commissione del bilancio, nel suo rapporto sui crediti dell’esercizio 1873, ha proposto di fare alcune economie che ridurranno la spesa a soli 3,654,000 lire. ¥ Il pianista compositore F. Schoen ha testé ricevuto dal Re di Spagna la croce di commendatore dell’ordine di Carlo III. La società La Lyre moulinoise, al concorso di Nevers, 15 settembre, ha riportato il primo premio di canto ed il premio d’onore fuori concorso di armonia. Essa doveva dare il 21 un concerto a Moulins, col concorso del comico Armand des Roseaux e della cantante signorina Jenny Eyrol, i quali dovevano rappresentare un’operetta in un atto di Wekerlin: Tout est bien qui finit bien.

  • L’editore di musica Bessel, di Pietroburgo, ha ottenuto la gran medaglia

d’oro all’esposizione di Mosca, oltre un diploma eccezionale accordato dal governo russo. Egli annunzia la prossima pubblicazione d’un giornale musicale.

  • A Berlino il vasto stabilimento lirico di Kroll, nel quale si danno ora

rappresentazioni d’opera molto frequentate, deve, per quel che si dice, venir quanto prima demolito. Il terreno su cui è costrutto appartiene alla corona, e fu scelto per edificarvi un nuovo Parlamento. Il signor Goldmark da Vienna ha terminato un’opera La Regina di Saba^ intorno alla quale lavorava da sei anni, e l’ha consegnata alla direzione dell’opera.

  • Nei due concerti che ebbero luogo ultimamente a Spa, si fece sentire

la signora Escudier Kastner, la signorina von Edelsberg, i signori Jourdan, Reuschel e Berthelier; indi la Legia. Questa società è sapientemente ed appassionatamente diretta dal signor Radoux, autore di opere rappresentate a Liegi ed a Bruxelles. [p. 322 modifica]324 GAZZETTA MUSICALE DI MILANO

  • Il signor Emilio Mendel annunzia nel Paris-Journal che uno dei più illustri

ed intelligenti antiquari francesi ha testé fatto l’importante scoperta di due splendidi arazzi antichi dei Gobelins rappresentanti l’uno il 4.° atto del Rolando di Piccinni, l’altro il 3.° atto dell’Armida, di Gluck. I personaggi vi sono raffigurati quasi in grandezza naturale e sono meravigliosamente belli. Il Conservatorio di Lione s’aprirà il l.° ottobre prossimo, sotto la direzione del signor Edoardo Mangin. Gli studi vi saranno regolati in conformità dei programmi del Conservatorio di Parigi. Nella banda musicale del 78.° Reggimento fanteria, è rimasto vacante il posto di Capo-musica. S’invitano coloro che vi aspirassero, a presentare le loro domande, corredate dai documenti prescritti e dai titoli comprovanti l’idoneità al Consiglio d’Amministrazione del Reggimento, in Cuneo.

  • Il Municipio di Bellinzona (Svizzera) ha aperto il concorso al posto di

maestro della Scuola musicale e della Banda di quella città. — L’onorario è da’1200 ai 1500 franchi annui, oltre a qualche provento.

  • Due opere nuove verranno poste in iscena nella prossima stagione al

teatro Garibaldi di Palermo: una del maestro Giovanni Avolio, Rosetta la giardiniera; l’altra del maestro Gaetano Impallomeni, Dianova o Gli amanti fiorentini. > La città di Castrogiovanni (Sicilia), ha decretato di innalzare due busti in marmo, ad onore di due suoi concittadini: i maestri Coppola e Chiaromonte.

  • Vediamo annunziata la prossima pubblicazione in Torino di un nuovo

giornale politico-umoristico e teatrale, Il Mago.

  • La Repubblica di San Marino, ha nominato cavaliere il professor Carlo

Montanari, uno fra i migliori maestri del R. Istituto musicale di Parma ed autore di.uno stimato studio per contrabasso.

  • Al teatro di Casale si vuole nell’autunno mettere in scena una nuova

opera, Carlo il temerario del maestro Geremia Piazzano, direttore della Cappella di S. Gaudenzio in Novara. CORRISPONDENZE ROMA, 18 settembre. Roma coput mundi — Mastro Jacovacci ed i suoi scritturati — Promesse d’Apollo — Promesse dal teatro Valle — Rabagas. (Ritardato) Se fra la mia ultima corrispondenza e la presente sono passate alcune battute d’aspetto, non me ne vorrete muover rimprovero. Roma caput mundi è invece la coda dell’arte musicale, e da parecchie settimane non abbiamo avute novità di sorta. Ora son venuti a ridestarci i manifesti di Mastro Jacovacci, il quale aprirà le sue porte, o per dir meglio, quelle del suo teatro Apollo, la sera del 28 corrente. Già gli artisti sono alla piazza (stile teatrale) e se qualcuno ancora ne manca, non tarderà a fare il suo ingresso nella città dei Cesari, dove tremendo echeggierà il suo si bemolle. È giunto il Bulterini che vogliamo sperare sia ristabilito dalla indisposizione che gli vietò di terminare le rappresentazioni a Udine; è pure fra noi il tenore Ambrosi proveniente da Stoccolma e accompagnato dalla sua maestra di canto, la signora Candiani. E cosi vi potrei nominare tutta la falange canora che avrà l’arduo incarico di ristorarci le orecchie nel prossimo autunno. Povere orecchie! ora sono lacerate dalle voci degli strilloni, alias venditori di giornali che spacciano la loro merce per le vie di Roma, e dai tromboni della Guardia Nazionale che suonano il solito concertone il giovedì e la domenica. Sotto quali auspici si presenta la stagione dell’Apollo? L’elenco degli artisti di canto racchiude nomi rispettabili. Il teatro si aprirà col Ruy Blas del Marchetti, opera che conta molti trionfi e pochi capitomboli, fra i quali uno solenne che le toccò qui a Roma, or fa un anno e mezzo. Si disse che allora era caduta per l’infelice esecuzione, e son disposto a crederlo. Ma non vorrei che altrettanto avvenisse questa volta. Il Maurel è artista superiore ad ogni esigenza, ma non credo che la Giovannoni sia veramente la cantante che si richiede in quest’opera. Quanto al Bulterini l’ho udito altrove, precisamente nel Ruy Blas e non ei faceva una brillantissima figura, mentre invece era applauditissimo, e meritamente, in altre opere. Vi è adunque pericolo che con un pregevole spartito e valenti artisti, non si ottenga il desiderato successo, o per incompatibilità d’umore fra questi e quello si abbia un matrimonio poco felice tra l’opera e i suoi interpreti. Del resto mi rassegnerei volentieri ad essere falso profeta. Al Ruy Blas terrà dietro la Mignon, novità per Roma, nella quale esordiranno la Sainz e l’Ambrosi; poi il D. Carlos, con la Pantaleoni. la Giovannoni, il Bulterini, il Maurel ecc. E finalmente l’opera nuova del maestro Libani, il Conte Verde, libretto del D’Ormeville tratto dalla storia di casa Savoia. Il Libani è un giovine simpatico, studioso, molto amato e stimato nella società romana. Nulla conosco di questo suo spartito per potervene dar contezza, ma ho udito qualche anno fa a Firenze un’altra sua opera, Gulnara, che non poteva dirsi felicemente riuscita, ma rivelava nel suo autore un giovine d’ingegno. Fra breve si aprirà con spettacolo musicale anche il teatro Valle. Ma F impresa commette l’errore imperdonabile di rappresentarvi opere serie e grandiose, Poliuto e Attila, mentre il Valle sarebbe convenientissimo per le opere buffe e di stile leggiero. E notate che fra gli impresari mi dicono vi sia pure un buffo, il Papini! Costoro fanno grande assegnamento sul tenore Gulli, ch’era il Mario, il Tamberlich, il Rubini del Politeama romano nella scorsa stagione. Le prime donne saranno due; la vezzosa Maraldi ed una delle tante Brambilla sparse per l’orbe teatrale. Che il cielo la mandi buona a questo spettacolo che vorrebb’essere grandioso in un teatro in miniatura, ma temo assai che sia una speculazione sbagliata. Al Politeama abbiamo i cavalli e le amazzoni del Ciniselli. Per chi si diletta di siffatti spettacoli, la compagnia Ciniselli è il non plus ultra; al Capranica dà un breve corso di rappresentazioni Alamanno Morelli, con la sua schiera di valenti artisti, la Marini, il Maione, il Bassi ecc. Il manifesto prometteva un buon numero di novità. Il famoso Rabagas tanto contrastato ebbe già l’onore di due rappresentazioni. Alla prima vinsero gli applausi, alla seconda superarono i fischi del partito rosso che si è riconosciuto in Rabagas e si mostra furente di essere ritratto così al vivo. Avrebbero fatto meglio di non darsene per intesi; la bile che hanno sfogata in teatro è prova lampante che l’autore della commedia ha colpito nel segno. Del resto questo Ragabas, ove se ne tolga la satira politica assai felicemente riuscita, non è un capolavoro. I due ultimi atti sono debolissimi, ingarbugliati e difficilmente potranno ottenere venia presso un pubblico buongustaio. La stessa compagnia rappresentò Carmela, dramma del Marenco, nuovo per Roma. Splendida forma, ma soggetto vecchio ed azione fredda. Ora si aspetta un’Agnese del Cavallotti, ed il Ridicolo di Paolo Ferrari. Di quest’ultima produzione corrono voci favorevoli; l’autore verrà egli stesso a metterla in scena. Vi ho riassunto a mo’ di bollettino la situazione teatrale a Roma. Fra pochi giorni incomincerà la grande stagione musicale e drammatica, ed allora il vostro corrispondente si desterà davvero dal lungo sonno. Se oggi vi è parso ancora per metà addormentato, siategli cortesi di benigno compatimento. fiGENOVA, 24 settembre. La Norma al Doria — Un tenore fischiato — La Norma e il porco — Serata di beneficenza — Bacigahippo — Monleone — Ruzzino — Festa dei lumini — Rabagas al Politeama genovese — il pubblico sovrano — Cancan inutile. Vi scrissi che l’impresa del teatro Doria avea preavvisato la Norma colla valente artista Fanny Scheggi, e questo annuncio fece si che nella sera del 14 andante il teatro fosse affollato per udire le magiche note di Bellini. Dopo la sinfonia, che fu applaudita, ed il coro d’introduzione eseguito un tanto al braccio, il pubblico cominciò a fare il viso dell’armi al tenore Pietriboni, il quale sino alla fine dell’opera cantò con accompagnamento di fischi, ben meritati, sì pel genere della sua voce che per il metodo di canto e per l’azione. La cosa recò danno agli altri artisti a cui non poteva piacere di assistere impassibili alle disapprovazioni dell’uditorio. [p. 323 modifica]GAZZETTA MUSICALE DI MILANO 325 Nella successiva sera fu riprodotta la Norma col tenore Bonacih, il quale raddrizzò la barca, e le divine melodie del cigno Catanese poterono essere gustate guadagnando qua e là segni di approvazione agli artisti, i quali, sebbene per intonazione e concerto lasciassero a desiderare molto, pure fecero abbastanza del loro meglio per avere da un pubblico indulgente replicati e fragorosi applausi. L’Adalgisa fu la signorina genovese Amalia Oneto di cui altre volte vi parlai, e che possiede poca ma ben educata voce. Ad ogni modo la Norma attirò molti biglietti alla cassetta dell’impresa la quale può ben dire con quel maestro di musica parente del Bellini: «La Norma de frate mio è come u puorco no se jeita niente! Il paragone è poco gentile ma è vero. Venerdì sera (20) nello stesso teatro vi fu una beneficiata per l’istituto Filarmonico Ligure. Vi presero parte gli artisti di canto e di ballo ordinari del Boria; la De Montelio e la Barbisan furono regalate di due bellissimi mazzi di fiori, loro offerti dalla Presidenza della Società. In quella sera feci conoscenza col signor Bacigaluppo, il quale esegui con maestria degna di un vero seguace di Paganini, una fantasia per violino di bella fattura, di difficile esecuzione. Un quartetto di Bauer per oboe, clarino, clarone e piano sui temi dei Vespri Siciliani mi piacque assai. Del maestro Monleone e sotto la sua direzione, si eseguì a piena orchestra una sinfonia, che fu ripetuta; in questa sinfonia, composta su canti popolari italiani, riconobbi il talento del compositore e del concertatore, ma io pretendo dal signor Monleone qualche cosa di propria invenzione che riveli il suo talento di maestro. Del maetro Buzzino, capomusica del 54.°, si suonò una fantasia militare, di cui si volle il bis, colle due musiche della Guardia Nazionale e del 54.°. Questa fantasia è modellata sulla famosa Battaglia di S. Martino del Brizzi, ha però il pregio del grande effetto e di qualche novità nell’assieme, quatunque il finale sia alquanto meschino e non risponda al resto. La serata fu brillante. La successiva sera, 21, mentre i pacifici cittadini di Genova accorrevano nella via di S. Vincenzo ad ammirare la luminaria preadamitica che si faceva in onore di N. S. della Salute, e al Doria ove si ripeteva tranquillamente il. Rigoletto, scene d’altra natura succedevano al Politeama, dove a beneficio della signora Cesira Monti, si rappresentava Rabagas di Sardou. All’annuncio di tale produzione, un partito che non so come chiamare, sobbalzò come scattato da una molla e cercò dì far pressione sul capocomico perchè non desse un tal dramma, ma non essendo riuscito il disegno, divisò di far cadere la produzione. L’aspetto del teatro sabato sera era imponente; il pubblico di ogni genere era convenuto per curiosità ad udire il nuovo lavoro dell’autore della Fernanda. Il primo atto venne recitato frammezzo agli urli ed ai fischi dei pochi che eransi colà recati con premeditata intenzione di non lasciar finire la recita. Queste dimostrazioni della parte minore degli spettatori fece reagire la maggioranza che non volle essere soggiogata da pochi. Al pubblico vero non garbò di ricevere una patente di inciviltà, e perciò volle che la produzione continuasse, e l’autorità, che saggiamente era intervenuta sul palcoscenico, invitando il pubblico a dichiararsi, fece rispettare il voto dei più. Non è la prima volta che io biasimo questi scandali in teatro, e devo ancor ripeterlo; allorché una produzione non piace e non accomoda, o non si va, o si esce dal teatro e non si disturbano gli altri. Forse il Monti ad imitazione del Morelli e del Belletti Bon, replicherà il Rabagas, non lo credo e farà bene. A chi domandasse se il Rabagas meritasse tante dimostrazioni, risponderei francamente No. Vi han quei che vogliono trovare nel Rabagas allusioni offensive a Garibaldi. Cotesti, si, offendono Garibaldi, ma non già la produzione di Sardou. Di grazia nella storia delle Nazioni non vediamo migliaia di capitani di ventura che si vendono? E mi si dica se uno fra i nemici accaniti di Garibaldi gli ha mai fatta colpa d’essere interessato? Sardou non avrebbe forse invece voluto mettere in iscena Lamoricière, ultimo esemplare dei Capitai! Fracassa? Me lo credano gli opponenti, l’oro non teme macchia, e l’alito impuro non appanna il terso cristallo. Del resto si voleva il Delenda Rabagas prima di udirlo; si commisero inciviltà e, inalberando la bandiera della libertà, si voleva far pressione senza aver in mente che la prima cosa che devesi praticare da gente libera ed educata, è la tolleranza. Ascoltate il Rabagas a sangue freddo e poi giudicatelo, e se lo merita fate anche l’auto-da-fe, che ne avrete il diritto. p-r rLONDRA, 24 settembre. Il festival di Norwich — Tre cantate — Il Messia — Mario a Nuova Jork — Il teatro deli’ Opera Comique — Julius Benedici. Anc’e il Fes’vM di Norwich è un fatto compiuto; ma ad imitazione del suo p edecessore in Worcester non ha lasciato di sè trae ie imperiture. Molti, e in certi casi erculei, sono stati gli sfo vi fai,ti per a ict "are nome eterno al Festival di Norwich del 1872; ma sembra che il buon senso del pubblico sia tutt’altro che in c ecade nza, e i frequentatori del Festival di Norvich non hanno Y.utt- servir di puntello a costruzioni giornalisLc* e di ce’ebrbà, ’he non e^stono. Quel giovine maestro, signor Cowen, speranza e onore del’a famiglia numerosissima dei compositori inglesi, ha anch’esso tatto fiasco con la sua cantata. C ò è notevol ssimo, in quanto che al giovine compositore non sono ignot’i segreti della fortuna, che si bene conosce il suo amino e protettore signor Mapleson. Il Cowen ha fatto fiasc_- in mezzo a w; subisso di lodi! Que’.la gran stella nazionale, ch’è il signor Arturo Sullivan, rou sembra aver guadagnato splendore con la sua partecipazione al Festival."Era necessario che di lodi fosse sparsa la sua composizione; ma con tutta la potenza di quelle il suo nome non è più popolare di prima. Se le mie osservazioni sono esatte, sembra invece che la stella del Sullivan sia in decadenza. Una cantata del Macfarren ha riportato il maggior numero di voti favorevoli dell’uditorio; e come sarà data quanto prima in Londra rimetto a quel tempo la mia critica. La compagnia ambulante di Mapleson è tutta riunita in Londra e pronta alla campagna provinciale, che verrà nella settimana entrante inaugurata in Irlanda. Alla rappresentazione del Messia, e ai concerti della settimana nel Royal Albert Hall prendono parte la Titiens, la Sinico, la Marimon, Urna di Murska, e la Trebelli-Bettini coi signori Mendioroz, Borella, Campobello, Campanini, Agnesi, Foli e Zoboli. Notizie di Nuova York recano che Mario trovasi colà in eccellente salute, ed ha trionfato assieme con Carlotta Patti nella sala Steinway. Quel graziosissimo teatro ch’è Y Opera Comique, nello Strand, sarà quanto prima riaperto per la rappresentazione d’onere buffe inglesi. Alla testa della compagnia di canto sarà miss Julia Matthews, alla quale auguro successo e successo grande. Non è però incoraggiante il pensiero che Y Opera Comique, sebbene sia il teatro più elegante della metropoli, ha portato mala fortuna alle borse di quanti hanno sinora speculato su d’esso. Prima che me ne dimentichi devo dire una parola sulla direzione di sir Julius Benedict al festival di Norwich. Sir Julius è un veterano in Norwich, avendovi diretto il festival annuale da oltre venti anni. Nulla vi dirò dei meriti che distinguono il vecchio maestro come musicista e direttore d’orchestra — meriti che agli occhi degl’inglesi e dei signori di Norwich in particolare sono semplicemente illimitati. Ma tale è l’ammirazione per la persona, ch’è tutt’altro che bella, e per i meriti, che sono tutt’altro che illimitati, del nostro sir Julius Benedict in Norwich, che quei signori della città hanno nientemeno risoluto di farlo loro concittadino! Il brevetto di cittadinanza sarà fra breve presentato a sir Julius Benedict con la debita solennità in Norwik stessa! C. [p. 324 modifica]326 GAZZETTA MUSICALE DI MILANO VIENNA, 22 settembre. Le Corsaire noir, nuova operetta di Offenbach. Questa volta mo’ l’amico Offenbach si scavò da sè medesimo tre buoni piedi di fossa, in cui sotterrare il risuono onde echeggia il suo nome nel mondo delle comiche e musicali freddure. Venne tra noi in compagnia delle nove Muse, in forma di nove appendicisti o qualche cosa di simile, da Parigi, latore d’uno spartito nuovo di zecca, fatturato proprio per noi; vedete che ’ onore! e nel nostro suburbano della Wieden lo fè mettere iersera in scena con tutto lo sfarzo abbagliante i sensi, affascinante la fantasia di coloro, che di simili artifizi amano accompagnate le delinquescenze musicali. Venne contento di noi e ei portò il Corsaire noir, operetta in tre atti, libretto e musica, tutta roba sua. Fin qui il maestro colognese segui classiche tradizioni; anche del Mozart si racconta, che, lietissimo del successo riportato col suo Figaro a Praga, abbia detto: l’anno venturo ritornerò con uno spartito proprio per voi; e scrisse il Don Giovanni; e del Wagner si sa, che i suoi testi se li verseggia egli medesimo. L’Offenbach non volle essere da meno, e memore delle accoglienze avute, promise in cuor suo un’operetta ai buoni Viennesi. Ce l’annunzio di lunga mano, ce la portò, anzi ne ha in petto un’altra per il suburbano teatro Cari, pure in argomento di gratitudine per le accoglienze avute; ed ambedue, versi e musica, fattura sua, primizie interessanti sottratte ai suoi ammiratori parigini. Il Corsaire noir! Se a questo titolo v’immaginaste qualche cosa di romantico, di tragico, qualche rifrittura dello Shakspeare o del Byron, come uragani stridenti, battaglie navali, ratti di vergini o peggio, v’ingannereste a partito. L’Offenbach non è uomo da cercar ispirazioni fra tante diavolerie; avvezzo alle più eleganti brigate, attorniato da scherzi ed amori, cascante per spirito e lenocinii, non è uomo, vi dico, da temprarsi a simili robustezze. Giudicatene voi dal succinto ^he vi fo dell’ultima sua composizione. Un signor Lambrequin, possidente di Marsiglia, sordo e per giunta dilettante di musica, già per ventura sua tradito dalla sua bella che intanto si appigliò ad un signor Mistral, è divorato dalla smania di vendicare l’oltraggio onde ha trafitto il suo cuore. La traditrice ebbe regalato al marito due maschiotti che rispondono ai nomi di Polidor e di Leon e che fatti giovincelli hanno l’ardire d’innamorarsi delle due nipoti del celibatario ardente di vendetta e sordo, dico innamorarsi delle nipoti Marinette e Reine, e quello che più rileva, ripetutamente sono dal vecchio a domandargliene la mano. Figuratevi le escandescenze di costui! Ma che non può amore e amore corrisposto? I due giovani si sommettono a tante metamorfosi quante ne può subire un pubblico paziente e favorevolmente prevenuto, durante tutt’una sera. Compariscono ora da rivenduglioli orientali, ora da pifferaci italiani, ora da cantanti dell’opera, ora da corsari a dar l’assalto a quella vecchia rovina, pur da indurla alla resa ed abbandonare al loro piacere i due rivali alleati del vecchio, uno speziale Antonier e un comandante di gendarmeria Bombarso, sposi preferiti per le due nipoti. La rovina non cade ancora; ma cadrà per un colpo di mano che è favoreggiato dal vecchio medesimo, dilettante di musica. Gli viene in pensiero di far rappresentare in casa sua l’opera dell’Hérold, Zampa; la sua cuoca Susanne deve assumere la parte principale; ma una delle nipoti, furbacchiona anzi che no, tanto congiura e intriga che quella parte appunto viene addossata al suo Polidor, il quale traducendola dalla finzione in realtà, tramutasi in corsaro effettivo, tramuta pure il salone delle rappresentazioni in una nave di pirati, v’imprigiona il vecchio rimbambito ed i suoi amici e minacciando morte, eccidio, mal di mare tanto fa, che gli strappa di bocca il sospirato consentimento alle nozze, per sè e pel fratello. Tutto questo pasticcio è troppo per una sera. Le incocrenze si succedono allegramente alle incoerenze; le inverisimiglianze alle inverisimiglianze; le scene, i quadri a scene e quadri senza ragionevole legame fra loro; fantasia e realtà, storia e favola si avvicendano senza che l’una si accordi coll’altra in un complesso armonico che risponda all’azione. L’epoca dovrebb’essere quella del Direttorio, così cel dice il vestiario. Dov’era allora l’autore dell’opera Zampa? Donde seppe il vecchio dilettante di musica che esistessero Mozart, Beethoven delle cui sonate si mostra cotanto entusiasta? Persino il telegrafo, i cartellini di corrispondenza postale, le stazioni ferroviarie ed altri argomenti dalla vita odierna vi hanno parte, senza che il poeta abbia pensato di qual crimine ei si rendeva colpevole dinanzi al foro dell’intelligenza de’suoi spettatori. Dire degli scherzi stantii, degli equivoci procaci, delle scurrilità che vogliono essere tratti di spirito, sarebbe non finirla si presto: certo è che col progredire dell’azione, diminuiva il plauso, finché si perdette nelle regioni superiori e quivi ammutolì. Il merito più segnalato, se l’hanno, a non dubitare, il macchinista, l’attrezzista, il sarto, le maglie assettate, la luce elettrica, gli scenari. E la musica? Dio buono! La musica, se la tornasse ancora in terra e prendesse l’umana forma favoleggiata dagli antichi, dovrebbe vivamente protestare, al vedersi così prostituita in mezzo ad una società equivoca, ridotta non in un tempio dell’arte, ma in quello di Augia, supplicante Ercole che non tardi la sua impresa purificatrice. Guai a quella società, il cui musicale nutrimento quotidiano fosse quello ammanitole dal signor Offenbach! Guai al pubblico che si dilettasse di queste quisquiglie, tutt’al più confacenti ad una taverna, assolutamente indegne d’un teatro che aspira al titolo di tempio dedicato all’arte! E difficile incontrare mai cosa più povera di quest’operetta; sto per credere che il maestro speculò più sullo spettacolo abbagliante per luce e colori, sulla triviale sensualità, sulle grasse risate ad ogni scherzo anche insipido e frusto, che sull’effetto della sua composizione musicale. Moltissimo in fatti fu riso; ma al maestro non dovrà essere sfuggito, che il riso non fu provocato dalle sue note, nè dalla sua istrumentazione, sibbene da ogni travestimento delle sue comparse, da ogni trasformazione de’suoi attori, da situazioni stiracchiate per vantaggio di scena, da atteggiamenti e pose alle quali ei vanno abituando i capuani della Senna. Quando per esempio gii spasimi del mal di mare destano l’ilarità, non è già la musica che possa prestarsi a siffatta deiezione; è la smorfia dell’attore che stimola i muscoli rispettivi. E cosi via, colle movenze delle polke, colle marcie a ritroso, colle palle di gomma elastica, che dovendo essere palle di cannone rimbalzano sul palco scenico fra le risate del rispettabile pubblico. Dopo aver subita un’ouverture, che dà la quintessenza dello spettacolo e fra le altre ingredienze fa assaporare anche il piacere d’una tempesta in mare, una serie di ritmi ballabili, di melodie sciupate, di reminiscenze e di motivi che si riproducono fino alla noia e che caratterizzano la fretta del lavoro e la povertà dell’immaginazione ei passano dinanzi, senza pur destare la nostra attenzione, perchè costantemente modulati sui due quarti, cosi che quando finalmente sentiamo avvicinarsi un ritmo a tre quarti, i nervi si scuotono per sorpresa. Sciaguratamente la sorpresa non dura, perchè invece di una inspirazione novella, si para davanti un vuoto e monotono valzer, il quale continua finché il tempo di polka sottentra nel dominio della scena. E sì che il maestro avrebbe potuto fare di meglio. Ce ne assicura quella marcia nuziale sulla fine del prim’atto, dove un assolo di violino, seguito dal basso della tromba, e poi accompagnato dal clarinetto e dal fagotto, e dall’assieme dell’orchestra è d’un umore e d’un effetto irresistibile. Peccato, che quello scherzo si riproduca troppo spesso, per meritare la lode. C’è inoltre un brindisi, pieno di vivacità e di brio, messo in bocca al falso corsaro nel second’atto, che è il lavoro più squisito e meglio condotto di tutta l’operetta. Non mi chiedete della parodia dei pifferar!, dello strazio fatto per cura del sordo dilettante sui pezzi musicali di cui tenta la prova in compagnia dei suoi complici; se l’umore si guadagna con simili storpiamenti, se la piccanteria può permettersi simili straziatore d’orecchi, allora non c’è più limite all’abuso, non c’è più freno alla licenza, ed il riso del pubblico è sentenza di riprovazione contro colui [p. 325 modifica]GAZZETTA MUSICALE DI MILANO 327 che l’ha solleticato. Vi sarebbero altresì il duetto dei rivenduglioli, la canzonetta della cuoca, un coro di altalena, un altro di armati, che sparsi qua e là per i tre atti appaiono a sè, come se la scena fosse stata tirata per incastrarveli. Sono però sempre rimembranze di spartiti noti, altri levati di peso da qualcuno di quelle centinaia di atti, di cui fu produttrice la facile vena del maestro e che nell’ultima delle sue raffazzonature depongono in suo danno. Ci vogliono far credere che in musica si accampò una questione Offenbach! Per me la questione non esistette, nè esiste tampoco oggidì. La corruzione non formò mai nella storia dell’arte un oggetto di discussione, la si riprova, la si elimina, non le si discute. Il successo, la cassa, non fanno prova della bontà del lavoro; e la voga onde si fa ressa alle rappresentazioni delle operette di questo compositore alla moda è dovuta meno al suo merito musicale, che alle seduzioni sceniche, alle attrattive delle cantatrici, all’efficacia del tricot di cui sa egregiamente fornire i suoi attori. La Rôder, la più bella figura di Venere che da noi si vide sulle scene, fece del suo meglio per riuscire nel lavoro del suo protettore; peccato che per ottenere l’effetto fu obbligata a cantare. La Geistinger si sublimò fino alla parte di cuoca, che per lei fu elevata all’altezza di una persona di grido. Lo Scooboda, il Riidinger, manifestarono la prestanza del loro ingegno. Nessuno degli altri e nessuna delle altre nocque all’esito che fu realmente superiore ad ogni aspettazione. La disciplina del maestro li costrinse tutti, fino al coro ed all’orchestra, a fare pienamente il loro dovere; ed il loro dovere l’han fatto tutti, a cominciare dal guardarobiere fino al maestro dirigente in persona l’orchestra ossequiosissima. Quanto al dovere degli appendicisti venuti da Parigi, non c’è da dubitare che l’avran compiuto appuntino, vennero qua appositamente a formare la guardia pretoriana del grande imperatore del mondo musicale! C. BERLINO, 21 settembre. Orfeo ed Euridice dì Gluck — Il Flauto magico all’Opernhause — Convegno degli imperatori — Il Faust di Gounod colla signora Artot — Concerto di Corte — La Ritirata finale e i suoi accidenti. Dopo molti anni di riposo apparve fra noi l’antichissimo dramma musicale, il quale non ha punto da vergognare della sua canizie, quando è opera di maestro che si chiama Gluck, e s’intitola Orfeo ed Euridice. Haendel disse una volta di Gluck: «Il mio cuoco capisce il contrappunto meglio di questo miserabile compositore.» Se non che le opere teatrali di Haendel, (Ezio, Rinaldo. Artaserse, Ercole ecc.) sono sparite da lunghissimo tempo dalla scena, ed i capilavori del vero fondatore e riformatore del dramma musicale, {Ifigenia in Aidide ed in Tauride, Armida, Alcesle, Paride ed Elenà) sono tuttora l’ornamento del repertorio di quei teatri che intendono a coltivare i veri interessi dell’arte. La causa di siffatta longevità si trova nell’espressione drammatica, nell’arte di produrre grandiosi effetti con pochi mezzi e principalmente nell’unità ferrea del concetto. Non è di lieve importanza che Gluck abbia scelto gli argomenti alle sue opere nel mondo degli antichi eroi, giacché è fatta appunto più palese la sua maestria nel tradurre le fisonomie di quei semidei con tale forza che finora nessuno (eccettuato forse Mozart e Beethoven), seppe eguagliare. Li Orfeo è quasi il bellissimo dei suoi drammi, e noi berlinesi fummo avvezzi ad udirlo eseguito perfettamente, avendo avuto, olim, un contralto, di cui non si saprebbero trovare molti eguali; ma sono tempi passati, e la Jachmann-Wagner, già astro fulgidissimo dell’opera nostra, non è più qui. Essa fu la creatrice dell’Orfeo ed i vecchi frequentatori dell’opera nuotano ancora nell’entusiasmo ricordando quelle rappresentazioni impareggiabili. Ora abbiamo avuto la Brandt, valentissimo contralto, che seppe uscir dalla prova mostrando di indovinare l’idealismo della parte, cosa non lieve per un’artista avvezza a cantare parti d’ogni natura: Fide, Donna Elvira, Ortrude, Siebel, Maddalena, Azucena e Valentina. La sua voce pieghevole a tutte le sfumature di colore dà alla figura poetica dell’Orfeo una luce magica; e se qualcosa abbiamo a biasimarle è il cattivo tremolo che ei offende sempre che la udiamo cantare come difetto nuovo. Ciò non ostante merita gran lode per l’esecuzione di questa parte difficilissima. Eseguirono lodevolmente le loro parti anche la Lehmann (Euridice) e la Hoiina (Amore), e tutti ottennero applausi meritati. Un’altra rappresentazione del Flauto magico nell’Opernhaus ei diè occasione di conoscere un’ospite nuova, la Gungl da Monaco, e di salutar di gran cuore il ritorno della Grossi, nella parte di Regina della notte. Quanto alla Gungl, il mio giudizio è tosto fatto: ha molto talento e garbo scenico, ma non è tuttavia perfetta; la parte di Ramina è da essa eseguita correttamente, com’è scritta nella partizione di Mozart, ma mi par priva di quella vita individuale, la quale, senza far danno alla musica immortale, le aggiunge luce. Forse n’è colpa l’ansietà (è la seconda volta che si mostra sulla scena) e siamo sicuri che ella sarà un giorno una cantatrice valentissima. La Grossi cantò la sua parte difficilissima con tale purezza e leggerezza che non crediamo possa avere rivali che facciano meglio. Emise il fa acuto con tanta forza che ne tremò il teatro; ha fatto poi molti progressi nell’espressione drammatica e l’andante dell’aria prima le riuscì benissimo. Il Fricke divise colla Grossi gli onori della serata. Un tale Sarastro immaginò • certo il Mozart, creando questa parte; la sua voce di basso è piena, chiara, intonata; ma perchè nelle parole: Ma non gli dono la libertà fa sul ma una lunga fermata che non esiste nell’originale? Certo per mostrar la sua abilità nel sostener a lungo il contra Fa, ma è artifizio che guasta la bellissima aria. Lo Schleich (Tamino) fece del suo meglio e uscì dalla prova con fortuna, il Betz (Parlatore) è impareggiabile nelle poche sue note ed i tre ragazzi e le tre donne fanno stupendamente. Il convegno dei tre imperatori, avvenuto dopo lo scioglimento del contratto della Lucca, rese necessaria la sostituzione d’una cantatrice valente per le feste date in onore degli imperatori e principi stranieri (costarono, sia detto di passaggio, più d’un milione di talleri). Sebbene non dovesse aver luogo un’opera di gala per causa del lutto della casa imperiale d’Absburgo, pure una dica fu necessaria al concerto principale di Corte; fu scelta l’Artot insieme col marito Padilla. Ma per dare agli ospiti stranieri un’idea dell’opera nostra, l’Artot apparve nella parte di Margherita del Faust di Gounod. Questa rappresentazione sarà memorabile per sempre negli annali dell’Opernhaus, a cagione del calore tropicale oltre 30 gradi nell’ombra delle loggie - temperatura rispettabile assai per la zona nortica dell’Atene della Sprea. La valente artista cantò stupendamente al solito e benché splenda meno nell’opera seria che nella buffa fu trovata splendidissima. Il suo canto al fìlalojo fu detto da lei con troppa flemma, ma in somma giustificò di nuovo la sua fama riguardo all’espressione artistica, alla leggerezza maravigliosa, all’accento ed al portamento scenico. Il Niemann (Faust) soffriva evidentemente molto di quel calore africano, però non potè rifulgere come suo costume; veri modelli furono il Betz (Valentino) ed il Salomon (Mefìstofele); l’ultimo, specialmente nella famosa scena della Chiesa nell’atto quarto, fu il diavolo in persona1 Ci fu finalmente un concerto di corte privalo, come disse il programma del maestro delle cerimonie, conte di StillfriedAlcantara, dinanzi ad un pubblico di soli imperatori, re, principi e duchi, naturalmente colle loro dame. Il programma non si compose che di canti, eseguiti sopra d’un palc<f eretto nel centro della grande sala coll’accompagnamento di piano solo suonato dal Oberkapellmeister Taubert, al quale, finito il concerto, l’imperatore d’Austria attaccò di propria mano la croce di cavaliere dell’Ordine di Francesco Giuseppe. Quanto ai pezzi, molto cosmopoliti ma per lo più italiani, eccovi il programma: 1. Aria del Tannhauser, Wagner (Betz) - 2. Duetto nello Stabat Mater, Rossini (La Peschka-Leutner e Artòt) - 3. Non m’amava, Guercia (Padilla) - 4. Aria della Violetta, Verdi (Artòt) - 5. Terzetto nel Guglielmo Teli, Rossini (Niemann, Betz, Fricke) - 6. Scena ed Aria V Amleto, Thomas (Peschka-Leutner) 7. Dilettino nella Favorita, Donizetti (Artòt e Padilla) - 8. Se [p. 326 modifica]328 PREMIO STRAORDINARIO TRIMESTRALE AR 0. Spezia, 15 settembre 1872. Editore-Proprietario TITO DI GIO. RICORDI. Tipi Ricordi — Carta Jacob. Oggioni Giuseppe, gerente. sono fu eseguita una nuova operetta Vaudeville, Le paure del maestro Marcantonio Bianchi fu molto applaudita, della facilità. L’esecuzione, affidata a dilettanti, fu buona. THIENE. Giorni ridicole. La musica perchè ha il pregio GAZZETTA MUSICALE DI MILANO renata, Gounod (Niemann; arpa: Grimm) - 9. La Mandolinata, Paladilhe (ArtotJ - 10. La Nina que esta a balcon, Yradier (Artôt e Padilla) - 11. Sestetto della Lucia, Donizetti (PeschkaLeutner, Artòt, Niemann, Betz, Padilla, Fricke). Le diverse faccie regali, ducali, ecc., dopo il concerto brillarono di soddisfazione per l’esecuzione finitissima di tutti i pezzi. Il gran finale fu un immenso Zapfenstreich (Suonar della Ritirala) eseguito da tutte le bande musicali dell’infanteria e della cavalleria dell’armata prussiana, nel Lustgarten davanti al vecchio castello imperiale; la calca della gente e del popolo fu tanta che vi ebbero, grazie alla nuova organizzazione del nuovo nostro capo-presidente della polizia, più di 15 morti per soffocamento, oltre parecchi feriti lievemente, i quali non andranno mai più, ne sono sicuro, a tale festa. Quanto al concerto monstre, lo diresse il Saro, di cui si può dire «Wieprecht è morto, evviva il Saro.». Siccome nella piazza era notte scura, bisognò che il Saro cangiasse il bastone colla fiaccola, e segnasse il tempo con circoli di fuoco; ma malgrado le molte pene e fatiche del bravo maestro, il successo non riuscì come certo ei l’aveva sognato. Basti dire che nel Coro e Marcia di Tannhauser, una metà del corpo musicale venne sempre un quarto di battuta troppo tardi. I migliori pezzi furono la Marcia di Radelzky, l’inno austriaco del babbo Haydn e L’Inno russo del Lwoff, che riuscirono benissimo. Questi due ultimi inni popolari (forse i migliori ch’io mi conosca) si udirono in tutte le strade, in tutti i luoghi, ove era possibile che si recassero gli ospiti imperiali. Ora tutte le feste sono cessate, la pompa è sparita, e Berlino ha la sua solita fisonomia, e il suo cielo grigio di settembre. CASTELFRANCO. Il giorno 14 si aprì il teatro coll’opera I Puritani, bene eseguita dalla signora Rivoli (esordiente), dal tenore Lendinara, dal basso Migliara e dal baritono Navari. Bene i cori e l’orchestra. LUGANO. Nella Luisa Miller furono accolti assai bene tutti gli esecutori, che sono la signora D’Aponte, il tenore Jacovacci e il baritono Albieri. LUGO. Esito felicissimo toccò al Roberto il Diavolo, stupendamente eseguito dalla brava Contarini, dalla signora Creny, da Belardi e Vecchi. Applausi entusiastici e chiamate a tutti. Ottima l’orchestra diretta dal maestro Gianelli. ODESSA. Ci scrivono: La Cenerentola servì all’inaugurazione della stagione, e servì assai bene per merito specialmente della signora Biancolini; benissimo anche Cantoni, Giannini e Ristori. FRANCOFORTE s/M. La nuova opera comica in due atti, Diramo e Tisbe, di Luigi Gellert, andò in scena e procacciò varie chiamate all’autore. Il soggetto è un po’ magro, ma la musica è fatta con buon gusto. COLONIA. Il nuovo teatro venne inaugurato il l.° settembre con una svariata rappresentazione: Jubel-Ouverture di Weber, prologo drammatico, prologo sinfonico di F. Hiller, ecc. Nel giorno successivo si posero in scena Le nozze di Figaro. LINZ (Austria Superiore). Ci scrivono in data del 22 Settembre: Aspettata da qualche tempo ed annunziata con molto scalpore, finalmente ebbe iersera in questo teatro provinciale la prima sua rappresentazione la nuova operetta politico-comica musicata del maestro Ziehrer, ed intitolata: LJoracolo di Delfi, libretto del Costa. La stessa ebbe a provare fiasco completo. L’infelicissima raffazonattfra, modellata sulle opericciuole dell’Offenbach, non presenta un numero che si cavi dai soliti ritmi di ballo -, questi annoiano da un capo all’altro degli atti, senza che il menomo tratto di spirito interrompa le trivialità, che troppo spesso vi degenerano in sconcezze. Musica e libretto riboccano di scurrilità e di luoghi comuni; a rendere tollerabili i quali non bastarono nè il lusso della messa in scena, troppo superiore ai mezzi di un teatro provinciale, nè l’incensurabile esecuzione, a cui si sobbarcarono que’poveri astisti. Il signor Ziehrer non rispose per nuli’affatto all’aspettazione che i suoi amici ed i suoi ammiratori avevano in lui riposta. Il fiasco sofferto, speriamo, lo sconsiglierà dal mettere piede un’altra volta sulla lubrica via della scuola, che ha l’Offenbach per maestro. — Tepliz. Max Felsthal, maestro di cappella, morì il 26 agosto. — Pass Christian (America). Rodolfo Sipp, pianista, morì il 13 agosto. — Loschwitz (presso Dresda). Enrico Ferdinando Mannstein, scrittore e critico musicale, morì il 3 agosto in età di 66 anni. — Casale (Monferato). Massimiliano Noceti, direttore della Scuola di musica, giovine d’eletto ingegno, morì il 19 settembre a 33 anni. — Padova. Gaetano Chiocchi, maestro di musica e fabbricatore di violini; morì a 60 anni. POSTA DELLA GAZZETTA Signor Arc. D. Cam.... — Niscemi. Non possediamo altre opere del genere oltre quelle che sono già a vostra cognizione. Signor Ig. Gui„... — Atri — N. 869. Non possediamo i due pezzi chiesti. Vi spedimmo l’elenco delle opere di V

Signor P. Zan — Venezia — N. 156. La Gazzetta si pubblica alla Domenica e viene spedita in provincia il lunedì; del resto suno accordati 15 giorni agli spiegatori, e non si fa alcuna preferenza alle spiegazioni che giungono più presto. CHIAVE DIPLOMATICA i.nassecèpan oroeu tidòiroossuvèddc lilunafsa;aecaael osapclnsrrtrnlrl mrciaouecalanlo si si si si Estratto a sorte uno fra gli associati che manderanno la spiegazione esatta della Chiave diplomatica e del Rebus, avrà in dono un’opera completa per pianoforte o per pianoforte e canto, a sua scelta. Quattro degli abbonati che spiegheranno il solo Rebus o la sola Chiave diplomatica, estratti a sorte, avranno in dono uno dei pezzi enumerati nella copertina della Rivista Minima. SPIEGAZIONE DELLA SCIARADA DEL NUMERO 37: DI — A — VOLO Fu spiegata dai signori: Bonacossa Pietro, Ernestina Benda, capitano Cesare Cavallotti, avv. Baldassare Bottigella, Gaetano Grilli, Luigi Stame, Marzoni Costantino, maestro Salvatore Botta, Alfonso Fantoni, Camillo Ciccaglia, Ignazio Guidetti, prof. Angelo Vecchio, Tarsis conte Francesco, Andrea Doria, B. Lopez-y-Royo, Giuseppe Onofri, Roberto Gill. Estratti a sorte quattro nomi, furono premiati i signori: Baldassare Bottigella, Roberto Gili, Marzcni Costantino, Ignazio Guidetti. CITTÀ DI SPEZIA Fino al 21 ottobre p. v. è aperto concorso per ischeda segreta all’appalto triennale del Teatro Civico per gli spettacoli d’opera e ballo in base ad apposito Capitolato visibile negli uffizii municipali di Roma, Napoli, Firenze, Torino, Milano, Genova, Bologna e Spezia. Il Sindaco 1*. Borachia